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Traviata today

Viola cantava sempre una canzonetta di qualche anno addietro, che recitava così:
 
A chi la dò stasera... la mia felicità.
Figuratevi un po’ a che tipo di “consumatori” poteva mai indirizzarsi questa... felicità. La cantava in un Night, quasi ogni sera, e quasi ogni sera usciva di lì con qualcuno, per dargliela, la felicità. Certo, non è proprio il caso di mettersi a fare i puritani.
  Sappiamo che, anche senza cantargliela, diciamo, molto spesso le “artiste” di simili teatrini vendono la felicità al miglior offerente. Viola non era quindi né meglio né peggio di qualunque altra sbiadita starlet di periferia, e quanto al cantare, non era quello il suo vero mestiere, è logico. Anzi, non sapeva cantare, non sapeva nulla. Se le avessero chiesto chi fosse stato Giuseppe Verdi, avrebbe pensato a qualcuno, dimenticato, cui avesse offerto la sua felicità... Così, quando un tale Alfred, un inglese, le si presentò, lei non pensò niente, non pensò affatto. Non lo faceva mai. Si prese il suo Alfred sotto il braccio e se lo tirò via, dove cavolo le pareva.
Finì che rese felice anche lui e considerò che anche per quella sera il suo mandato circa chi dare la felicità fosse saldato. Ma qualcosa di lei, ch’ella neanche presumeva di comprendere, s’insinuò nell’animo di Alfred e fu come se ne incrinasse una qualche fragile scorza che tirava dritto al suo cuore. Rotto questo sottile argine, come un’alluvione si rovesciò nel suo petto ed egli credette che qualcosa lì dentro non andasse per il verso giusto. Non pensò neanche all’amore. Pensò di chiamare un medico. Così si accomiatò da lei e diresse il suo passo verso un pronto soccorso poco distante. Ma non appena lei non si vide più, lui afferrò il senso del suo malore e, oramai del tutto incurante d’immaginari problemi cardiaci, le si precipitò dietro e, raggiuntala, le chiese se non poteva darle ancora un po’ di felicità...
Iniziò così una storia in cui egli, onde evitare ricadute in quello strano malore, si ritrovò di giorno in giorno sempre più dappresso alla cantante, di modo che lei non poteva neanche più esibirsi con la sua strofa stuzzicante, con la sua lasciva allusione, non potendo più farla seguire nei fatti, i quali eran già compromessi dalla onnipresenza del suo bel ganzo d’oltremanica. Il fatto era che quello charme, quel quid misterioso e recondito ch’ella non sapeva di promanare, aveva completamente avvolto Alfred in una nube di colla e di torpore insieme, un mix inebriante che lo avvinceva, spingendolo sulla rotta di aneliti “borghesi” assolutamente inadeguati al luogo, alle persone, alla situazione. Alfred cominciò a pendere completamente dalle labbra della soubrette che si schiudevano licenziose per mormorare a chi la do stasera... e lei sulle prime, intenerita da un’attenzione non priva di grazia che mai nessuno le aveva prodigato, iniziò ad abituarsi alla convivenza stabile con qualcuno, esperienza sin lì sconosciuta. Anzi, sentì di innamorarsene, almeno un po’. Lei non amava mai nessuno. Era giunta sin lì inseguendo sogni di gloria che erano naufragati nella prostituzione, ultimamente soltanto mitigata dalla sua veste di cantante. Credeva, aveva creduto di fare strada in base alla sua avvenenza. Pensava sempre a “un sacco di soldi” che prima o poi sarebbero piovuti sul suo destino, restato invece avaro e come secco. Sentire un sentimento le era nuovo quasi quanto sentir parlare del “segreto” che, dentro di lei, affascinava il suo spasimante inglese. Il che insufflava un alito della grazia diffusa dal suo amico nel suo prosaico cuore, facendole dolorosamente avvertire che c’era un bene, anche dentro di lei, che aveva sottovalutato, anzi respinto, sopravanzandogli il bene materiale. Causandole dolore, perché dimostrava che tutta la sua vita era stata spesa per uno obiettivo, il successo, il denaro, sbagliato. Tutta la sua vita era sbagliata; aveva sbagliato tutto. E per questo dolore, per questa amara rivelazione della nullità dei beni cui aveva sacrificato la sua bellezza e la sua giovinezza, senza neanche ottenerli, fu perciò che disse no quando Alfred la pregò di sposarlo.
