Scritto da © sid liscious - Gio, 03/10/2013 - 20:21
Scritto da © scrittura collettiva - Dom, 11/09/2011 - 02:39
Introduzione
La proposta ha la presunzione di coinvolgere molti di voi.
L'idea è quella di scrivere un racconto unendo la fantasia di ciascuno, e che tratti di un viaggio sottoterra, partendo dalla mistica considerazione de “l’albero rovesciato”.
Potranno essere inventate situazioni, personaggi, animali o altri esseri e scenari, incontrati lungo il comune itinerario. Per questo il titolo richiama viaggi mitici e fantastici.
I contributi potranno essere di qualsiasi tipo, poesie, racconti... A noi andrà il compito di inserirli cercando un filo conduttore nel rispetto dell'incipit che sarebbe comunque auspicabile venisse sempre seguito.
Così come è certo che tutti i bravi autori di Rosso, non cadranno mai nelle cadute di stile che solo rappresenterebbero stonature nel coro.
Sarebbe davvero bello riuscire a scrivere, insieme, un libro vero.
Grazie a tutti della collaborazione (fabirob)
Mi sono svegliato stamattina. Nulla di strano capita quasi tutti i giorni. Ho annusato l'aria che tirava e in quell’azione percepivo qualcosa di strano. Mi sentivo sotto sopra. I piedi in alto e la testa per il suolo. Guardavo il soffitto della camera e lo trovavo intrigante. Mal posizionato. E sì che stanotte non avevo sognato molto. Anzi pensavo di essermi limitato. Ho tirato su la tapparella. E fuori era buio pesto. Non c'erano nemmeno i lampioni che illuminano sempre la notte. Ci sono rimasto male. Ho allungato la mano oltre la finestra aperta e l'aria era... terra. E stranamente la potevo trapassare con la mano senza resistenza alcuna. O meglio l’effetto era simile a quando si allunga un braccio nel’atmosfera e non si trova nessuna resistenza. Non capivo. Ho aperto la porta ed uguale. Terra bella solida mista a roccia che non mostrava orizzonte. Facendo quattro passi cominciai ad intuire. Il mondo si era girato. Perlomeno il mio. Camminavo sulla crosta ancora ma per sotto. Manco adesso spettasse al cielo produrre la forza di gravità ed il centro della terra fosse diventato l'infinito. Le radici degli alberi, che non vedevo ma percepivo, trasformate in chiome. La carota retta verso non si sa cosa. Ho fatto un buco sul pavimento e messo fuori la testa... per controllare. Tutto normale però non riuscivo a respirare. L'aria, che solitamente mi donava la vita, s’era tramutata in terra per via del capovolgimento. Era come se fossi immerso nell’acqua e andassi in apnea e dovetti tornare sotto e richiudere in fretta il buco. Nel frattempo cominciai a sentirmi ed annusarmi intorno stupefatto. Incontravo gallerie che conducevano verso la superficie. Un verme sbucò dalla mattonella. Blaterò due cose incazzato e tornò dentro. E sentivo parlare i miei simili.
< Hai visto Rosina? > < No, non vedo nulla.> <Si, scusa dai non c'è luce.> Se non che ti percepisco benissimo e ti trovo al solito in gran forma... con tutte quelle forme. E catturo il calore umano che emani e la fragranza della tua buona predisposizione. Il cielo è anche scomparso. Pure se non ne sento il bisogno. Pazzesco assolutamente pazzesco. Io ho già deciso... parto di testa. Un'esplorazione "di lei" verso il centro della terra effettuerò. Che stavolta di certo quando e se ci "finirà" l'infinito sarà finito. Una volta per tutte. Un andare mitologico con incontri mitologici ovviamente sarà. Chi sostituirà la sirene? Come saranno i nuovi ciclopi? Che inventerà la prossima Circe per fermarmi? E Penelope stavolta verrà con me? Troppo allettante mi ci butterò a testa in giù conclusi. Oh! scusate a testa in su... dimenticavo l'inversione di tendenza.( Sid liscius )
Intanto da subito già...
"Mi arrovellavo guardandomi intorno assillato dai pensieri. Sempre troppi e spesso senza capo né coda. Sempre fastidiosi ronzavano intorno come calabroni dall’olio santo. Era troppo facile pensarsi così come eravamo, dicevo fra me. Così monotoni, così banali. Senza mai niente di straordinario che modificasse l’abituale e consumato modo di pensare. Siamo diventati degli stereotipi in bomboniere senza etichetta. Ecco, quella era la mia conclusione! In quel mentre un pollone verde ramarro, salta fuori da una scheggia del parquet. S’infila nell’aria cupa della stanza attorcigliandosi come un’elica al lampadario spento. Si ferma sbarrandomi la strada e mi fissa occhieggiando tra gli stami gemmati. I suoi peduncoli barbosi penzolavano ondeggiando mentre scuoteva la corolla dorata. Sembrava volesse dirmi qualcosa. Ma cosa? Come avrei potuto interpretare il suo linguaggio se mai avevo dato importanza alla bellezza dei fiori, al ciclo della vita di una pianta e alla sua sintesi clorofilliana? Ho provato a chiudere gli occhi e immaginarmi in una giornata di sole. Ma anziché voltare lo sguardo verso l'alto delle foglie, mi tuffai a testa in giù come un saltapicchio nell’asfalto. In quella posizione potevo respirare l’odore della terra e udire l’allungarsi delle radici alla ricerca dell’acqua. In quell’attimo giunse alle mie orecchie la voce del tralcio pencolante. < Non sai che la disposizione verticale simboleggia la totalità dell'albero e del corpo umano? La testa (Emanazione), il tronco (la Creazione) il ventre (la Formazione), le gambe ed i piedi (il Regno). Ma l'albero delle Sephirot rappresenta contemporaneamente anche il cosmo: il tronco, il ventre e la testa nella persona; l'atmosfera, la terra e i cieli, nel mondo; il tronco è del soffio, la terra è dell'acqua, i cieli del fuoco. Si completa in questa maniera il simbolismo dell'albero nella persona e dell'albero nel mondo. Si ritrova pressoché ovunque la tradizione dell'albero rovesciato come simbolo del cosmo. Tutte le potenze divine formano, come l'albero, una successione di anelli concentrici. L'albero della vita si estende dall'alto in basso e il sole lo illumina pienamente". Secondo Platone, l'uomo è una pianta rovesciata, le cui radici si estendono verso il cielo e i rami verso la terra; le radici dell'albero nella tradizione islamica affondano nell'ultimo cielo ed i suoi rami si estendono al disotto della terra. Lo sapevi che i Lapponi, nel corso di una cerimonia dedicata ai dio della vegetazione, pongono presso l'altare un albero con le radici verso il cielo e le fronde a terra? In certe tribù australiane, gli stregoni piantavano un albero rovesciato. Potremmo quasi dire che l'universo è un albero rovesciato. Verso il basso si dirigono i suoi rami, in alto si trova la radice. Dell'albero rovesciato parla persino Dante Alighieri nel "Purgatorio", descrivendo due alberi rovesciati, vicino al vertice della "montagna", immediatamente sotto il piano dove è situato il Paradiso terrestre... qui giunti, però, gli alberi appaiono