Scritto da © ferdigiordano - Mar, 01/05/2012 - 15:45
Le tue mani mi aprono all’acqua. Hai mani irrigue,
canali protratti a lungo. Versi ai bulbi. Passa
la goccia, passa un treno di brividi. Tremendo
vibra il pettine del pube. Una tellurica di spasimi
menziona sillabe a tamburo. Tuttavia la goccia
striscia sul colmo del ventre, il primo tetto.
Perché ne parli, mi chiedi. Credo alla goccia, rispondo,
tacita la sete, debella il deserto. Il sale la infervora.
Prendimi, dice la pelle: si solleva, punta.
Vorrei sapere, ora, quale lingua ti conta i giorni;
quale vecchiaia abbiamo superato alla pari. Se,
inferto il colpo, c’è una ferita che occupo.
E aspiro,
come mutassi corpo, ad una parvenza nel seno.
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