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Un Tramonto Sul Raccordo

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Di nuovo qui.
Un fiume d'auto incalcolabile che si muove denso e dove tutto sembra fermo, a prima vista.
Al telefono chiami per avvertire che sei “bloccato”, ma sai che di fatto non lo sei.
Sei solo immerso in questo fiume, che con il suo lento scorrere, prima o poi ti porta alla tua foce.

Ed è in questo mondo di acciaio multicolore che sprofondi immancabilmente in quello stato di delicato distacco, in quello stato di sospensione, che ti permette di estendere i tuoi tentacoli percettivi, che vibrano, viaggiano e si connettono con l’energia che inconsapevolmente, migliaia di anime, sprigionano.
E si comincia, di nuovo.
Arrivano come lampi improvvisi, più o meno folgoranti, a seconda dell’intensità dell’emozione o in funzione del tipo di paura. Immagini e pensieri, paure angosce ed eccitazione, arrivano come ad ondate da questo popolo di pendolari rassegnati, appiattiti, svuotati, da questo lento ma incessante scorrere verso la propria singola foce.
 
All'andata
 
L’operaio impaurito

Lampo di luce fievole ma colorata, ed è un operaio, nel lento trascinarsi immerso nei suoi pensieri, a cercare di capire quanto può proseguire ancora il fermo cantiere, quanto danno ancora può causare alla sua ditta. Tempi strettissimi, turni soffocanti e ora, ora fermo cantiere.
Stupidi, stupidi controlli, stupidi uomini della sicurezza. Per un caschetto, scordato in baracca. Per un manovale, non proprio in regola, ed un ponteggio realizzato a regola d’arte, ma considerato pericoloso ed instabile, da quello stuolo di eleganti scienziati incapaci.
E sente la morsa gelida allo stomaco, la morsa data dal terrore di uno stipendio in bilico, di uno stipendio sul quale ruota tutta la suo castello familiare. Panico che cresce.
 
Il giovane commercialista
Una spina melensa, che mi si pianta contro, giro un attimo gli occhi, è una figura avvolta nel suo aroma Kelvin Klein, colletto inamidato e cravatta con nodo geometricamente impeccabile, si lascia trasportare tronfio nella splendida nuova Mini, blu elettrico.
Basetta perfetta, testa piena zeppa di numeri e senso di incompletezza. Di un qualcosa di non completato, una funzione rimasta a metà nei rituali dell’iter mattutino. Io so, lui non sa, io percepisco, lui no. Mi passa veloce sulla destra, stupido uomo, e non sa che il suo lucentissimo parquet, in questo momento, è violentato dall’acqua di scarico di una lavatrice incontinente e senza cervello.
Il giovane commercialista, un perfetto 30 enne, rampante, sicuro di se, sicuro della sua aura che ammaliava gli altri, e sicuro anche di essere fulminato al primo errore. Non sarà buona giornata oggi, giovane bel commercialista, non lo sarà. E non parlo solo di parquet.
 
La ragazzina di 20 anni innamorata
Un flusso, continuo e lento di stereotipi multicolori e multiformi, prodotto della società del progresso, del futuro, del tutto corre, del tutto veloce, dell’usa e getta che tanto costa meno produrre che riciclare. Eccola lì, deliziosa, Smart grigia lucidissima, trucco perfetto, capelli lisci tirati e occhiali a mascherina Dolce e Gabbana.
Perfetta, come le altre, come tutte le altre che si confondono e che a fatica, questa mia testa, riesce a distinguere.
Immancabile, telefonino, immancabile in out di sms, occhio alla strada piccola, occhio.
Un occhio all’auto davanti, un’occhio allo schermo del cellulare, un mano al volante ed una sui tastini.

Bambolina, fai attenzione, che sul raccordo nessuno ti perdona, anche se lui , il tuo lui, ti invia l’ormai insperata conferma. Fai attenzione Bambina innamorata, cuore a 1000, gote rosse, e dita che sembrano impazzite su quei tasti piccolissimi.
  
Lui, Natalino, e i 150 chili.
Quel senso di inappropiatezza, di inopportunità costante, e mi sfrecci accanto, con quel povero scooter, martoriato dai tuoi ottimisticamente stimati 150 chili.
E’ un malessere costante, Natalino. Un malessere amplificato dalla rabbia verso i tuoi genitori, che ti hanno segnato già all’origine, 20 anni fa, con questo nome.
Ti insinui serpeggiando, tra le auto in coda, godendo in parte di quel senso di leggerezza e leggiadria quasi innaturali per te. Ma tu oggi sei un veloce pachiderma in movimento, che si muove in un ammasso pachidermico di lento acciaio. Sempre tutto relativo quindi.
Lo sento, Natalino, lo sento che non relative sono invece le analisi che devi andare a fare.
Lo sento, sento questa carta vetrata che mi avvolge l’intero corpo, e non devo agitarmi. C’è rabbia e rassegnazione, non basta il nome, non bastano i 150 chili di odiato adipe, non bastano le continue derisioni, i capelli rossi ricci crespi. Ti chiedi se sei una convergenza di sfiga, un catalizzatore di nero. Forse no. Forse si. In parte lo saprai questa sera, una volta fatti questi accertamenti, queste analisi, che ti pesano come un macigno, e non ti danno pace...
  