raddrizzati, nella loro posizione normale. Quindi, questi alberi sono in realtà soltanto aspetti diversi dell'Albero Unico e appaiono rovesciati unicamente al disotto del punto in cui ha luogo la rettificazione e la rigenerazione dell'uomo. Ciò che sta in alto, si riflette in senso inverso in ciò che è in basso, come sulla superficie dell'acqua. L'albero rovesciato non è quindi solo un simbolo. Platone dice che l'uomo è una "pianta celeste". Questo Albero Mistico racchiude anche il simbolismo sessuale maschile e femminile, congiunge quindi i tre mondi di Dio, dell'uomo e dell'Universo: l'uomo e l'universo si riflettono a vicenda e entrambi si riflettono nell'Infinito>. <Ecco allora>, concluse il pollone,< gli uomini come te, devono mettersi in rapporto a due punti di vista complementari e diversi a seconda che lo si guardi dal basso in alto, o dall'alto in basso. Ossia, a seconda che si collochi dalla visuale della manifestazione o da quello del principio. Al che, l'albero in posizione normale può rappresentare l'ascensione della materia nello spirito, l'albero rovesciato al contrario la discesa dello spirito nella materia. La sua incarnazione”. Queste parole mi erano giunte come un suono dolce. Come il fruscio del vento fra le foglie. Eppure ci trovavamo in mezzo alle radici. Il pollone si era tuffato nella terra per giungere fino a me. Era un suono ed io non lo ascoltavo con le orecchie. Percepivo vibrazioni sonore attraverso tutte le cellule sparse e in contatto con il sottoterra. (fabirob)
E via, quindi definitivamente convinto da questa razionalità "mistica", mi concentrai... Se non che... Cavolo! Esclamai invece improvvisamente, va bene la simbolicità, le culture, il misticismo e quant'altro, però porca miseria: io respiro la terra! Non mi frega del perché e percome, degli alberi rovesciati e dei i Maya e gli Aztechi e le Piramidi eccetera. Allora, analizziamo: respiro terra. E vabbe’, sono rovesciato. Uhm, anche questo è un dato di fatto. Indi, cosa è successo? Non so più dove sono...mi sento male, l'aria (pardon, la terra) mi manca... nei polmoni, non sotto i piedi. Che casino, non posso nemmeno più ragionare normalmente. Io rivoglio la mia vita, le cose al posto giusto, gli alberi magri rachitici della mia periferia di cemento, schifosa grigia, ma sicura. Forse... anni fa lessi un libretto... come si chiamava? Ah sì: le città invisibili. Ce n'era una, di cui non ricordo il nome, dove tutto era rovesciato. E se fossi finito lì? [ Sì quantunque, quello è letteratura e poi, mica ne uscivano gli abitanti. "Pertanto". E cos'è?
Un suono lontano, dolce, come quello del pollone senonché meglio. Una ninna nanna.
Oddio... Ma che dolce... mi attira, vado a vedere dai, tanto soluzioni non ne ho...
cammina l'uomo, in mezzo alla terra, come il primo esploratore del cosmo, le mani avanti per tastare il buio e le orecchie da occhi.
Oh...ecco, ora è vicinissimo...si vede niente...
di fronte a lui, noi lettori sappiamo esserci qualcosa
sento...sento che la voce dice il mio nome, sembra femminile, sembra sofferente... la devo salvare?
La tocca l'uomo, la tocca e sente un corpo, ginoide sembra e pure snello, bensì sotto qualcosa... delle squame? Forse sì, squame di pesce.
Una sirena? E come salvo una sirena interrata?
La sirena stava morendo. Insieme a lei l'uomo, tenendola per mano "morì". (In Viola veritas)
Ecco visto? Il dubbio che mi frullava ancora in testa mi diede la spinta per fare il primo passo. E senza rendermene conto ero già affondato. Tanto che un'altra voce a questo punto mi convocò. Era il mio amico scrittore eremita nell'oscurità. Un giorno vi racconterò di lui. Sei tornato mi disse. Si risposi, volevo cominciare ad esplorare cosa c'è qui sotto veramente. Tu che ci stazioni hai mica per caso qualche chicca di conoscenza? Qualche tua allettante scoperta che vivendo il luogo sei venuto a conoscere? Oh certo certo, milioni di chicche. Dai dimmene una raccontata in prima persona che così parteciperai all'evento attivamente.
Con piacere...io...
Io non lo so, ad esempio, ma a volte c'è veramente da perdere la pazienza.
E la fiducia pure.
E da immaginare il nostro futuro nero nero per di più.
Mai che l'uomo capisca al volo.
Mai una volta.
Porcaccia miseriaccia.
Gli ufo.
Che galassie e galassie e pianeti lontani!
Lo dice il nome stesso:
Umanoidi forzatamente orbi.
E chi è che sta forzatamente orbo?
( Spero che a questo ci arrivate )
Logico!
Colui che deve vivere in ambiente buio.
E dove c'è un ambiente perennemente buio?
Ovvio direi io, però non metterei la mano sul fuoco per voi.
Sotto terra.
Ci sono seimila chilometri minimo di buio fra la crosta ed il centro.
E volete che siano disabitati?
Volete che Dio abbia sprecato strati e strati del suo creato negando loro delle vite?
Io non ci credo.
Insomma miei cari non so perché un inetto, instabile e tendente depressivo tale a me...
Deva sempre risolvere le questioni.
Gli ufo sono dentro alla terra infatti, io li ho visti e le prove di questo sono evidentissime.
Per quale motivo arrivano nell'atmosfera con dischi piatti?
Mi sembra lampante.
Viaggiano per fessure e spaccature della roccia o piccole crepe create dall'acqua...
Indi servono mezzi appositi.
E come mai spariscono così all'improvviso?
Ah, questo è esilarante.
Il mondo intero guarda curioso in su e loro si infilano nel buco di giù.
Tutte cose evidentissime ripeto.
Che poi loro hanno tentato addirittura di venirci incontro.
E con varie modalità.
I segni e le figure del deserto peruviano?
Ci hanno scritto il loro alfabeto braille e in grande per aiutarci a comunicare.
Se non che noi abbiamo considerato di tutto tranne questo.
I cerchi sul grano?
Sono disegnati dall'interno in modo da attirare la nostra attenzione sul fatto che lì c'è qualcuno.
E nessun risultato ancora hanno ottenuto.
Le figure nell'isola di Pasqua?
Ci hanno perfino mandato i loro ritratti.
E niente in cambio di nuovo.
Incomunicabilità totale causa nostra intelligenza che ha distrazioni multiple.
Ed indirizzate solamente alla comodità di pensarci unici dotati di cervello creativo del pianeta.
Un giorno o l'altro ci invaderanno per sfinimento e manifesta inferiorità...
Saltandoci fuori dal water.
E noi non avremo opzioni per contrastarli...
Tanto sotto c'è solamente il demonio e lui non può salire.
Ed invece chissà che ricchezze potrebbero donarci in cambio di un po' di cornee prodotte geneticamente.
O di che genialità sarebbero in grado di farci scoprire per delle lenti a contatto interattive.
È proprio vero chi guarda il cielo non si accorge di avere le scarpe slacciate.
E quando qualcuno lo fa notare il primo pensiero che viene è...
Oggi mica siamo il primo d'aprile.
Che noi siam proprio furbi e non ci sfugge niente.
Niente.
