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Il cardellino curioso

 
La prima cosa che notai fu la corsa cipigliosa di lui per le scale.
Non si teneva al corrimano, bensì svolazzava fra i gradoni come se avesse
un trasporto d'ali.
Si rivestiva in tutta fretta, partendo dai calzoni, quasi sempre flosci e senza cintura; una volta però, se ne riscese completamente nudo sotto, coprendosi con un girasole eretto, tolto a una finestrella rotta dell'androne.
 
La signora Petinati rientrava dall'ufficio non prima delle quindici e trenta.
Non le ho mai visto mettere su una pentola, o scartare roba di rosticceria.
La prima cosa che le ho sempre visto fare al rientro, è riprendere le lenzuola stese e appuntarle con cura sul ripiano del letto.
Spruzzava quasi sempre un'essenza al ciliegio o ai fiori di loto, togliendosi il tailleur ristretto da lavoro, e rientrando sotto una veste da camera fucsia, delle volte rosso cremisi.
Così si distendeva per lungo sul letto, controllando di tanto in tanto la schermata del cellulare. All'inizio avevo sempre pensato che provasse a riposare, conciliata magari dal tiepido canto dei cardellini che si annettevano alla balconata.
Invece lentamente la signora Petinati separava le sue cosce ben tornite, solleticandosi la mutandina con le unghia violette delle dita, e serrando gli occhi vicino al cuscino; un seno le si scostava, da solo, invocando per sé quel primo prurito.
 
AMBROGIO VENALIS
 
Poi citofonava lui. Riuscivo a vederlo tre piani più sotto, usciva sempre in impermeabile anche se fuori regnava il solleone.
Entrava da lei con una sigaretta di solito spenta, ruotando le chiavi della macchina
finché lei non gliele scuoteva con un morso fra le labbra.
Si scoprivano a vicenda, lei rimaneva con un reggiseno cremato, facilmente opponibile.
La signora, colma di bollori e fantasticherie, vibrava le sue cosce contro Ambrogio, la pelle che convulsava sotto una spunta serpigna.
Io a quel punto avevo già messo via i miei compiti, e mi avvicinavo silenzioso al vetro del balcone, aprendolo di quel tanto per cercare di accaparrarmi un sospiro voglioso di lui, o il rantolo ossessionante di lei.
****
 
Un giorno tornai più tardi da scuola, colpa del laboratorio di fisica applicata.
La finestra muta dell'androne non indossava più alcun girasole,soltanto la musica stentorea di arditi rampicanti.
Sapevo che più o meno a quell'ora, la signora Petinati rientrava come suo solito a casa. Mai mi sarei immaginato di vederla attraversare, fianco a me, il sottile padiglione d'ingresso alle scale.
Aveva due buste della spesa piuttosto gonfie, e sembrava avanzare a fatica.
- Le do una mano?-
- Grazie, si.-
Presi la busta più grande, cercando di non forzare la tranquillità del caso.
Ma la curiosità, come una molla che scatta all'improvviso eludendo tutti i freni, s'impadronì di me una volta raggiunto il varco-sosta degli ascensori.
Abbassai gli occhi in direzione della busta, cercando un qualsiasi segno che mi avvicinasse ancora di più a lei.
C'erano pacchi di caffé e quelle che sembravano della tavolette allo yogurt.
- E'arrivato. Andiamo?
Ero così frastornato da non essermi accorto che l'ascensore aveva bussato.
Salimmo i tre piani senza sfiorarci nemmeno, mentre lei ruotava in mano
un ciondolo lunare che aveva perso un paio di ganci.
- Sei stato molto carino. Davvero.-
Le portai entrambe le buste sino alla porta , ma non riuscii più a reggere l'emozione che mi aveva accartocciato i polsi.
La busta più grande si rovesciò a un palmo dai suoi tacchi; notai subito la scatola arancione di preservativi, mentre lei sorrideva come se il gioco la divertisse.
- Entrai, dai. Aiutami a sistemare questo baccano.-
 
****
 
Mesi e mesi a spiare ogni centimetro di quella casa, e adesso ero finito lì nel mezzo, aiutavo persino la signora Petinati a conservare le polpe in scatola nei ripiani.
Lei mi offrì un po' d'acqua, chiedendomi se era rimasto ancora qualcosa da sistemare.
La scatola arancione di preservativi nuotava dentro il sacchetto, e io le dissi di no con la mano; al che lei si avvicinò insoddisfatta, prese la scatola e mi guardò con impeto stuzzicante.
- Questi vado a metterli di là. Tu ,se vuoi, aspetta.-
Io mi tolsi le cuffie dell'I-pod ancora appicciate, e provai a sedermi, a rivisitare con imbarazzo la sghemba cucina con le piastrelle ridipinte a scacchi.
- Pietro, puoi venire un attimo di qua?-
La mia tensione era un radar a suo favore, avevo poche possibilità di scappare.
Lei stava finendo di scomporre il suo tailleur, rimanendo con una sottoveste color paglia che non le conoscevo.
- Scusa, ma il mio cellulare è andato di matto. Potresti vedere cosa non va?
Lei mi cercò con le sue unghia violette, e le mie dita risposero rabbrividendo.
- Tremi? Hai paura?
Sibilai qualcosa d'insensato, mentre il mio petto faticava a contenere gli spasmi.
- Ti vedo sai alla finestra, mentre mi guardi, ed io mi sfioro per te..
Sentii il rumore dei suoi tacchi levarsi; poi un calore, una stretta al ventre
mentre cedevano uno dopo l'altro i bottoni a vita bassa dei jeans.
Mi ritrovai steso fra le coperte, lasciai che lei si occupasse di tutto.
Per un attimo mi girai verso l'ampia balconata che avevo sempre visto dall'alto come
un approdo sconcio, eppure ardentemente desiderato.
Sentivo le labbra della signora Petinati plasmare il mio pene con l'argilla della sua lingua indiavolata, i denti rintuzzare a fondo procurandomi quel dolore un po' vuoto che è l'anticamera del piacere.
Restai disteso per un po', ad occhi fatalmente chiusi; mi giunse il suono del citofono spremuto contro le mura, la voce di lei che tronfia ripeteva “ tesoro, te ne ho trovato uno. E' giovane e senza un pelo di barba.”
Cercai di nuovo la balconata, che la signora per la prima volta andava abbassando; uno di quei cardellini aveva solcato la sua serranda. E adesso se ne stava muto.
 

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