A Tale of the Past, Capitolo 5 parte 1 | Prosa e racconti | Carlo Gabbi | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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A Tale of the Past, Capitolo 5 parte 1

RICORDI DI UN PICCOLO MONDO

 

Era una notte di plenilunio e la luce argentata si riverberava sulle calme acque di quella baia equatoriale. Tutto sembrava immobile e si poteva unicamente udire il gentile sussurro che il mare produceva nel suo continuo rompersi ritmicamente sulla spiaggia sabbiosa.

Quella calma induceva alla meditazione. Sentii che quello era un luogo magico capace di ricondurmi in tempi lontani e per incanto divenni nuovamente parte della mia vita passata. Erano quei pensieri che esistevano assopiti in me da lungo tempo per l'accumularsi di mille altri problemi passati, che ora, quasi per magia riemergevano a nuova vita grazie al tiepore di questo luogo tropicale incantato. Guardavo dentro il cosmo che si trovava al di sopra di me e la brillantezza delle innumerevoli stelle che gareggiavano tra loro per luminescenza, insieme all’argenteo splendore della luna, che in quel momento stava raggiungendo la sua pienezza nella quasi completa rotondita`. Ero attratto da quella totale luce degli astri che brillavano al disopra di me ed ascoltavo in silenzio il messaggio che mi inviavano mentre apprezzavo le innumerevoli bellezze del creato. Guardando ed ammirando quanto il cielo mi stava offrendo, sentii allo stesso tempo discendere in me una calma spirituale, e silenziosamente e con grande umilta` dissi grazie a Dio, il Creatore di quella immensa omminescenza che rinnovava a noi mortali lo splendore della sua creazione. Umilmente mi prostrai al Suo cospetto, ed Lo accettai come l’Onniscente nell’ammirare e godere tutte le bellezze di questo meraviglioso universo.

Il silenzio e la solitudine che mi attorniavano fecero aprire quel polveroso scrigno che conteneva quei vecchi pensieri, amori, passioni di giorni molto lontani e, rileggevo il libro, nel quale il mio passato era stato scritto, e a occhi semichiusi potevo rivivere i momenti di felicita` che erano rimasti inconsciamente vivi in me.

Ora il mio pensiero era nuovamente libero di vagare, di sognare, di vedere tutte quelle cose nello stesso modo in cui le avevo vissute in passato. Ero ritornato nuovamente il ragazzo felice di allora. Mi vedevo correre tra il verde intenso di quei campi che circondavano la casa di mia Nonna Gigia.

Ed inoltre, poco discosto, potevo vedere me stesso, il mio io odierno, che studiava quel fanciullo in cammino su quella ripida scorciatoia che conduceva attraverso la foresta di abeti alla mia meta, al vecchio Forte. Era ancora la`, reale ed imponente. Si`, era la stessa Piccotta come la ricordavo nella mia visione del passato, quella Fortezza che era stata eretta nei secoli passati, ma che, sebbene diroccata, era ancora forte ed altera, capace di proteggerci da tutti i mali e cattiverie umane.