Niente.
Niente.( Sid liscius )
L’amico eremita volge la chioma terrosa verso un vociare apparentemente poco lontano. <Cosa succede?>, domando. <Ah è l’ora dei comizi> risponde lui. < Cosa credi che qui sotto sia tutto morto? Eh no caro mio! Sotto terra niente muore. Anzi, risorge! O meglio Muore per poi rinascere. Mi spiego. Hai presente il seme che se caduto in terra non muore, poi non può dare frutto? Beh, qui succede più o meno, la stessa cosa>. <Cacchio che scoperta> dico fra me. <Mi piacerebbe assistere al comizio> dico all’eremita. Lui, con la chioma riccia “terrosamente” rossastra, ammicca. Mi si avvicina e mi dà un pacca sulla spalla, sollevando una nuvola di polvere. <Vedo che sei curioso; la curiosità deve sempre essere soddisfatta>. <Guarda, comunque, che il luogo del comizio non è poi così vicinissimo. Hai dimenticato che le onde sonore nei solidi si propagano più velocemente che nell’aria? Questo vuol dire che le voci che senti, sono più distanti di quanto la tua normale percezione ti suggerisce. Vieni andiamo, da qui saranno almeno a Ventimiglia>.< Ventimiglia città o a venti miglia di distanza? < . Tutt’e due, che t’importa? Ostrega come sei pignolo!>. Cammina, cammina, cammina, anzi scava, raspa e ri-scava, arrivano alla piazza “Terra di Siena”, dal nome della città che stava proprio lì sopra, in corrispondenza, alla profondità della Torre del Mangia. <Tutto quello che sta fuori dalla terra, viene da sottoterra!>, strilla a gran voce, l’oratore, dimenando i suoi stracci polverosi, che gli cadono dalle braccia esili e nerborute, ogni qualvolta batte il destro. <Chi è quello lì> domando incuriosito. <Quello è il portavoce dei sassi. Sale sul palchetto fatto con radici d’olivo e quercia intrecciate e tenute insieme con resina di pino. Si mette bene in vista e richiama l’attenzione della folla su temi di interesse generale, che stanno a cuore a tutti.> Il portavoce dei sassi, era grigio, grezzo e bitorzoluto, quasi informe. Ma ha carisma. Ricorda un po’ un sindacalista prima maniera con piglio e cipiglio di un sessantottino con l’eskimo. Arringa la folla di lombrichi e semi che via, via, si avvicinano interessati. I primi stringendo e ondulando i girelli purpurei e i secondi sottolineando le esternazioni, con battute di cotiledoni talmente rapide e violente, da agitare finanche l’endosperma. Mentre il portavoce blatera elucubrando anatemi, volge il bitorzolo oculare verso il basso. <Già, perché gli uomini cialtroni, dissacratori e usurpatori della Natura>, dice, <stanno sotto i nostri piedi, giù a Ventimila leghe più sotto. Pardon, Ventimiglia! Voi, uomini di carne, d’istinti e poco spirito, continua il sasso gibboso, non avete la più pallida idea del potere della Natura! Non vi rendete conto di quanto sia sovrumano, e stia oltre la percezione di ogni vostro concetto di misura. Avete voluto violentare la Terra! Le avete sottratto la compattezza, sgretolandola, svuotandola di liquidi e gas. Le avete succhiato l’anima!>. Il tono della sua voce, s’inalbera nel pronunciare queste parole, mentre la folla rinvigorisce il suo consenso e lo sottolinea con un frastuono assordante. La percezione del consenso, fa alzare ancora di più il tono della voce al sasso urlatore. <Avete sottratto metalli, pietre preziose, squilibrato elementi , solo per egoismo, futile ed effimero, che non durerà nemmeno quanto la vostra vita>. E giù, fra la folla osannante, scrosci di cotiledoni sbattuti e girelli d’onde ritorte. E’ a questo punto che si scatena l’apoteosi roboante. Nel momento in cui l’oratore grida a “Gran sasso”: < Ridateci tutto indietro! Rimettete tutto a posto prima che la Terra sprofondi e vi inghiotta disperdendovi come liquame per concime!> Di fronte a quell’entusiasmo emozionale e a tanta profondità riflessiva, non posso fare a meno di uscire con la mente da quell’antro inseminato, lutulento e lombricoso. Penso al mio alloggio a Parigi, al 19 di rue de l'Est, al secondo piano. Quando mi capitava di andarci d'estate, la vista spaziava sulla notte, guardavo le stelle, mentre d'inverno la luminosa foschia della grande città, s'alzava al di sopra delle cose. Si vedevano grondaie, tetti, gatti, e il profumo di croissant si infilava fra le lenzuola stese contro gli abbaini. Da qui riflettevo che solo chi soffre può comprendere veramente chi ha sofferto , le altre persone parlano una lingua che non capirò mai. La volgarità invade le strade,nell'indifferenza di tutti. La dignità è calpestata, negata, cancellata. Dieci ore, dieci ore di catena di montaggio, uomini e donne, vilipesi nel loro bene più grande, insieme alla libertà … la loro dignità, come lavoratori e esseri umani. L'amore vero é eterno, non muore, non si consuma...resiste a tutte le avversità … a volte sembra svanire, per un attimo o un po’ più a lungo, ma inevitabilmente ritorna, dentro di noi. Mi osservo e mi ascolto,poi medito ed elaboro ... "il viaggio più bello è quello dentro di noi". Scrivere allora è una liberazione, serve per lenire la solitudine dell’uomo, i suoi conflitti psichici, il suo senso di smarrimento. Il mio desiderio ardente è ricevere dagli altri ciò che io stesso vorrei donare”. Questo pensiero irrompe nella memoria e risucchia, tra le immagini, le ultime parole che lei aveva pronunciato prima di salutarmi:
“C'é qualcosa che si alza stanotte, come prima di un temporale estivo dai balconi spalancati; sono polveri d'insetto e sottovesti chiare. Sono lenzuola sporche di ruggine sul grande prato azzurro, dietro casa. Ed io, sotto l'ombra muta del tuo sguardo, ti vedo raccogliere le forze disperse, e aspetto il tuo prossimo movimento, affamata di te”.
