Scritto da © taglioavvenuto - Lun, 27/08/2018 - 00:53
What else. La ricotta
Mio padre era morto lungo il sentiero per la stalla, in un ultimo accesso di malaria.
La curavano, egli ed i familiari, fantumandosi in bocca frammenti di corteccia e ramoscelli di salice.
Aveva loro attecchito dentro quando erano stati punti dalla zanzara della palude adibita a coltivazione del pomodoro da parte dei baroni.
Pachino, una linea antistante la prossimità del mare.
Curata la raccolta dei pomodori, essi passavano ai terreni, quelli baronali della zona.
Dove allevavano alcune capre e qualche pecora, per la ricotta. Per portarla in paese di primo mattino. Per il parendatado, le famiglie e le pochissime pasticcerie caffè.
Fatto il formaggio, la filiera finirebbe: rimane la ricotta.
Calda e salata a colazione; nella scodella di stagno, così la serve mia madre.
Prima di avviarsi con passo svelto per il giro.
Fin dall'infanzia ha il viso ricoperto di peluria ed i denti irregolari.
Il tempo per lavarsi è poco.
Pecore e capre condividono con gli uomini l'unico spazio: paglia, escrementi, pavimento, tufo.
Anche uno dei miei due fratelli maggiorenni, il maggiore, è gravemente ammalato di malaria e seguirà, credo, la sorte di mio padre.
Rosa e Nunzia, le sue sorelle, appena hanno raggiunto l'età, il barone le ha date in spose a due fratelli.
Il campo più in alto ce lo dividiamo, come lavoro, Michele ed io.
É nel capanno degli attrezzi con l'uscio socchiuso, di fronte all'enorme carrubo, che vedo Michele entrare per riposarsi dalla fatica.
Ha sedici anni. Io ne ho quattro di meno.
Nostra madre ci aveva raggiunto verso il mezzogiorno, portando con sé la pagnotta di pane, un quarto di formaggio e la fiasca dell'acqua.
Michele l'ha fatta entrare appena arrivata.
Dopo una mezz'ora circa ella ha riaperto per tornare giù in basso, facendomi segno di mangiare qualcosa anch'io.
Mio fratello era seduto contro i pali, gli occhi assenti, vacui; la nuca appoggiata alla parte bassa degli stessi pali. C'era ancora un odore asprigno di sudore, di fatica, di capre.
Quando mio padre era ancora vivo, da fuori riuscivo ad ascoltare anche il ringhiare del suo enfisema polmonare.
Come risvegliatosi, egli mi fa cenno del pane e delle sacche rimaste a terra, all'interno della capanna.
É fidanzato con la figlia di un altro colono dello stesso barone.
Programma di sposarsi non al più tardi dell'inizio della primavera.
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Mia madre ormai ha raggiunto la parte pianeggiante del sentiero.
Si volta. Sembra averci lo stesso pizzo, sul mento e sulle gote. Ballonzola sulle anche diventate pesanti Resiste agli sbalzi delle zolle smosse dalle vanghe.
Lei ce l'ha già nel pensiero, quando, partito Michele, rimarremo solo noi due a badare al campo.
Due vanghe, e tre quattro pecore il ragazzo le porterà con sé.
La raggiungiamo a sera. Ci stendiamo a terra nella parte più distante dalle pecore, il mucchio di paglia più vicino alla Nerina, la capretta. Dormiamo su quel mucchio, il più pulito. uno a sinistra, l'altro a destra; la donna in mezzo.
Sbocconcelando ancora delle molliche cerchiamo di prendere sonno.
Il primogenito, il figlio malato, più lontano, sta tossendo, come ha iniziato a fare mio padre circa un mese fa prima di morire.
Nostra madre lo segue con la sguardo. Odia quasiasi cosa non sia sé stessa.
Gli appoggia di lato un orcio. Gli prende fra le sue una mano, gliela tiene sul petto, gli tocca la fronte. Odia.
Poi torna tra noi, si stende di nuovo sulla paglia. Nerina, disturbata dai movimenti, bela. Mi addormento.
