Scritto da © taglioavvenuto - Dom, 15/05/2016 - 23:57
Ridevano. Il ricordo più bello che ho della mia infanzia, è che ridessero. Nella grotta che avevamo occupato, nello spazio quasi in fondo al cunicolo dove l'aria, per effetto dell'abbassamento quasi repentino del soffitto, diveniva più tiepida e nello stesso tempo secca per il calore dei corpi lì ammassati, prima che calasse il sonno su tutta la mia famiglia, sia i vecchi che i miei padri, che le madri e i fratelli e le sorelle, nelle ombre del fuoco comune che si stava spegnendo lasciando che le ceneri si impadronissero completamente delle braci, ridevano.
Non si trattava del riso del giorno, quello fragoroso dei maschi, quello delle donne acuto, ma del riso, riconoscibilissimo, della sera; quello che precede i sogni e gl'incubi e l'improvviso. Quello che aspettavano i grandi predatori e, più temibili, in certi casi, gli abitanti delle grotte più distanti, le cui aperture, similmente dissimulate da cespugli, alberi e fronde, erano state visitate e devastate da predatori ed altri uomini.
Pur non comprendendo i motivi del riso, noi, i più giovani, lo attendevamo come, molto più tardi, avrebbero fatto gli ebrei del deserto in fuga dalle sponde e dal faraone verso la Syria.
Il motivo di quell'onda sonora, che durava non più di una mezz'ora o un'ora, sorgeva e si propagava dal centro del gruppo delle femmine, che rimanevano a se stanti, mentre di giorno si disperdevano seguendo ognuna le mansioni cui s'erano impegnate, dettate dalle varie contingenze. Un centro a cui i maschi pervenivano senza troppi riguardi o preliminari selezioni, ed era quella la causa del motivo: una confusa sorpresa che dava origine al riso divertito delle femmine destinato a propagarsi immediatamente all'altro sesso.
Ognuno era, o era stato, figlio del riso. I sopravvissuti, destinati, a loro volta, a diventarne motivo.
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