Che cosa rende tutti i giorni uguali? Dimmi. E cosa li rende diversi? Spesso tutto resta uguale. Come quei giorni, quelle settimane, i mesi, sempre uguali, sempre gli stessi, come quei sabati sera mestamente malinconici, come un cuore sempre vuoto e triste. E poi ogni tanto arriva la morte di qualcuno. A ricordarti che la vita è breve e non sai cosa c’è domani e dovresti vivere intensamente ogni oggi senza affannarti per cose che non ci sono e che forse non arriveranno mai. E sai anche che dovresti essere tu a fare in modo che i giorni non siano sempre gli stessi e sempre uguali. Perché nulla cambierà mai da sé se non sei tu a fare in modo che cambi. Ciò che rende i giorni uguali è l’apatia, il rifiuto di sé. Lo scandire del tempo rotondo come la sveglia che suona sempre alla stessa ora. La solita sveglia fastidiosa di prima mattina, lo sforzo solito enorme per alzarsi magari perché la sera prima hai fatto tardi per vedere il film in tv. Ennesimo sogno interrotto, solita colazione, abituale problema davanti all'armadio perché non sai ancora cosa mettere; così prendi quella maglietta rossa che ti balza prima all'occhio anche se stai ancora dormendo e poi quei pantaloni scuri, anzi no, meglio i jeans appoggiati sulla sedia due sere prima. Ennesimo sorriso davanti allo specchio, magari cercando che cosa è cambiato da ieri. Ti radi facendo le solite smorfie; solito sorriso a pieni denti davanti allo specchio dove non puoi fare a meno di notare come ti sta e ti aspetti magari il saluto di quel bambino che tieni ancora chiuso in te. Ma ok, con un po' di autostima sistemi i capelli ancora addormentati. Poi via. Ti siedi al tuo tavolo di lavoro, passano le ore, solita passeggiata in corridoio magari sperando di incontrare quel viso che gradisci, o sperando in quel saluto o in quel sorriso a cui avevi pensato prima di uscire. Ed ecco che mentre cammini lei è là, col solito sguardo intenso ma perfetto. Il solito batticuore e il solito tremolio alle gambe, il solito convincimento che non te lo scorderai mai. Ciò che li rende diversi, i giorni, è l’inquietudine, i sentimenti forti come la rabbia per non essere riusciti ancora a trovare risposte adatte alle tue domande. I sentimenti negativi cui vuoi ribellarti per lo spirito di sopravvivenza che ti perseguita. Sai di essere destinato ad un altro tempo fuori di questi giorni che scivolano via. La percezione della precarietà dell’esistenza, ecco che cosa rende diversi i giorni l’uno dall’altro. L’esistenza che non ci appartiene perché è labile, fine come sabbia che sfugge tra le dita. Il senso di fragilità che ti rende bisognoso di sognare, di sperare, di lasciare una traccia buona di te, per chi verrà dopo.
Mi scuote un invitante profumo di popcorn appena tostato. Ero talmente perso nel mio mondo di fuori, che non mi sono reso conto di quanto la temperatura fosse salita in quella Piazza di Siena. Non so se per l‘ardore e la foga del tifo seminale o se per un’ondata di caldo infuocato proveniente dalle viscere della Terra ormai al limite della sopportazione. Poveri semi, quasi s’abbrustoliscono. Un altro pensiero sopraggiunge riportandomi via:” Come il seme contiene l'albero, l'albero contiene il seme. Spesso guardiamo solo le foglie, i fiori. Non pensiamo che senza radici non esisterebbero. Sarebbero orfani di blu tra fragili serpeggiamenti di freschezza come un glicine sfiorito”. L'aria è torrida, irrespirabile. Quanto m’assale questa smania, quando m’assale. Le voci si infilano nelle orecchie del vento, tra le pareti dell’eco. L’amico eremita mi prende un braccio e mi rimprovera: <Dai sognatore, non è tempo per sognare. Dobbiamo tornare>. < Sì certo scusami, è che quando parto, la mente non so mai fin dove mi può portare! Ma, a proposito, dimmi, finisce tutto così? Il sasso urlatore ha smesso di blaterare. E’ tutto finito? >. < Nooo, magari!> risponde. < Ora tocca al portavoce dei semi, poi a quello dei metalli, dopo a quello del petrolio, e dopo ancora a quello del gas..ecc. Qui è un viavai continuo, un susseguirsi di comizi e di folle radunate, con voci alterate e cori urlanti. Ai piani superiori, in “crosta” intendo, si percepiscono come brontolii. Il problema maggiore è quando si mettono tutti infila e sbattono i piedi per protestare. Ecco è lì che in “crosta”, trema tutto!>. Mi sembra di camminare dentro un fiume carsico, fatto solo di pietre e di buche. Proprio come il primo esploratore del cosmo, le mani avanti per tastare il buio e le orecchie da occhi. Silenzi, venti che non muovono le foglie, tempeste di lampi senza tuoni, centimetri di noia che misurano il vuoto polveroso e l'attesa incoronata di ansietà. Ma il silenzio è solo apparente. Qui anche le parole sembrano salire dal fondo; talvolta sono solo pesci morti. (fabirob)
Bene, bene. Anzi, benissimo. Ora mi sento di poter dire che, se vuoi puoi avere anche tu la tua "visione", disse raggiante il mio cicerone, dopo l’ultimo intervento. Di elementi solidi cominci ad averne. Puoi iniziare a lavorarci sopra... Da un lato mi fai venire voglia di aggregarmi stabilmente a "voi", però dovete sapere una cosa prima. Quando le dinamiche vanno al contrario, serve essere vigili per capirlo. Assodato che, di fatto, loro mica presentano uno sgradevole aspetto. No, no. Lasciano difatti lo stesso ampi margini di godimento alla soddisfazione personale. E questo risulta altamente fuorviante. Fa credere che siano credibili... finalità invece evidentemente dalla doppia faccia. Se non che questo è un concetto non facilmente afferrabile allora io ho pronto un esempio rivelatore. Avete presente la montagna? E la pianura? L'altitudine ed il livello del mare? Ebbene, tutti noi non abbiamo mai avuto nulla da ridire rispetto ai loro comportamenti. Eppure sono assurdi e contro tutti i principi della logica. E dubito bastino le scuse di un’atmosfera posta in rotazione per renderli lineari. Mi spiego. "Fuori", lassù... lassù c'è il sole. E fin qui tutti d'accordo. Dal sole si irradia un calore incredibile. E mi sembra ovvio, è incandescente e brucia in continuazione. Questo calore è fortissimo più ci si avvicina a lui. Icaro docet, fino a bruciare quindi ogni tipo di vita. Poi, man mano che ci si allontana da lui, perde come dire la sua . E questo è fenomeno sacrosanto. Basta mettere la mano vicino al fuoco e poi allontanarla per rendersene conto. Ora... Ora ditemi voi come mai in cima a una montagna fa più freddo che in riva al mare. Porca miseriaccia, è contro tutti i principi della logica. La montagna per quel che ne so è senz'altro più vicina al sole visto che si eleva. Vabbé ho capito che i nove chilometri al massimo, considerando le reali distanze fra pianeti, sono chiaramente poca roba. Per la stessa ragione matematica, però, non possono essere zero. E allora il concetto va a farsi benedire. E con lui tanti altri. Niente, infatti , funziona diritto a livello epidermico nel nostro mondo. Tanto che i suoi abitanti più rappresentativi, a colpi di vari pseudo miglioramenti, si stanno praticamente massacrando da soli. E questo è particolarmente significativo. A me viene il dubbio che la crosta visibile sia abbandonata a se stessa. E che l'anarchia vi regni totale. Comanda sempre il forzuto insomma. Colui che è grezzo e stupido abbastanza per approfittare della sua stazza. Senza nessuna considerazione degli altri. E credo questo sia difficilmente opinabile. Fin dal tempo dei dinosauri azzarderei. E per quale motivo succede? Ah! Ci ho riflettuto tanto, sapete, e alla fine ho concluso che di quel posto non frega niente a nessuno. La nostra pelle serve solamente da territorio per gli sfoghi. Non a caso nei, "vulcani", macchie nere e parassiti vengono sfogati su di essa e così per dentro le impurità non ristagnano rischiando di formare malattie. La terra funziona dritta "inside". Lì, partendo dalla crosta e scendendo in profondità, il calore del nucleo aumenta, via via. E sempre lì probabilmente la vita trova una dimensione più consona. <Non ci credete?> Il succo probabilmente è sempre il solito pertanto dico: <Sono l'unico io, a funzionare correttamente o sono il solo storto fra gli abitanti crostacei?>. (Sid liscius )
Giunge alle orecchie di entrambi, nel frattempo, una voce di polvere rossastra come un soffio vellutato infilato tra le spire di un calore insopportabile, che sapeva di granchi e molluschi imputriditi, nella fogna petrolifera. Aveva il rumore delle onde sulla battigia e il profumo delle alghe strappate agli scogli. Giungeva come un canto melodioso, di sirene imbarcate dalla prua d’Ulisse:
“Le radici capovolte nutrimento attingeranno
dal più elevato pensiero, linfa vitale
scorrerà come sangue appassionato
a risvegliare i sensi. ( Emmad )
Quella mente fantastica
capace di rastrellare eventi e virtuosismi
intinti in mulinelli sistolici
che avanzano a grandi passi
nel bioritmo dell’onirico
risucchiando pigmenti recenti e obsoleti
arati in un campo d’emozioni ….