Mi rivedevo ancora fanciullo, mentre mi arrampicaco verso la cima del colle, ed in quel salire la mia mente poteva liberarsi dalle nubi cupe che oscuravano l’inmane cumulo dei ricordi acumulatesi in una lunga vita, la quale comprendevo era la mia, di fronte a me, e pronta a rivelarmi quei molti sogni che si erano realizzati e pure quelli che mai avevano dato frutti... E attraverso lo scosceso ed arduo cammino che mi conduceva alla Picotta potevo rivivere quei ricordi lontani. Sbuffavo per l'enorme fatica nel salire, sentivo il bisogno di quel salubre e puro ossigeno montano capace a rigenerare in me la nuova vita. Quell'ossigeno era fresco ed invitante, che emanava il profumo della pece dei molti larici che incrociavo lungo la via. Inalavo nuovamente, a pieni polmoni mentre l'aria fresca e' salubre scivolava in me, intrisa del mistico profumo della spessa resina. Ed era cosi` attraverso quella magia che riudivo la fiaba che mia madre mi raccontava spesso da piccolo, quella fiaba che usava raccontarmi quando ero piccino, la quale narrava di come quei larici secolari conoscessero tante cose di noi. E attraverso quel percorso a ritroso nella memoria potei creare l’atmosfera ideale, riempiendo la mia anima con quel necessario ossigeno, l’aria piu` pura, capace di rigenerare un nuovo me. Mi sentivo di nuovo esuberante nella forza della mia gioventu`, pieno di vita e gioia.  Sentivo di essere lontano dalla soffocante realta` dell’esistenza dove bisogna pagare le penalita` per ogni passo che si fa` nella nostra vita. Avevo dimenticato i mille affanni che ci giungono ogni giorno, le molte sfortune accumolatesi durante anni di sacrifici nel tentativo di arrivare alla meta voluta. Mi sentivo ora libero da quella vita caotica e capivo di aver lasciato dietro di me la pesantezza delle passioni. Avevo abbandonato quel pesante fardello la`, in Australia, il giorno in cui insieme a mia madre giunsi in questo magnifico paradiso equatoriale. Ero rinato e decisi allora, almeno er un certo tempo, di essere indulgente con me stesso e per una volta sola di essere capace di pensare unicamente a me stesso, e di finalmente realizzare il desiderio di poter donare a mia madre quella serenita` nella sua tarda esistenza dovutale per l’aver sofferto tante durezze nei tempi passati.

Si`, lo potevo notare ora, il modo in cui questo paradiso tropicale era capace di catapultarci, Mama ed io nella stratosfera della felicita` nell’essere nuovamente uniti nella vita. Era una gioia l’assaporare di essere uniti in quello stato armonioso di Madre-figlio, e trovai con piacere che lei inconsciamente si stava ammorbidendo dalla sua usuale testardaggine.

Lei, per tutta la sua vita, e` rimasta una donna fiera ed altezzosa, indistruttibile come un diamante, ma ora finalmente compresi che si smussavano quegli angoli acuti della durezza di carattere che si era imposta per decenni, e lentamente accettava la sua nuova posizione, conscia di essere vecchia. In questo modo, silenziosamente mi lasciava prender il comando della sua fragile vita e senza proteste lasciava che la guidassi entro quella piu` calma esistenza di cui aveva bisogno.

Non posso negare quanto questa situazione mi dava piacere. Finalmente sentivo che le potevo essere di aiuto, e lei graziosamente mi fece comprendere di essere felice di questo nostro non discusso arragiamento e di essere alquanto felice nel modo in cui trascorrevamo insieme quelle vacanze. Quello adesso era per me il ringraziamento a lei per tutti i sacrifici che aveva fatto nei vecchi giorni della mia infanzia.

Durante queste ultime settimane abiamo parlato di molte cose. Particolarmente del passato e di quelle poche volte che fummo insieme in piena felicita` e serenita`, quei momenti in cui si ebbe il privilegio di vivere una vita completa ed armoniosa.

Sfortunatamente si era nati nel tempo sbagliato, quando guerre e fame erano tutto all’intorno e per un periodo troppo lungo. Ci volle molto tempo per riavere quanto si perse durante la guerra ed anche pazienza, duro lavoro ed anche una lunga separazione. Sicche` durante quel lungo periodo di tempo diventammo vecchi nel nostro spirito, perdemmo i molti piaceri che nella vita sono riservati alla gioventu` mescolandosi in danze e riunioni con amici, in posti frivoli oppure nell’andare assieme a visitare paesi nuovi, conoscere nuova gente e civilizzazioni e curiosare nei magnifici luoghi sparsi nel mondo.