La donna con il dorso della mano si copre le labbra e gli occhi. Appoggia lentamente la fronte sulla terra, si rilassa.
É da anni che si comporta così. É da quando l'ultimo figlio è diventato l'unico uomo della casa che lo stratagemma per evitare figli indesiderati è lo stesso.
Michele ancora fatica ad addormentarsi. Quanto è giovane.
Lei, Martina, non è mai cambiata. Ci tiene moltissimo alla propria reputazione.
Da anni, in chiesa si comunica tre volte a settimana.
I figli, ha assicurato al confessore sotto il vincolo di quella grata sacramento, sono tutti del marito.
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Ci richiudemmo nel capanno degli attrezzi il due di maggio dell'anno successivo, per rifocillarci, riposare e far passare la calura.
Martina era già stata in paese. All'Immacolata si era confessata e comunicata. Poi aveva fatto visita al palazzo del padrone, trecento metro sotto, riuscendo a strappargli qualcosa.
Il barone, quell'inverno, era rimasto vedovo.
La donna si era fermata al pianoterra, come ogni volta, dove questi riceveva il contado, con la canna della ricotta e le primizie migliori.
Lì, ai piedi della scala, le donne dei coloni, giocando fin da giovani, rimanevano al riparo di ogni maldicenza.
Se non c'era gente estranea in giro e il grande portone era chiuso, permettevano un palpamento o più, pure lo sfizio le più bisognose, sempre attente a non rimanere incinta.
Era una tradizione pluricentenaria, tramandatasi di generazione in generazione.
Il nobile, che le era affezionato, poiché eravamo rimasti in due, le aveva prestato un asino per poter arare.
L'animale era diventato vecchio e, per affacciarsi alle sue proprietà, Vossia aveva preso per sé un calesse ed una cavallina baia.
Mia madre,come faceva spesso, arrivò al campo sul fare del mezzogiorno, con l'asino, il pane e la sacca d'acqua.
Sorrideva. Aveva ottenuto ciò che voleva.
Visto che eravamo rimasti in due, giorni prima aveva promesso che avrebbe iniziato a vangare con me la parte più ripida del campo.
Ero rimasto l'unico a farle tenezza.
La prima striscia l'avevo già vangata io. Risaltava, bruna, dall'inizio del sentiero.
M'ero fidato della nia inesperienza.
Le davo del Voi.
Ero indispettito.
Avete già bevuto?
La donna sedette a terra e guardò la polvere all'interno del capanno; era gialla paglierino.
Tacemmo, poi la donna, aiutandosi coi denti, stappò l'orcio e me lo passò dandomi un leggero tremolio al polso.
Glielo presi di mano e bevvi. Poi glielo ripassai, gelandole intenzionalmente il polso della mano destra.
Eh!
M'ha a cuccà.
La donna borbottò qualcosa sottovoce e mi si stese di lato dando la fronte ai pali.
No accussì. Dissi io.
All'alba avevo sognato di vedere comparire d'improvviso l'avorio delle cosce di mia madre di fronte.
Fin dall'inizio del nostro primo riposo pomeridiano, grazie allo strofinio inguinale che avrei fatto, di vederle comparire peli scuri sotto la veste, oltre l'età.
Michele mi aveva lasciato un sogno, la sue enormi labbra vaginali in vista.
Cu è? Chiese il prelato. E Tina, la pecoraia, nel confessionale, confessò che era stato il nuovo marito.
Cu? Vite? Chiese di nuovo il vecchio sacerdote.
O chù iovane. Rispose la donna, infoiata da quello strofinio pomeridiano protrattosi per tre notti di seguito. Fino al giro.
Il barone, nel frattempo, era morto. Gli eredi, dispersi, chi a Roma, chi a Milano, nemmeno andavano più in chiesa. Figurarsi di venirne a capo.
Te li battezzo qua all'Immacolata. Continuò soprapensiero il vecchio sacerdote.
Vogghio a ricotta. Pure a mia la porti.
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