all’alba d’un sole mediterraneo
imbrattano l’elisir del giorno
raggomitolato nella periferia
di suggestive inclinazioni”. (Silvia De Angelis)
Voglio ancora sognare, non mi farò più piccola di un punto sarò il rumore di quei piedi a battere terra terra e roccia di quel fiume svuotato e salirò la corrente con un volo, forte d'ali e speranze. ( Manuela Verbasi).
Non si capisce da dove sgorghi questa voce, sembra un invisibile liquido di sorgente che lascia il rumore senza mostrarsi. < Tu ne sai qualcosa mio compagno?>, dissi.
<No> dice lui, <mai sentita prima. Se vuoi, potremmo chiamarla "penelope", tessitrice di fili e di sogni sul telaio delle attese senza rassegnazione>. L’ultimo rapsodo delle Cesane, canta l’albero delle nebbie. Esce dalle pagine incollate d'un vecchio Harmony low cost, raccoglie le voci delle fronde, dei fiori, delle erbe, si china ad ascoltare gli echi che risalgono dai fossi e li orchestra in una sinfonia connotata di mistero.Tutto è travolto e stravolto, là dove ognuno può vivere con le voci magiche dei luoghi persi, nel canto dolente e nostalgico della memoria e la tradizione del sangue che feconda i sogni.
<E’ gratificante sognare. Una necessità, oserei azzardare. Indubbiamente potrebbe essere una buona idea>, aggiungo rivolto all’eremita scrittore e gli domando:<E chi non sogna? Chi in realtà, davvero, non lo vuole?>. E lui: <Io sono uno fra i primi che non vuole rinunciare a questa dimensione della libertà>. La memoria dei sepolti vivi, come noi, esige un rispetto profondo che ci rende quasi prigionieri. Sognare allora, è poesia, è religione. E’ la voce che viene dalle frontiere della coscienza. Un libro di luce di notte che diffonde nuvole di non sapere. E’ la rivolta perpetua contro il silenzio, l’esilio e l’inganno. E’ un bussare alla porta dell’ignoto. E‘ il ronzio delle falene mentre girano intorno alla fiamma, è una barca di legno, ormeggiata nell’ombra sotto un salice piangente, nell’ansa di un fiume. Il sogno è il regno del silenzio, da cui parla con la voce della coscienza più remota e sconosciuta. Il sogno è una realtà parallela che non ci appartiene. Sta dentro e fuori di noi. Spesso sono solo parole vuote quelle che gettiamo nella mischia. Invece la verità è nel silenzio. E così come la verità è nel silenzio, la forza è nella quiete. Non c’è lotta senza pace interiore. Allora occorre imparare bene a sentire il movimento di ogni cosa, anche restando completamente immobili. Sognando, appunto, al confine tra realtà e immaginazione>.< Così, come stiamo facendo in questo viaggio?> gli domando. <Già, proprio così!>. < Ma senti un po’, tu sapientone, che te ne stai qui sotto a raccogliere tutti gli sputi di sapienza che da laggiù ti arrivano su, attaccati ai peduncoli barbosi dei polloni. Cosa sono i sogni? Da cosa nascono? Perché nascono? Che cosa li genera? E dove approdano? Quale funzione mai avranno? E se prendono consistenza reale dentro di noi, perché non riusciamo a dominarli come facciamo coi pensieri?>. < Non è facile rispondere a tutte queste domande, mi interrompe. <Gli studiosi dicono che i sogni sono generati dal subcosciente. Ed io <Ma se i sogni fossero generati dal nostro io interiore, perché non riusciamo a dominarli? Se così fosse, allora anche il nostro io più profondo non ci appartiene e ci porta a vivere anche in altre dimensioni che non sono quelle tipiche delle realtà emozionali fino ad ora conosciute>. <Proprio così>, riprende. <Soprattutto la dimensione onirica ci permette di vivere delle situazioni da protagonista in situazioni reali che mai avremmo pensato di vivere e provare così tutte le emozioni corrispondenti … come se tutto fosse vero. Per questo, a volte, ci svegliamo di soprassalto, sudati e con il terrore negli occhi, contenti che sia stato solo un sogno. O, viceversa, non vorremmo aprire mai gli occhi per non fare sfumare la dolcezza delle emozioni gradevoli che ci avevano accarezzato fino a pochi istanti prima. Durante il sonno viviamo emozioni uguali a quelle che vivremmo in una situazione reale. E dopo il risveglio esse lasciano dentro il corpo, le tracce della delusione o della gioia che abbiamo provato, a tal punto che se sono state emozioni gradevoli, cerchiamo di riviverle ancora, cercando quasi di darle corporeità, mentre se sono state emozioni di sofferenza, ne abbiamo ancora paura e ci imponiamo di dimenticarle. E’ come se durante il sonno, noi non fossimo padroni del nostro corpo e qualcosa ci invadesse dall’esterno>. Ed io, di rincalzo.< Ma i sogni hanno un significato? E, se ce l'hanno, come si può arrivare a conoscerlo? >. < L’amico terroso, prosegue:<Il problema dell’interpretazione dei sogni, per quanto sia stato affrontato da più parti, con esiti peraltro completamente diversi e contrastanti, ne presuppone un altro, concettualmente preliminare, ma ancora più difficile da dipanare: “che cosa sono i sogni?”. In fondo, le due domande sono i due aspetti di un solo e medesimo interrogativo, che ha affascinato l'umanità da tempo immemorabile. C’è chi li considera il prodotto accidentale dell'attività del cervello in condizioni di riposo, per così dire "a vuoto", e chi invece, come secondo il variegato misticismo ingenuo stile new age, vi ravvede il riflesso della propria attività spirituale o addirittura il ricettacolo delle comunicazioni degli abitanti dell'Aldilà. <Una sorta di albero al contrario, come stiamo esplorando ora>. <In un certo senso>, dice lui. <Tuttavia, il sogno è un fenomeno poco materiale, perché è composto di pensieri e la sua sostanza sono immagini, sensazioni e sentimenti. Possono esistere anche spiegazioni diverse dalla fisiologia, pur evitando la metafisica in quanto tale>.Ed io di rinterzo:< Il sogno è capace di rapportarsi all'esterno e fornirci informazioni su di esso? Riguarda solo i miei desideri, dolori, paure, o è invece un canale aperto verso il mondo esterno?> Allora lo studioso sporco di terra, ma carico di cultura mi risponde così:< Nella sua teoria generale della psiche, Jung spostò decisamente il focus della sua ricerca su quegli aspetti, già emersi ma fino ad allora poco sviluppati, che restituivano la giusta dignità allo spirito umano e alle sue manifestazioni. La psiche appariva a Jung come un luogo di manifestazioni di fenomeni complessi, ricchi, variegati e non riducibili ad una sola unica spiegazione, ciascuno individuando il suo proprio principio fondante.