Nonostante tutto il nostro piccolo mondo ci offri` piccole e poetiche cose che ci rallegrarono ugualmente. L’amore famigliare e` pur sempre capace di abbellire ogni cosa che si conosca e capace di trarre felicita` da quelle piccole cose di cui ci si sa` accontentare.

Parlo ora dei giorni prededenti la seconda guerra mondiale. Quei giorni furono i migliori nella mia vita, fin dove riesco ad andare con la memoria, quando sgambettai i miei primi passi, ed incuriosito mi guardanvo attorno per vedere cosa la vita mi avrebbe riservato.

Realizzo che devo muovere indietro l'orologio del tempo, cosi' che possa scrutare meglio dentro quelle prime memorie ed esperienze della mia vita, anche se a volte possono essere nebulose, ma pur sempre cosi' ricche di amore e di valore sentimentale. Mi piace rivedermi nelle mie memorie passate e rivedermi giovane e sento il bisogno di poter ricreare nuovamente quegli anni della mia infanzia, al periodo delle vacanze estive che io e Mama Antonia trascorrevamo di solito nella casetta di Nonna Gigia in Tolmezzo.

Ricordo bene quei luoghi con tanta nostalgia.

Da poco Nonna Gigia era venuta ad abitare in quel luogo poiche la sua casa precedente era stata distrutta in uno dei periodici terremoti che colpiscono quei territori Carnici-Friulani, ed in quei giorni le distruzioni nel paese furono enormi.

Questo luogo dove mia Nonna viveva in quei giorni era grazioso. Viveva con lei mio Zio Ferruccio, e che frequentava ancora le scuole per diventare un maestro. Sergio, l'altro suo nipote viveva pure con Nonna Gigia, mentre sua madre Dirce lavorava all'Ospedale di Udine lavorando come infermermiera e studiava da ostetrica.

L'abitazione dove Nonna Gigia viveva era separata dagli altri appartamenti raggruppati in uno stabile a tre piani, ma unito od esso ad angolo retto. Opposto agli appartamenti era la casa padronale.

L'appartamento di Nonna Gigia era indisturbato dagli altri inquilini e si affacciava direttamente su un largo cortile, che offriva di fronte la vista del rustico comprendente le stalle capaci di tenere alle mangiatoie una ventina di buone vacche da latte, e un po' discosta da quella era la stalla con un paio di cavalli pesanti che usavano nei lavori  agricoli. Al disopra di tutto questo vi era un'immenso fienile capace di sostenere le mangiatoie di tutti quegli animali durante l'intero anno.

Il cortile era quasi totalmente coperto a pergola e sosteneva grosse viti che si ramificavano ovunque e producevano enormi grappoli di dolce moscato. Al centro del cortile si ergeva un gigantesco gelso centenario capace di produrre larghe more di un colore latteo. Quell'albero divenne durante il tempo in cui si era ragazzi, e col buon consenso di Siore Gigiutte, la padrona del luogo, il paradiso di noi ragazzi. Nel periodo di lunghi anni i freschi rami furono intrecciati ed ora erano ora grossi e forti  formando all'intorno un largo anello, e noi monelli lassu' si aveva creato il nostro luogo di giochi, e con un'innumerevole quantita' di casse di legno che si otteneva gratis dai magazzini alimentari della Cooperativa Carnica, non molto distanti, si aveva costruito una conveniente piattaforma sollevata da terra e che era divenuto il nostro punto di riunione.

Il perimetro della propieta' era delemitato da un alto recinto e alla estremita' del podere esisteva uno spiazzo lungo e vuoto che seguiva la scarpata della ferrovia. Ad intervalli di tempo regolari passavano quelle vecchie locomotive a vapore che trainavano lentamente alcune carrozze, aperte all'estremita' per l'accesso dei passegeri diretti a Villa Santina. Quei trenini sbuffanti fumi e vapori erano simili a quelli che ancora oggi possiamo vedere nei film westerns. Nulla di quella ferrovia era mutata sin dal giorno che fu installata nel 20simo secolo.  Le vecchie stazioni erano immutate, e cosi' pure i segnali erano con bandierine rosse o verdi, nondimeno le antiche piattaforme per i passeggeri erano le stesse di quei giorni passati. Ma ora qualche cosa era cambiata nel tempo.

