Un'amicizia, nel ricordo di Antonio Tabucchi | Prosa e racconti | Stefania Stravato | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Un'amicizia, nel ricordo di Antonio Tabucchi

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Chiacchierando del più e del meno con Rinaldo in chat, ci siamo ritrovati a ricordare Antonio Tabucchi, scomparso pochi giorni fa e abbiamo scoperto di amare entrambi questo Autore, tra i più originali ed ''europei'' del nostro panorama letterario.
Tanto si è scritto di lui, della sua fama come scrittore e come ''polemista'' schierato politicamente, acquisita in seguito  al successo internazionale del suo romanzo - Sostiene Pereira - ambientato durante la dittatura salazarista in Portogallo e divenuto emblema della dissidenza politica, che casualmente si sovrappose alla prima vittoria politica di Berlusconi nel  nostro paese.
 
Ma qui, vorremmo ricordare l'intellettuale, l'uomo di cultura, il romanziere che attraverso la sua eredità letteraria,  permetterà a chi lo ha amato di nutrirsi di emozioni fuori dal tempo, fuori dalla quotidianità della vita che fugge: la vita, che per usare un’immagine di Tabucchi, consiste nei ghirigori fatti col dito nella sabbia, non nell’ingegneria dei mucchietti di granelli che si sostengono l’un l’altro.
Vorremmo evitare di ridurre la bellezza di - Sostiene Pereira - alla forza simbolica del protagonista come emblema  dell’opposizione al regime di Salazar-Berlusconi.
Vorremmo evitare di contaminare con la politica la bellezza dei suoi libri, perchè Tabucchi è l'autore di tutti i suoi libri non  soltanto di - Sostiene Pereira - libri raffinati, belli, colti e malinconici come Notturno Indiano, I volatili del Beato  Angelico, Donna di Porto Pim, I dialoghi mancati, Sogni di Sogni, Requiem.
Vorremmo ricordare a quanti lo hanno amato, la voce del narratore che si avvolge su se stessa in soste, intoppi, spezzature. E insegue destini monchi e incompiuti,  continuamente oscurati, rattoppati, fuori centro. Buchi nella rete del labirinto che la scrittura infilza come fessura, supposizione, indizi che vanificano ogni pretesa di «sapere completo». Frammenti bruciati su una strada percorsa nel tempo e coperta dalle rovine di tutto ciò che cominciava a essere o di tutto ciò che si poteva immaginare di essere.
E nel ricordo velato di tristezza, che sempre accompagna la scomparsa di chi ha segnato significativamente il nostro personale percorso culturale, con grande piacere vi invito alla lettura del testo che segue, di Rinaldo Ambrosia, un  racconto in cui il nostro amico conferma la notevole padronanza della scrittura e dello stile, omaggio ammirato e commosso ad Antonio Tabucchi.
 
Stefania Stravato
                                                                   ***
 
 
- Verso altre inquietudini, omaggio ad uno scrittore -
ad Antonio Tabucchi
                                                        
 
Ci sono istanti, di grande distrazione, dove il destino gioca a nascondino tra le pieghe dei nostri giorni, e lì  avvengono incontri rari. È in quel mattino estivo, di mezzo agosto, confinato da prati, boschi e montagne che chiudevano l'orizzonte, in quel mercatino di un paese di montagna che ho conosciuto Tabucchi. O meglio, non lui fisicamente, ma il suo pensiero, la sua opera.
 Su una bancarella, una copertina di un libro, dove due sedie a sdraio tagliavano un cielo azzurro, aveva lanciato il suo oscuro richiamo. Sfogliando quelle pagine un brivido d'inquietudine metafisica nasceva e andava a sovrapporsi alla mia naturale inquietudine esistenziale, cancellandola.
C'era della malinconia tra gli spazi vuoti di un sogno. E poi quella citazione dell'autore che mi aveva riportato bruscamente a me stesso. 
“La vita è appuntamento, lo so di dire una banalità Monsieur, solo che noi non sappiamo mai il quando, il chi, il come , il dove.”  
 
Avevo sfogliato ancora alcune pagine e poi l'avevo acquistato. Piccoli equivoci senza importanza aveva così iniziato a condividere, in mia compagnia  l'estate. Un racconto (perché si trattava di un libro di racconti, o meglio, di storie)  in particolare, mi aveva subito incuriosito. 
In Rebus nasceva una storia strana, c'era una Bugatti Royale, da ristrutturare, da preparare per una corsa. Mancava anche l'elefante, la statuetta d'argento, simbolo della famosa casa automobilistica,  quella ritta sul cofano, sopra la griglia del radiatore, sostituita con una copia in legno dalla finitura similare e fatta realizzare in tutta fretta da un artigiano. Non emetteva nessun barrito, in quella storia, piena di lorenesi, forse troppi. E poi la vitesse, protagonista di un'epoca, dove la polvere della Storia si depositava sugli occhialoni da guida di un pilota dalla gamba sciancata. 
 