Il primo grande concetto espresso da Jung capace di travalicare i confini dell'angusta strettoia della netta separazione tra l'interno e l'esterno, ossia tra psiche e mondo, fu quello di inconscio collettivo. Jung scoprì questa grande realtà, questo luogo, o dimensione, che travalica i confini del singolo individuo e, in un certo senso, lo mette in comunicazione con tutti gli altri e con il mondo stesso, attraverso un’ intuizione geniale. Naturalmente non in tutti i sogni, o almeno non nel ricordo che ne abbiamo al mattino, è presente l'intera struttura drammatica. Questo può essere dovuto anzitutto all'incompletezza del ricordo stesso, poiché quello che riusciamo a trattenere nella memoria è spesso frammentario. Si può dire allora, che nei “sogni di tutti i giorni", cioè nei sogni comuni, la struttura risulta spesso semplificata, mentre nei sogni importanti e significativi, quelli che Jung chiamava "grandi sogni" tende maggiormente a venire alla luce la struttura drammatica completa. E’ proprio nei sogni importanti, o "significanti", infatti, che sono presenti le immagini archetipiche, quelle forme, o figure universali capaci di parlare alla psiche umana al di là della comprensione della coscienza. I grandi sogni configurano spesso trasformazioni della vita interiore, segnano momenti di passaggio e costituiscono un impulso alla realizzazione di queste fasi. Essi compaiono in momenti significativi o di grande riflessione e revisione della propria vita e rimangono impressi senza sforzo, a prescindere dall'attenzione che noi rivolgiamo alla nostra vita onirica. Tuttavia, un eccesso di sogni archetipici indica una certa debolezza della psiche, una sua scarsa strutturazione, con la conseguenza di una sua sovraesposizione al mondo archetipico dell'inconscio collettivo, che può ulteriormente causare vacillamenti e indeterminatezza>. Lo interrompo dicendo:<Arrischiando qualcosa sul piano della oggettività, si potrebbe affermare che l'interpretazione dei sogni è in realtà molto più un'arte che una scienza, perché richiede doti di intuito e di fantasia più che di razionalità>. Proprio così ribatte lui. <Il vero problema casomai, è stabilire la natura del singolo sogno, ossia capire quale collocazione e quale significato specifico esso abbia. Il problema dell'interpretazione è anzitutto qui ed è per questo che viene spesso ribadito che l'interpretazione dei sogni è davvero un’ arte.
Tutte queste possibili varianti del sogno orientano verso la comprensione della sua natura: il sogno è l'espressione in immagini della nostra esperienza notturna, che può essere vista come una esplorazione del nostro Io profondo, o del nostro Sé, in quel mondo che la psicoanalisi chiama inconscio, ma che si potrebbe estendere all'intero mondo interiore, neppure sganciato dai suoi legami simbolici e conoscitivi col mondo esterno>. < Insomma, una sorta di vita diurna allo specchio, dall'interno> dico interrompendolo. <Sì, come nella vita diurna noi ci aggiriamo per il mondo ed abbiamo l'occasione di fare esperienza di un’ infinità di oggetti e situazioni, a seconda di cosa ci viene incontro e dove si posano i nostri sensi, così nella vita notturna ci aggiriamo nella nostra interiorità, incontrando situazioni e cose che vi sono depositate e, in rare occasioni, superando i confini del già vissuto, per toccare i simboli universali del cosiddetto inconscio collettivo, o le barriere del tempo e dello spazio. Per toccare, infine, lo stato sorgivo, la matrice degli avvenimenti in preparazione o cognizioni al di fuori della nostra mente>. < Wow!!! Sono entusiasmato da questa visione così chiara, in cui hai posto il significato del sogno!>.
Concludendo, il compagno di viaggio, dice:< Se è vero che il mondo materiale non esaurisce la realtà dell'essere, di cui si potrebbe anche dubitare, e se si vuole chiamare mondo spirituale quello che esorbita dal materiale, ne consegue la non validità delle leggi materiali in ambito spirituale. L'esperienza onirica, immersa in questo, è dunque svincolata dalle leggi e dalla logica diurna, legate alla materia, e attinge ad esso secondo leggi e regole proprie, di tutt'altra natura come di altra natura è il suo linguaggio. Si potrebbe pensare infatti che si tratti di una sorta di traduzione di linguaggio, ed anche di un trasferimento da una classe di esperienze ad un'altra. Il sogno, in fondo, rappresenta il ponte tra le esperienze notturne e quelle diurne, tra il pensiero spirituale subcosciente e quello razionale cosciente. La stessa concezione morale del sogno è fuori dai concetti comuni e confligge apparentemente con certe osservazioni sulle esperienze oniriche, come ad esempio i sogni di desiderio, o i sogni osceni o quelli violenti. Ma è una contraddizione solo apparente: quel che c'è di morale nel sogno è la trattazione del tema in questione, il modo in cui esso viene riproposto alla coscienza del sognatore, la sua capacità di ampliare e ristrutturare il campo cognitivo. Il contenuto riguarda la vita interiore nella sua realtà, a volte cruda. Il modo in cui esso è trattato indica la direzione dalla quale esso è guardato, e costituisce il contenuto dell'impulso che ne deriva.> . A questo puntomi permetto di interromperlo per osservare che forse il sogno è un educatore della coscienza, a patto che essa compia il primo passo in tale direzione, ossia faccia lo sforzo di volerne accogliere il messaggio e di cercare di comprenderne il linguaggio simbolico. < Beh>, riprende l’eremita,< il sogno, secondo l’interpretazione schematica di alcuni studiosi, sarebbe la rappresentazione di qualche fatto che nella vita reale non si è ancora compiuto o che non si potrà mai compiere. Se, per esempio, uno sogna di andare a New York, succede che lo sogna semplicemente perché egli a New York non c’è mai andato e quindi gli piacerebbe. Ne consegue che il sogno può essere anche la rappresentazione di un desiderio che si vorrebbe realizzare>. <Seguendo il ragionamento allora, > dico io <se viene sognata in modo ricorrente una persona significa che con essa, è rimasto ancora qualcosa in sospeso. Se il sognatore non la incontrerà oppure se deciderà di lasciarla perdere, è possibile allora, che continuerà a sognarla?>. E lui, sorridendo si scosta da me e con un cenno delle mani, mi invita a proseguire. <Dai, smettiamola di elucubrare. Camminiamo!>(fabirob)