Lui però non mitigò le sue avance, anzi, al contrario ritenne di poterla piegare al suo sogno col ricatto, cioè obbligandola contro qualche minaccia. Ma ella sentiva troppo in profondo la spina dell’errore che, lasciandosi sposare, si sarebbe definitivamente conficcata nella sua anima. Sentiva troppo come la realizzazione del suo bene, cioè il matrimonio, avrebbe per sempre cristallizzato il precedente male. Così, come a mostrare a se stessa di non aver sbagliato tutto nella vita, perseverò semplicemente nell’errore e lo respinse.
Già, ma perseverare è diabolico, si sa, e iniziò così una specie di martirologio in cui lui si faceva in quattro per ottenere semplicemente di poter soffrire ai colei piedi. E siccome il senso di colpa montava nel seno di Viola sempre più imperioso, ella, onde contrastarlo e cacciarlo lontano da sé, si abbandonava a scene di puro sadismo, facendo del povero Alfred ora il protagonista ed ora lo spettatore dei suoi strazianti trionfi carnali.
Fino a che venne infine giù il padre di Alfred dall’Inghilterra, si recò dalla donna e inginocchiatosi, la implorò di mostrare pietà per il suo Alfred e di sposarlo infine.
- Te oramai – le disse – non sei neanche tanto più giovane e la tua bellezza, è arcinoto, è votata al declino. Ancora un po’ e non troverai più nessuno disposto a tanto. Sposalo, accettalo ora, te ne prego. Penserei io stesso ad ogni occorrenza. Non lasciare che lui si faccia distruggere da tanta devozione, da tanto amore...
Lei disse sì, poi mandò a chiamare Alfred e lo istruì sui preparativi: sarebbero convolati immediatamente, e poi partiti per la... felicità... Lo mandò a predisporre tutto il necessario, mentre lei sarebbe restata ad aspettarlo e a riempire le valigie.
- Amami. – Gli disse – Saremo felici. Va... Addio. -
Il padre, congedandosi, aveva lasciato lì una valigetta piena di soldi. Il suo piano, arrivando, era, o convincerla al matrimonio, ovvero pagarla perché se ne andasse al diavolo. Lei apre la valigetta e getta un’occhiata al “malloppo”: è una montagna di soldi, almeno per lei. Ecco, considera ciò cui così lungamente ha ambito, eccolo lì il premio agognato, eccola la cascata di soldi che avrebbe conchiuso positivamente la sua parabola in una forma perfetta, come un quadro nella sua cornice.
 
Alfred non la vide mai più, come d’altronde nessun altro della loro cerchia. Ma qualcosa di lei gli era pur restato: era infatti risultato positivo al test dell’AIDS.
Su un biglietto lasciato da Viola in bella vista sul suo comò, lui trovò un accurato racconto delle mene del padre. Vi si aggiungeva beffardamente che era stato grazie a lui che Viola aveva potuto finalmente realizzare i suoi propositi e volarsene chissà dove col malloppo. E, oramai totalmente sottomessa al proprio impulso distruttivo, si abbandonava all’acme della colpa, imberciandolo. –Addio, imbecille. – Suggellò difatti.
Alfred non capì più un accidenti. Caricò un’arma e andò a sparare al padre. Lo ferì seriamente e lo azzoppò per sempre. Lui finì in carcere, ove, dopo qualche tempo, rifiutando ogni cura, concluse i suoi giorni corroso dalla malattia. Di lei non si ebbe più notizia. La si presume sfigurata e cadente, rinchiusa in un qualche sanatorio a dilapidare il suo “malloppo” per tener testa all’AIDS.
 

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