C'era odore di olio, catrame e rumore di scappamento, troppo perché non soffocasse i protagonisti.
E poi la contessa Miriam che con nonchalance, dice al protagonista: ''mi vogliono uccidere  ''
 
Le pagine scorrevano sotto i miei occhi, in quella tediosa e sonnolenta giornata di vacanza e io mi sentivo sempre più immerso in quella strana storia che mi portava ad una gara d' automobili. 
Una corsa con auto e abiti d'epoca, un rally che partiva da Biarriz. C'era da sgomitare tra l'Hispano-Suiza, la Boulogne e la Lambda del Ventidue rossa. E lì, sul parterre di una domenica mattina qualsiasi, in una giornata atlantica (come cita l'autore), alle dieci partiva la corsa che si snodava lungo un percorso a strapiombo sul mare.    
  E Miriam era seduta al mio fianco, mentre io guidavo la pesante automobile, perché avevo rimosso il protagonista della storia e avevo preso il suo posto, mentre lui l'avevo confinato nelle ultime pagine del libro, proprio prima dell'indice, ad attendere lì, sino al momento in cui avrei chiuso quella copertina azzurra in brossura.
Stringevo le mani sul volante mentre acceleravo e l'adrenalina saliva, saliva... 
là, in fondo al rettilineo... ancora venti metri... la curva e poi la controcurva...e la Lambda che accelerando, prima si affiancava e poi ci chiudeva di brutto, stringendoci verso lo strapiombo. Riuscii a reggere l'automobile, l'impatto, e a proseguire la corsa perché l'autore così aveva scritto e la storia era sua, io di mio ci avevo messo un po' di partecipazione, forse troppa.
La corsa era finita, l'automobile era ai box e aveva subito solo lievi danni, qualche ammaccatura, i meccanici stavano già provvedendo alla riparazione.
Chiesi a Miriam se avevamo vinto. Non mi rispose, pallida in viso, sconvolta ancora dall'incidente, disse: - rientriamo in albergo -. 
Passammo la frontiera, i doganieri, vedendo l'auto da rally, ci fecero passare con un cenno della mano. Eravamo nuovamente in Francia.  
Le ore del pomeriggio scivolavano via lente, mentre la contessa Miriam, al chiuso della stanza d'albergo, faceva l'amore con il protagonista (io ero uscito troppo presto dalla storia, rientrando  nel ruolo del lettore). Poi la piccola pistola, dalla borsetta di Miriam, era finita nelle tasche del protagonista e lei gli aveva dato appuntamento alla spiaggia, verso le nove e mezza.  Sapevo che il protagonista aveva capito che la statuetta, quella dell'elefante, era stata sostituita a fine corsa, ai box, ed  era curioso di sapere che cosa potesse contenere. 
Tutto questo me l'aveva detto l'autore, ma sottovoce, in confidenza, sussurrandomelo in un orecchio. Come aveva anche insinuato nella mente, prima del protagonista e poi nella mia, il sospetto che la contessa avesse paura che il marito volesse ucciderla. Ora la vita e la morte oscillavano tra quelle righe, oppure era una mia sottile impressione?      
Avevo inseguito il protagonista nei suoi spostamenti, mentre girovagava in cerca del conte, tra la stazione ferroviaria e l'Hôtel des Palais (sua residenza abituale in Biarriz), voleva fermarlo, forse ucciderlo? ma il conte non c'era; e all'Hôtel d'Angleterre, tra quelle lenzuola stropicciate, ancora calde d'amore, la contessa Miriam era partita con la Bugatti Royale. Ma tutto questo era successo a pagina 45 e voltando pagina, dopo 13 righe, la storia terminava. Il nostro protagonista, solo, abbandonato sulla spiaggia, sentiva lo scorrere delle ore, battute dal campanile. 
Le dieci, poi le undici, infine mezzanotte e la storia era finita. No, o meglio, c'erano ancora tre righe dell'autore dirette al lettore.
 Ma a lei perché interessano le storie altrui? Anche lei deve essere incapace a riempire i vuoti fra le cose. Non le sono sufficienti i suoi propri sogni?  
 
                                                                 ***
 
E sullo sfumare della storia, con il terminare della vita, anche l'autore è partito verso altre inquietudini... ma le sue parole continuano a vivere in tutti noi. 
 
Rinaldo Ambrosia 28-3- 2012 
 
(L'immagine allegata è un'opera di Rinaldo Ambrosia)
 

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