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L'uscire dall'acqua

Prima c'era stata la pausa, poi il saltellio. Infine il precipitare.
Un poco come i miei sogni da bambino in un cielo materico di sponde, o l'uscire dall'acqua per chi non ha ancora acquistato voce.
Un po' come in aereo.
 
Ci eravamo stancati di visitare la sabbia riportatata ai piedi dei flutti dell'oceano dagli isolani con i contributi della UE.
Cercavamo un diversivo oltre le banchine e gli alberghi con piscina.
Almeno, ero io a cercarli, oltre ai sigari cubani. Oltre la costante dei 28 gradi dei vecchi villaggi lavici tra noi e l'aeroporto.
 
La nostra prima tappa era stata l'isola di Tenerife.
- Andiamo al Circo. Aveva esordito la bambina.
- Allo zoo. Amore.
- Sii. Allo zoo.
Per non rischiare, m'ero sobbarcato della spesa di un taxi e del suo ritorno.
- Tu non pretenderesti mai da me un noleggio, vero?
- Io no.
L'autista ci sbarcò all'entrata dello Zoo.
All'inizio, allora, c'era la capanna degli incantamenti. Dove, fatti tre gradini, si entrava per inoltrarsi in un antro pieno di grida, urla, soffi gelidi e bollenti. Con dispiacere della bambina e della madre, il labirinto del Minotauro ebbe termine e ci trovammo di fronte ad un enorme oblò circolare dove scorsi delle saettanti fauci seghettate superarmi e fare
grande razzia, sul fondo dello stesso oblò, di pesciolini variopinti quanto indifesi.
L'orrore ci pervase fino allo stridio lancinante della campanella di fine corsa.
./.
 

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