Erano i viaggiatori che non piu' vestivano come un secolo addietro.

La propieta' di Siore Gigiutte consisteva di alcunu acri di terra coltivati in un largo frutteto con fichi, meli, peri, viti, gelsi per i bachi di seta, e vi erano pure un paio di noci giganteschi. Il terreno era solcato da un canale di acque correnti, che all'entrata del podere forniva l'acqua a capaci vasche di cemento che venivano usate nel risacquio dei bucati. Quelle stesse acque poi si dividevano in piccoli rigoli che attraversavano il luogo nell'inrigazione degli alberi da frutta o per le verdure che venivano coltivate sia per la casa come pure per essere vendute nel negozio di frutta e verdure in paese e che pure apparteneva a Siore Gigiutte.

A parte me e Sergio, in quel luogo vivevano altri due ragazzi. Gigetto era il piu' anziano del gruppo ed era pure il nipote di Siore Gigiutte, la propietaria di tutto quel ben di Dio. Eppoi c'era Giacomino e la sua famiglia affittava uno degli unappartamenti.

Noi ragazzi avevamo eletto Gigetto, perche` era il piu' anziano di noi, come il comandante del nostro clan di furfanti e sempre pronti a compiere le imprese piu' ardite.

Noi quattro costituivamo un solido gruppo, e prendendo spunto dalle avventure narrate dai romanzi del Salgari, avevamo spade di legno che noi stessi avevamo fabbricato. Ci battevamo contro il gruppo dei fratelli della Zoccola, una famiglia che viveva vicina alla propieta' di Siore Gigiutte e loro pure avevano una propieta, anche se alquanto malmessa.

Poiche' Gigetto era la perla degli occhi di sua nonna avevamo ottenuto il permesso di giocare nella propieta'. Mondo che era il fattore responsabile verso Siore Gigiutte di tutto, ci aveva preso sotto la sua responsabilita'. Era un gran buon uomo e spesso ci invitava ad andare con lui, sul suo carro agricolo trainato dai cavalli, quando si recava nei campi, non molto lontano da dove si abitava. In cambio dell'aiuto di piccoli lavori ci ricompensava generosamente con una larga scodella di saporito minestrone quand'era tempo per la colazione. Poi dopo, si era liberi di scorazzare nei campi adiacenti. Si era felici e si poteva rimanere con lui sino a sera, sintanto che Mondo aveva completato i suoi lavori nei campi per quel giorno.

Come dissi, l'abitazione di Nonna Gigia era modesta, ma per noi era meglio di una reggia, perche'  eravamo felici e quella era per noi la nostra casa, piena di armonia, amore e dove esisteva lo scambio di cose sentimentali a noi comuni. Nonna Gigia fu sempre la nostra guida, insegnandoci piaceri e doveri. Cercava di essere severa con noi, ma allo stesso tempo anche molto dolce, poiche' ci voleva troppo bene, ma nonostante questo fu capace di intrapprendere la formazione delle nostre vite future.

Posso dire ancor oggi, che per noi quella dimora fu il centro dell'universo, in quegli anni. Ora ritornando indietro col pensiero, mi accorgo di provare le stesse gioie, propio come le sentivo in quei giorni lontani.