Fatti pochi metri, lungo un pertugio scosceso e stretto quanto una gola affetta da tonsillite, una fitta al fianco mi ferma di colpo, quasi m’avessero dato di pungolo, o peggio, una baionettata. Mi giro di scatto e meccanicamente mi proteggo con la mano, poi, muovendomi a tentoni nella penombra, cerco l’oggetto contundente che mi punge. Lo spigolo d’una lama d’osso sporgeva dalla parete umida strozzando ulteriormente, quel passaggio già angusto. L’afrore del lutulento anfratto si mescola al putridume d’ organismi in decomposizione e al gas esalato dalla parte bassa. Se non fossi certo del contrario potrei dire di essere finito in un deposito abusivo di tartufi neri e pecorino di fossa. Il mio amico esperto, e sempre terroso, scoppia in una risata che il budello sotterraneo trasmette come un brontolio di pancia gonfia. <Ecco un’altra cosa nuova per te>, sbotta di lì a poco. <Come è facile immaginare, sottoterra non ci stanno solo radici, sassi e putridume. Ma anche animali delle specie più strane e sconosciute ai più. Ecco questi sono i resti di uno di questi>. Figuriamoci, con la curiosità che sempre mi muove, non resisto un solo istante prima di domandargli: <E quali, … quali?>. <Ecco, vedi>, comincia a dirmi. (fabirob)
<Uno degli animali più comuni tra gli strati del sottosuolo terrestre è un volatile senz’ ali, camminatore privo di arti, grande pensatore nonostante gli manchi la testa ed ottimo cantore attraverso il suo verso... di canzoni idilliache prive di spartito... che umorizzano l'intero pianeta dal di dentro: L'inalteraptor. In che modo riesce a volare? Normalmente non ne ha bisogno, dovremmo dire, che di ampi spazi per dispiegare planate o risalite non ne ha molti a disposizione. Succede però che ogni tanto, per disattenzione o proprio in seguito ai fatti suoi, cada in un orrido ed essendo molto pesante rischierebbe parecchio di sfracellarsi di sotto non fosse che, in quei frangenti, riesce a diventare piatto come una sogliola. Una cosa dallo spessore veramente millimetrico al caso... allargando a dismisura l'area del suo corpo e quindi ottenendo una specie di effetto foglio di carta lanciato da una finestra. E continua ad allargarsi... che a volte si ferma proprio ostruendo per intero il diametro del buco... per in questo caso riprendere le sue sembianze normali nell'incavo di una parete, oppure fin quando giudica la velocità dell'impatto ininfluente per la sua salute... indi va ad adagiarsi sul fondo tranquillamente. Ma quel che stupisce di questa prerogativa è che a differenza del foglio di carta... sbattuto suo malgrado da venti e correnti in ogni dove... lui riesce giocando con la distribuzione dell'area corporea, cioè ritraendola o dispiegandola a comando, ad andare dove vuole. E quando arriva a terra si sposta velocissimo, senza gambe dicevamo. E non ha nemmeno un sistema di anelli tipo i serpenti. No, no. Egli semplicemente ruota su se stesso, ad una velocità moderata se deve muoversi in pianura, o addirittura all'indietro, manco volesse frenare, se va in discesa ed aumentando considerevolmente i giri dovendo affrontare una salita. Naturalmente è dotato di una pelle molto spessa e resistente all'usura e al calore. Gli occhi, invece, per non venire danneggiati da urti o sfregamenti si spostano in continuazione. Loro, una frazione di secondo prima di qualsiasi impatto, quando giudicano questi pericoloso per l'integrità, migrano in un posto sicuro. Vale a dire dove il resto del corpo li proteggerà da traumi. E pure gli altri organi vitali si comportano alla stessa maniera. Tanto che, appunto, non ha bisogno di una testa per ospitare bocca, orecchie e cervello. Dentro di lui ci deve essere una specie di computer che coordina il tutto. Per questo, oltre che per molte altre prerogative , esterne ovviamente, dicevamo che è un mitico intelligentone. Considerate difatti il caos che deve districare il suo cervello per farlo funzionare in queste condizioni. Una volta le reni sono su e serve stimolarle là. Immediatamente dopo stanno in basso e gli impulsi devono dirigersi lo stesso verso di loro. Se non che queste si spostano ancora ed allora bisogna correggere al volo. Non so se afferri la difficoltà da coordinare. Noi riusciamo a malapena ad avere un equilibrio interno precario... perché tutto rimanga al suo posto. E neanche mi immagino embolie ed affini se questo non succedesse. Vabbé. Comunque volevo parlare di questo essere e non alla prima occasione divagare per il solito "lodare" dell'uomo. Sì perché mica abbiamo finito. Se questo essere si ritrova prigioniero in luogo non idoneo al suo saper deambulare ad esempio; oh! dimenticavo al vederlo fermo mentre pascola fra i sali minerali si potrebbe confondere con un salsicciotto color buco nell'acqua. È lungo fino a otto lunghezze e prende da adulto circa un metro e mezzo di diametro. Se si trova in difficoltà, imposta dalla natura o da qualcuno che di lui vuole qualcosa, dicevamo e solamente in quel caso aggiungiamo... si mette eretto poggiando su una delle rotonde estremità e comincia a ruotare, ruotare, ruotare tanto che riesce ad ottenere un effetto tornado e così si alza da terra e può perfino scalare una montagna, volando sulla cima, in tempi brevissimi, e tirarsi fuori dai guai di conseguenza. La sua duttilità infine è quella che gli dovremo invidiare. Che con i nostri corpi rigidi in confronto facciamo un minimo ridere. Da aggiungere rimane unicamente che è assolutamente pacifico, non violento e ininfluente. Cosa vuol dire ininfluente? Vuol dire che se purtroppo ti investe passando, non succede nulla, non ha antipatie naturali o rabbie verso negligenze di altri e che rispetta l'ambiente al punto tale che quando crea il tifone le arie che lo seguono, oltre a non rompere nulla, rimettono pure a posto, esattamente nel punto in cui prima stava, ogni singolo sassolino suo malgrado coinvolto e perfino la polvere che lo ricopriva. E dimmi tu se questo non è ambientalismo rigoroso ed ortodosso. E se per caso pensassi che la sua storia, considerato che non propone epiche battaglie o furbe fughe, non ha niente di mitico ed interessante degno di una odissea... poveri noi siamo alle solite. Sempre a sognare avvenimenti fantastici... quando l'unico avvenimento veramente fantastico che a noi manca è il lasciare le cose inalterate dopo che abbiamo espletato i cavoli nostri. Particolarità questa, al ragionarci, colossalmente degna di essere narrata altro che trasformare in porci. Quello lo siamo già e non ha niente di nuovo o d'inventivo>. (Sid liscius)
