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Togli quella mano da dentro i miei pantaloni (e il viaggio continua, sulle tempeste australi)

“Togli quella mano da dentro
i miei pantaloni, mi distrai”, urlavo,
mentre il vento era tensione di vele
e gli scogli di Capo Horn,vendetta a portata di cuore,
spavento e rincorsa.
 
(l’alba una luce persa nel buio spesso di sale e miele)
 
Erano fotocopie del cielo i tuoi sorrisi
le tue labbra vendetta di dio
- una preghiera esaudita in fretta -
qui, a sessantotto gradi a sud,
dove l’aria è liquido aceto,
 
(e la rotta polare porta a spiagge di cristallo e respiri di neve)
 
tu danzavi con l’ambiguo capovolto del cielo,
con la lingua e parole, dolci di sale
“La tolgo se tu mi dici con quale dolore
mi tocchi i seni con un dito solo”
rispondevi, con calma dura e quieta
mentre la nave piegava
contro il vento, contro il cielo
- aggrappata a onde di marea, al destino -
incrociata alla musica di dio.
 
“Perché le altre dita premono i bottoni
dell’antifurto incastrato nel cuore”
e poi, ti rivedevo - come un ricordo di seta -
piangevo e ridevo in tutti i colori,
e la luce boreale era alone incerto
che illuminava le tue gambe aperte,
sdraiata, nell’attesa di un bacio,
un amore, un cucchiaio di zafferano.
 
E la tempesta australe ci ha trovati
intrecciati all’incrocio dell’amore
 
(come un pianto di mare all’alba, un singhiozzo di cometa)
 
mentre un albatro curioso
riposava accucciato sul timone
che puntava a sud
d’ogni possibile paura.

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