Ricordo molte cose di quei giorni, cose semplici che avenivano ogni girno, e che io e Sergio spartivamo. Sergio, ed io avevamo la stessa eta', ed allora eravamo ancora molto giovani, e non si aveva ancora iniziato ad andare a scuola. Sergio era un ragazzo molto dotato di grande intelligenza, e con l'aiuto di zio Ferruccio sapeva ormai leggere e scrivere. Cosi' io mi sentivo l'asinello della famiglia ed ero geloso delle capacita' di mio cugino. Zio Ferruccio divenne in quei giorni il nostro istruttore e guardiano, ma era pure il nostro fratello maggiore. Infatti solo tredici anni di eta' ci separavano. Il tempo che si passava assieme con Zio Ferruccio era sempre prezioso e piacevole. Ci portava in luoghi diversi e ci insegnava tutte quelle cose utili che un ragazzo doveva conoscere. Cosi`, di mattina presto, ci conduceva per una camminata fino al forte della Piccotta, una vecchia costruzione su una collina sovrastante Tolmezzo, che fu costruito come difesa del distretto contro l'invasione Ottomana, nel 14simo secolo. In quei giorni, mentre si era seduti sui bastioni della torre, Zio Ferruccio ci narrava la storia di quei tempi, dei Nobili Veneziani, che allora dominavano la valle ed il loro valore nel combattere contro i Turchi che volevono essere i pradroni del luogo.

    Il forte era in una posizione strategica ed elevata, alcune centinaia di metri sopra la cittadina di Tolmezzo, e da li` era possibile dominare tutta la valle sottostante e vedere quando i Turchi o altri nemici arrivavano e cosi` aver tempo di dare l'allarme alle difese di quella cittadina che era pure la porta alle valli adiacenti.

Ricordo che in quei giorni ci arrampicavamo su quell'unico sentiero scavato nel tempo dallo scalpiccio umano sulla scoscesa facciata del colle, e che zizzagava attraverso una magnifica foresta di alti abeti, cosi' fitta che i raggi del sole non potevano penetrare il folto degli alberi.

 A secondo della stagione, attraversando quella pineta, potevamo raccogliere quelle minuscole fragole che crescono spontanee nei boschi, che sebbene fossero minuscole erano dieci volte piu` saporite di quanto potevano essere quelle vendute nei negozi del paese.

Alle prime pioggie autunnali, sempre sullo stesso sentiero nel bosco, raccogliavamo deliziosi porcini ed altri tipi di funghi che crescevano allora abbondanti nella valle. Zio Ferruccio, come di consueto, ci insegno` a riconoscere i funghi buoni da quelli velenosi, che sono cosi` simili tra loro per chi non e` esperto. Ai margini della foresta, l'alta vegetazione diradava. Qui crescevano in abbondanza larghi pruni di nocciole che in autunno abbondavano di frutti su quei lunghi e diritti arbusti.

Una volta raggiunto il forte, potevamo riposarsi dopo la fatica della salita. Dall'alto dei bastionie si poteva ammirare il sublime panorama offertoci dalla sottostante valle Tolmezzina  formata dalla congiunzione dei suoi due fiumi, il But ed il Tagliamento.  

 Ricordo che all'interno dei muri della torre, vi erano diverse feritoie aperte tra la muraglia del forte. Zio Ferruccio ci spiego' che erano usate nei tempi passati per piazzare le bombarde dei difensori, che usavano contro gli eventuali assalitori.

 Nei caldi pomeriggi d'estate Zio Ferruccio ci portava ad uno dei due fiumi, dove le acque che discendevano a valle erano sempre impetuose, frangendosi tra larghi sassi e rocce. Il letto del fiume era ampio sicche' le acque scorrevano intrecciandosi e formando diversi rami d'acque correnti. Nel discendere era un continuo intrecciarsi dei rivoli che si congiungevano e si spartivano continuamente, pur sempre mantenendo un rivolo maggiore con abbandanza d'acque che indicava il corso principale del fiume.

Fu li`, in quelle acque fredde e veloci che arrancavano verso valle, che Zio Ferruccio ci insegno` a nuotare. Era sempre all'erta e stava vicino a noi, e se io o Sergio si era in difficolta`, lo zio ci raggiungeva e sorregendoci sulle sue spalle possenti, ci conduceva in acque piu` calme.

