Scritto da © Hjeronimus - Mar, 14/09/2010 - 07:39
Squarci. (2002)
(Racconto pubblicato da Bocca Editori - Milano 2004)
Un uomo viaggia senza meta nell’intrigo asfaltato della city. Entra in un bar, esce dal bar. Sale su un autobus, scende dall’autobus. Si ferma all’edicola, prende un giornale, lo ripone in una ventiquattrore, si riavvia, guarda l’ora all’entrata della Metro, si ferma, getta un’occhiata in cielo: sta per piovere. Decide di scendere nella Metro e cerca un telefono. Telefona: - Allora? Ci vediamo? -, dall’altro capo, si capisce, qualcuno dice sì. – Dove scendo? Alla Stazione?
Okay. Ci vediamo! -. Scende dalla scala mobile. Ha uno squarcio enorme nel petto e afferra di nuovo il giornale dalla sua valigetta, onde utilizzarlo a mo’ di tampone, per il sangue. Va a un’altra edicola: - Un paio di biglietti, per favore. Grazie -. Tiene la ventiquattrore sotto il braccio sinistro, mentre con la destra cerca i soldi per i biglietti. Inevitabilmente l’impermeabile scuro si allarga, facendo sanguinare lo squarcio sulle pubblicità del chiosco, poste “a sandwich” lì accanto. Porge all’edicolante una banconota chiazzata di “pallini” rossi, e quello gli restituisce un’occhiata ottusa, carica di livore. - Ai treni, direzione… okay! -.
C’è un ritardo. Una tale, anziana e petulante, si mette a deprecare l’amministrazione delle tranvie, delle ferrovie, del Comune, della Regione, del Governo, eccetera e lui sorride di circostanza cercando di sottrarlesi o, quantomeno, di tacitarla. Ma appunto il ritardo della Metro ha causato una ressa impressionante, davanti ai binari e, se tentasse di defilarsi, sarebbe un’impresa scivolare tra tutta quella gente senza insozzare qualcuno. Resta laggiù, davanti alla linea gialla di demarcazione della soglia del pericolo, a sorbirsi gli improperi “urbi et orbi” di quella creatura acida ed anonima. Il treno infine si fa vedere, rissoso, straboccante, completamente ricoperto di scarabocchi insulsi con cui dei novelli Basquiat credono d’aver immortalato qualcosa di diverso dalla loro noia nevrotica e dalla loro tronfia disperazione…
- Maledizione – Dice tra sé. – Ma sì, chissenefrega! – Cerca di farsi largo: è tardi, ha fretta. Nel lasciarlo passare, la gente tenta in ogni modo di non venire a contatto con la sua ferita sanguinante. Qualcuno inevitabilmente s’inzacchera: - Scusi, sa?… Ma vede?…- Balbetta, indicando il suo problema. – Sì sì: va bene, capisco. Ma un po’ di buona educazione… Che cavolo! – Fa qualcuno dal mucchio. Due ragazzini bisbigliano lanciando occhiatine furbe e feroci allo squarcio che intanto, in mezzo a quella ressa, ha preso a formare vistose bolle arancioni, che però esplodono quasi subito. I ragazzini si divertono a guardarle. Lui si ricorda di una festa, tanto tempo fa. Cercava di mettersi in mostra, perché c’era una ragazza neanche così carina, ma che l’aveva colpito. Cercava di farsi vedere da lei, di attrarla con qualcosa di interessante. Certo, a quei tempi lo squarcio non era così vistoso e, a patto di non lasciar scoperta la camicia, la macchia rossa sulla giacca o sul pullover si intuiva più che non si potesse affermarla. Poteva sembrare qualcosa come una decorazione, qualcosa di cervellotico, di stravagante, sì!, ma chi ci faceva caso, oramai, più?… Quella sera gli era riuscito di parlarci con quella lì, anzi sembrava che lei s’intrattenesse con lui di buon grado, quasi attratta, quasi incominciando a innamorarsi di lui… Poi vennero gli “amici”, quelli che devono sempre buttarla sul ridicolo. Lo sfottevano, si sganasciavano, dicevano che lui negli affari di cuore era particolarmente “esposto”, che aveva il “cuore in mano”, che “si vedeva com’era di cuore”, eccetera…
Una volta percepite le allusioni, lei aveva subito incominciato a disamorarsi. Certo, avrà pensato ai problemi di abbracciare uno così, per esempio, oppure andarci al cinema, o andar a cercare casa seminando dappertutto quella bava rossa, … come una chiocciola… già, certo… niente, niente, non devo pensarci al passato… una pietra sopra, ecco… al diavolo… fatevi fottere…
Dai finestrini appannati della Metropolitana stracolma, si vede solo la fuga nera del buio, che arranca a ritroso davanti alla fretta vittoriosa del treno, che lo calpesta, lo disseziona, ma solo parzialmente – che quello immediatamente gli si richiude dietro. Ripensando a quella esile avventura lontana, l’uomo quasi si appisola, sul corrimano, in piedi davanti al finestrino orbo e lercio. Quando rientra in sé, guarda con attenzione: dalla barra del corrimano, scivola giù, lungo la parete di fòrmica, una larga chiazza di sangue caldo che i vapori umidicci del gran respirare che fa tutta quella folla, fa fumare come un consommè. L’uomo prende schifo di sé, si vergogna, si scusa, esce di lì di corsa, se la batte, come un delinquente sorpreso a frugarvi nelle saccocce…
La vita è qualcosa di cui vergognarsi - quando avete il petto squarciato.
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