Il Folle, non pericoloso, ma andato di testa, irrimediabilmente.
Irrimediabilmente, è una certezza. Provo a concentrarmi su un programma alla radio, ma mi rendo conto che è come cercare di osservare le pale di un elicottero in volo. Un frullato, un turbinio … e la sensazione di poter quasi toccare con mano, la nevrosi fatta materia. Quello è uno già tramontato di suo..
…………………….
…………Si chiama ……Max, si crede un Duca
Mi arrivano i suoi pensieri strani e distorti
 
“si si si Sono l’antitesi dell’uomo a perdere. Un uomo a trovare
Ho mille risposte per dieci domande
Belle parole anche per aride orecchie
Occhi buoni per spaziare nei peggiori bui
Un uomo da trovare e custodire
Custodire bene bene, al chiuso.
Chiusura ermetica, senza spiragli, senza che nulla possa uscire
Nulla
Altrimenti con un leggero soffio, piano piano evapora
Ed evapora il meglio, via la testa
E rimane un corpo come tanti. Anzi, non proprio come tanti…
Un gran bel corpo, ma senza una grande bella testa.
Una testa piena, a volte sicura, a volte sicura di non essere sicura di nulla
Una testa che crede di sapere e che si perde in un minuto
Che non fa dormire, che fa sussultare, che i problemi non riesce ad allineare
Ma arrivano insieme, mescolati a vento ed insicurezze, che ti colgono all’improvviso
Daresti a tutti e non hai nulla per nessuno. Un solo Duca, per una sola vita.
Dio che fatica.
Sono stanco, tanto, stanco di questi giorni che si inanellano uguali, stessi discorsi, stessi visi, stessi problemi, stesse crepe, rughe che aumentano, borse che si gonfiano. Voglia di villaggio in africa, vicino a bimbi neri a dare sollievo, cantare e ballare con loro. Insegnare, darsi e non più custodire.
Ho messo da parte centinaia di cose, ma devo imparare ad usare e consumare. Domani muoio, e trovano oggetti immacolati, inutilizzati ma custoditi per.. per cosa???
Bruciare e consumare, forse conviene. Assaporare, divorare.
Ma poi il dettaglio, la banalità, la folle corsa per una commissione, magari andata per il verso giusto, e pensi di respirare ossigeno, di riprendere aria.
Momenti flebili, appena percettibili. Poi il ritmo continua.
Sono stanco
Stanco
Stanco
Stanco di venerdi promettenti, di sabati meschini e bastardi, di domeniche decadenti.
E quattro giorni transitori, che puzzano di promesse, ma vedi gente intorno dormire e deperire.
Cosa vuoi Duca, amato duca, cosa vuoi?
Levarmi, levarmi la morsa da dentro, levarmi il mattone sul petto e lasciarmi respirare.
Levarmi gli uncini, che mi chiudono il petto la mattina, e per finta lo allentano la sera.
Forse da solo. Fine a me stesso. Tutto fine a me stesso. Nessuno per cui stare male, nessuno che mi muore, nessuno che mi cerca, nessuno che mi lascia, ma solo io. Serve?
Ti servirebbe Duca?? Mi servirebbe??
Sono stanco, no ho voglia di pensarci, ma ho avevo voglia di questi interminabili minuti per me, per togliere questo brulicare alla testa ed alle dita.
Ora ricomincio.”
  
Ricomincia? Cosa? Mah...Decisamente non sta bene, teso, confuso, molto confuso.
Lo vedo mettere le quattro frecce ed accostarsi alla corsia di emergenza. Testa china sul volante.
Si, quel tipo, è già tramontato.
 
L’imprenditore
Qualcosa di arido, asettico, trasparente di facili forme immediatamente definibili, una figura semplice, un’anima serena, un colui che si è fatto da solo, senza nulla togliere a nessuno.
Un imprenditore, anche coraggioso, con numeri e tasse che ronzano in testa, un lieve sorriso a piegargli le labbra, quasi un piacevole soffio, nel passargli vicino.
Tranquillo, si avvicina alla sua meta, esercitandosi in poco piacevoli ispezioni alle narici, sforzandosi di non pensare alla moglie a casa, una moglie che non riconosce più. Una moglie, che ha segreti, segreti che è meglio non sapere, e tranquillamente andare a lavorare.
  