All'inizio dell'Autunno, lo zio ci conduceva nella direzione opposta e cosi` ci inarpicavamo nei boschi che circondono la valle di Verzegnis. Ricordo quei luoghi ricchi di alberi di castagni ai cui piedi noi raccoglievamo i frutti caduti. Se qualche castagna era ancora racchiuse nei loro gusci spinosi, liberavamo i dolci frutti dagli involocri, prima di riporle nei nostro sacchi. A sera le castagne venivano arrostite sopra le bracia tra lo scoppiettio sul fuoco.

A volte, in quei boschi di Verzegnis, con un po` di fortuna, si trovava qualche porcino che aumentava il nostro bottino da portare a casa.

Abbiamo sempre goduto quelle camminate tra i boschi e nell'aria fresca e qualche anno piu` tardi, Sergio ed io, un po` piu` grandicelli, ci avventurammo da soli tra quoi boschi Carnici, e spingevamo le nostre esplorazioni sempre piu` lontano, ampliando i confini del nostro piccolo mondo. In quel modo, in quell’atmosfera nacque in noi la passione di scorazzare e di sentirci liberi che ci accompagno` negli anni a venire.

In quegli anni le nostre serate erano davvero gioiose. Zio Ferruccio era abbastanza un buon musicista e sapeva trarre dal suo mandolino suoni melodiosi che veramente ci rallegravano. Ricordo come intonava bene le ultime melodie alla moda, o quelle canzoni popolari che tutti cantavano: questo era un passatempo abbastanza consueto e Sergio lo seguiva nel ritmo della canzone cantandone le parole. Sergio, come dissi prima, era un ragazzo precoce ed intelligente ed in piu` fin da quei giorni poteva declamare con un innato talento teatrale. Crescendo ebbe modo di perfezionare meglio la sua passione nei palchi teatrali degli oratori ecclesiastici. Ma in quei giorni quando era ancora nella tenera eta` di cinque anni era un vero piacere vederlo, in piedi sopra il tavolo della cucina, mimare il nostro amato Mussolini nei suoi discorsi fatidici al popolo Italiano dal balcone di Piazza Venezia. Il suo pezzo piu' forte nella sua arte oratoria era il celebre discorso del Duce nell'occasione della dichiarazione di guerra con l'Abissinia. Sergio dava una rappresentazione realistica nell'interpretazione di Mussolini copiandone il tono di voce ed il gesticolare delle mani che il duce sfoggiava arrogantemente in quell'anno nel quale raggiunse il culmine del suo successo politico. Sergio era certamente dotato in tutte le arti, sia nella sua capacita` come attore, sia per la sua passione poetica. Infatti alcuni anni dopo, ed entrambi si era ancora alle scuole elementari, mi invitava a garreggiare con lui nello scrivere le nostre poesie che poi dovevano essere giudicate sia dalla Nonna Gigia che da mia madre. Naturalmente non occorre che dica qui chi era il solito vincitore in quelle competizioni. Francamente non mi sono mai particolarmente distinto in rime poetiche.

 Scrivendo queste note scaturiscano moltri altri ricordi di quel periodo giovanile e ricordo con piacere quei giorni lontani ma pur sempre felici. Posso dire che Sergio ed io eravamo molto affiatati e sempre uniti nel spartire giochi e passioni. La competizione tra noi era sempre grande, anche se Sergio era sempre piu' dotato di me in qualsiasi gioco, pensiero azione. E cosi' sappiate che in queste mie memorie dovete “vederci” quei due di noi come un unico pensiero ed un unica azione, perche'  eravamo davvero indivisibili e lo siamo stati poi, anche in seguito, sempre, malgrado le circostanze ci abbiano condotto lungo separate vie ed in luoghi diversi.

 

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