è vitale voltarsi in dietro sulla strada che allenta
la luce e ci grazia di ghirlande
inseminazioni esatte per la stagione, approfittando
del pane che dorme e i cachi
inconsiderati fra la neve, mostrano
i miracoli che fa il Natale
girarsi attorno dall’ostinazione
di una casa, come ladra di quartiere
porte che parlano alle porte
sminuzzarsi, concatenando traslazioni
silouette
dipinta sulla vetrina del barbiere
fummo soliti leggere foglie e disordini
stagnature sugli orli del tempo
sconnesso, un andirivieni come il comporsi
di fiordi nell'apnea delle nuvole
*
venne il giorno per il perenne amore
che fu tutto un chiudersi fuori, un vagare
per togliersi di mezzo
monologo reciproco, imbiancare d’ombra
lo scheletro di una mano, sul muro, gli zigomi
a bruciare le intercapedini di ogni riminiscenza
*
abbiamo scelto la strada della fornace
i fossi erano larghi come spicchi di fanghiglia
trovammo la sua bicicletta rossa
lei, poco più in là, pallida come il sale
arrugginita di melma
che lievitava maniche fuor d’acqua
sculture pronte a cuocere
aveva chiesto la cremazione sulle coltri di giaccio
nei luoghi chiusi non voleva tornare
preferiva mettere al macero le carte, la gente
le vecchie cose, forse il Natale, che considerava
cometa minore, sgomento chiuso a chiave
si era sempre resa conto delle sue mediocrità
ma invadeva il bianco della neve
con la naturalezza del sangue
senza compleanni, senza cimiteri
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