L’incidente
In lontananza, prende forma l’ormai consueto ammasso di sagome confuse, chi si districa, chi curiosa, chi sbuffa, e chi impreca.
La solita moto, il solito disattento.
Talmente disattento, da non tornare più a casa questa sera.
Nessun tramonto è previsto per te ogg, signo ex-motociclista.
E tra chi sbuffa e ed impreca, c'è anche chi rimane deluso, perche un’ora di fila, di stress, di stop and go, e neanche sangue a terra. Si un poco si, ma non tanto quanto meritava una fila di questo tipo.
Acidicinici. Siamo, e sono, anche questo.
   
Al Ritorno
  

Di nuovo qui.
Un fiume incalcolabile, che si muove denso, dove tutto sembra fermo, a prima vista.
Al telefono, chiami per avvertire che stai lentamente arrivando.
Continui ad essere immerso in questo fiume, che con il suo lento scorrere, prima o poi ti porta alla tua fonte.
Ed è in questo mondo di acciaio multicolore, che sprofondo immancabilmente in quello stato di delicato distacco, in quello stato di sospensione, che mi permette ancora di estendere i tentacoli percettivi, che vibrano, e viaggiano e si connettono con l’energia che, inconsapevolmente, migliaia di queste anime, sprigionano.
 
Un’energia fatta di aspettative disattese, di inattese sorprese, di traguardi raggiunti e fatta da chi i traguardi non se li pone, e da chi i traguardi, non sa neanche cosa siano.
 
Ma c’è qualcosa, in questo ritorno, qualcosa che improvvisamente, in questo maggio spettacolare, in questa ora magica, qualcosa che tinge di porpora tutto, curva dopo curva, d’improvviso, ti compare davanti quasi accecandoti.
Un tramonto spettacolare, che illumina di porpora e rosso infuocato tutta la campagna e questa autostrada, una infrastruttura d'asfalto che nulla sembra abbia a che spartire, con lo spettacolo al contorno.
Una palla infuocata, che acceca, che leva un tipo di vista, e ne offre un’altra.
E’ qualcosa che si irradia su tutti, in modo omogeneamente distribuito. Auto, camion, moto, vecchie nuove di lusso fiammanti prese a rate, prestate, in leasing, rubate.
Non ha importanza.
E’ un dono, una magnificenza della quale tutti possono disporre e potersi appagare. Un porpora che livella tutti, dove tutti i problemi, in questo lento ritorno a casa, tutti i problemi sono quasi livellati o messi a tacere.
E' un piccolo Dio, che scende per tutti ogni sera. Basta coglierlo. E' li per tutti.
 
L’operaio, forte del suo mestiere, ha deciso che tutto sommato, sopravvivrà. Ci sono alti e bassi, momenti bui e alcuni più luminosi… . Lui sa che non rimarrà mai abbagliato. Mai. Ma sempre meglio che essere ciechi. Caro operaio… per te saranno forse solo tutte tonalità di grigi. E’ un tipo di vita dopotutto. Un tipo di vita anche questo.
 
Il Giovane commercialista, è stato silurato in azienda, ma si è silurati o siluranti, lui lo sa.
Prima o poi sa anche che sarà lui un siluratore, e questo, in questo magico tramonto asciutto, lo rasserena. Sarà in seguito meno sereno e più umido una volta a casa.
 
La Ragazzina di 20 anni innamorata, con il suo telefonino sul cuore, per oggi l’ha scampata.
Va bene così. E questo porpora surreale, la fa sentire ancora più follemente innamorata. Sento che è amore per l'amore quello che provo, che altri aridi bipedi, spesso, chiamano invidia.
 
Natalino, i tuoi 150 chili si possono provare a levare visto? Duro lavoro, ti aspettano mesi terribili, ma c’è una tua piccola rivincita dietro l’angolo. Tranquillo. E poi Natalino, non e cosi male come nome, sempre meglio di quello di tua sorella, Ermelinda.
 
L’imprenditore, ha un sorriso ancora più ampio, contratto rinnovato, umore ritrovato. E una moglie che non ritroverà.
 
L’incidente. Sapete, il segreto per chi viaggia come pendolare sul raccordo, è sempre quello di riuscire a percorrerlo, andata e ritorno, lo stesso esatto numero di volte. Altrimenti, significa che:
-         Sei solo partito, e non torni più.
-         Hai che hai deciso di fare strade alternative per un ritorno meno caotico
-         Ti hanno rubato la macchina
-         Ti spaventano i tramonti
-         Semplicemente, sei quel motociclista.
 
Credo, che il senso di sollievo, quel manto di sereno che cala di fronte ad un tramonto simile, sia legato al fatto che incosciamente tutti sanno, che l’assistere a quel tipo di tramonto significa che un tramonto, è sempre il preludio ad una potenziale nuova alba. Nuove aspettative, e poi nuovi consuntivi.
 
Ma non per il motociclista.
E non per me.
Ora ho capito.
Il folle, non pericoloso, ma andato di testa, irrimediabilmente, ho capito chi è. 
Ed ho capito perche io ora sono capace di queste percezioni.
Quel Duca, ora col capo chino sul volante, ha finalmente smesso di soffrire.
 
 
 

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