Il racconto dell’esperto in terrosità sotterranee e lutulente, mi ha un po’ frastornato. Non riesco ad immaginare un essere così versatile e vivente come l'inalteraptor. Lo interpreto solo nella mia fantasia, come una macchina pressoché perfetta e dominatrice. Immortale. La mia razionalità è ristretta e confinata, più del budello in cui ci siamo infilati. In quest’ambito la mia immaginazione non riesce ad andare oltre le radici dell’albero rovesciato. Già quelle radici che respirano grani di terra, così come le foglie respirano molecole d’aria. Mentre queste, però, ad ogni stagione nascono, mutano e muoiono, le radici crescono e mutano senza morire mai. S’allungano e s’infilano tra le fibre terrose, audaci, curiose, come esploratori al primo viaggio. Cercano fonti di vita e di sopravvivenza, non solo per sé, ma per tutta l’impalcatura che si portano addosso, quasi fossero una mamma che allatta i suoi figli, e tutti contemporaneamente. I peduncoli barbosi si torcono e si ritorcono, e più s’addentrano, s’attorcigliano ai sassi, rispettandone ogni forma, senza abusare degli spazi occupati da altre creature. Ma più essi sono storti, più s’avvolgono e più sostanza resta loro attaccata. Sembrano le braccia di una massaia che va al supermercato e porta con sé i sacchetti della spesa. Sono umili servitori le radici delle piante. In perenne servizio gratuito, senza riposo, con l’unico scopo di consentire ai rami di mettere le foglie e diventare a loro volta, dimora per altre creature. Gli alberi sono case, ma non sanno di esserlo. Ospitano uccelli, ragni e formiche, bruchi e cicale e qualche gatto randagio. E loro sono ospitati, ma non sanno di esserlo. Conoscono il ramo, la foglia dei loro nidi; lì, si ritrovano di notte e li difendono per nascondersi, per partire, per poi ritornare. Il mio pensiero divaga e serpeggia fra le bellette, mentre l’eremita di terra e fango, si fa strada aprendo varchi fra intrichi putridi, bui e inesplorati. Anche le persone, dico fra me, sono case, sono luoghi dove altri esseri trovano ospitalità. Siamo un nascondiglio per altri esseri viventi. Noi non siamo solo persone, ma cose prive di soggettività e di storia. Siamo teatro di gesta recitate da altri. Ma l’uomo è anche il vertice del creato, è l’unico essere in comunicazione con Dio ed è creatore egli stesso per delega. L’uomo ha la natura al suo servizio. E la natura? Non ha forse anima la natura? Noi bipedi muniti di memoria e sapienti nel pensare, perché siamo separati dalla natura? Quando è accaduto questo evento? Fu la perdita dell’innocenza e la conquista dell’io? Quando all’innocenza si sostituì la coscienza? Da quando il pensiero pensa se stesso e il se stesso costruisce l’io? Gl’innocenti sono innocenti, ma non sanno di esserlo: la pietra è innocente, il passero, il falco che ghermisce, la tigre che sbrana, il serpente, la furia del fiume che straripa uccidendo e devastando … tutti sono innocenti. Tutto ciò che esiste è innocente e puro. Solo l’Io ha perduto l’innocenza creando il senso di colpa, il desiderio di trasgredire. E’ l’Io che ha inventato il peccato. <Caspita che bella riflessione> ripetevo fra me e me , compiaciuto. (fabirob)
<Ti ricordi dei vecchi tempi andati?> Riprese l’eremita esploratore, nonché tuttologo. <Sai di quando gli uomini abitavano le caverne e le stagioni per centinaia e centinaia di anni non si alternavano? Beh, dire ti ricordi non è possibile ... comunque diciamo ne ho sentito parlare. I paleontologi hanno risalito molto i tempi che furono e benché non si possa mai essere certi delle loro scoperte, echi abbastanza attendibili delle modalità di vita di quei tempi mi sono giunti. <Perfetto, quindi saprai che gli uomini vivevano in caverne. E che durante le lunghe ere glaciali non potevano uscire più di tanto. Qualche battuta di caccia e parecchio intorno al fuoco era tutta la loro possibilità di movimento.> <Uhm mi pare plausibile ma dove vuoi arrivare?>. <Ti viene in mente niente rispetto a quello che in situazioni del genere avrebbero potuto fare?> Aspettare! <Invece no, se non potevano andare all'aperto mi sembra logico che dedicassero il tempo ad esplorare le cavità in cui abitavano. E le sorprese che questo ti potrà riservare sono infinite.> Dimmi, dimmi, sono tutto orecchie. <Oh niente per dire hanno potuto vedere l'Anellino.> E che è? <Un altro animale che abita sempre e solamente di sotto.> Ho capito non mi racconti questa storia per niente. <No di certo egli fu importantissimo infatti per l'evoluzione umana.> Urca non ti sembra di esagerare adesso. <Ascolta e dopo mi dirai: Questo essere non ha grandi potenzialità, è pure lui molto pacifico e pascola per i fatti suoi senza disturbare chicchessia.> Ecco vedi non mi pare granché interessante. <Sbagliatissimo. Egli è una specie di serpente dotato di un solo anello... diremo posto a metà del suo corpo. Che pari a quello dei serpenti è abbastanza longilineo se non sbaglio. Riesci ad immaginarlo?> Diremo che è una specie di lungo tubo sgonfio con in mezzo una protuberanza rotonda? <Si dai ci può stare. Raggio intorno al mezzo metro aggiungo. la protuberanza. E sai cosa succede quando si spaventa?> Temo di no. <La testa e la coda vengono risucchiati verso l'anello... fino a rintanarsi dentro di lui che così, l'animale intero, viene ad assumere diremo le fattezze di una moneta un tot grande... con su una faccia gli occhi e la bocca e sull'altra un normale retro treno.> Ah figo ed a questo punto? <A questo punto comincia il per noi importante che ti dicevo. L'anellino normale si ritrae quando è spaventato e come si comportano pressoché tutti quando sono spaventati?> Semplice scappano. <E in che maniera può scappare uno di tal forma?> Non saprei. <Ragionaci... se una moneta ti cade per terra e va piatta sta ferma lì... e se invece resta in piedi rotola lontano usando lo spessore per restare in equilibrio.> E l'Anellino fa altrettanto? <Ovvio e che scoperta potrebbe mai avere fatto fare lui di per cui?> Non mi fare dire la ruota perché non è possibile. <Non è possibile, non è possibile! Dimmi te allora dove sono andati con i riferimenti e le capacità che avevano i primitivi a prenderla. Dimmi te> Non so se crederti. Possono averla sognata di notte ad esempio. <E questa ti sembra una spiegazione razionale?> Facciamo che quando vedrò con i miei occhi la bestia in questione ti risponderò. < Va bene "Tommaso". Va bene.> (Sid liscius)
<E comunque se non credi alle mie "verità" puoi sempre parlarmi te di fatti "cremosi" successi di sopra. Io è da più tempo di quanto immagini che manco da lì.> Ok! pertanto devi porre attenzione perché il doppio senso ha preso molti sensi stando all'aperto e nel corso del tempo... è il mio unico consiglio per l'uso:
C'era una volta un serpente. Ma non anellino, no, no. Era un lungo pitone bianco ed oro, "collega" sì di anellino, ma solitario. Un giorno Dio lo chiamo e gli disse: Pitone, da oggi tu sarai un precettore. E di chi? Chiese lui. Di un essere tutto nuovo, che ho appena creato, scommetto che ti piacerà. In effetti dio non sbagliava, a Pitone piaceva da morire curioso com'era. Le sfide erano il suo pane, anzi preda quotidiana. Strisciando come una danza si avvicinò al nuovo essere, che forma strana aveva. Quattro appendici, ciuffi di peli sparsi e un lungo strano cappello quasi una coda, sulla sommità. Due brillanti stelle, troppo chiare sulla cosa chiamata faccia e un sorriso. Pitone non l'aveva mai visto un sorriso. Gli disse: buongiorno. L'essere era stranito, che cavolo voleva quella specie di bastone lunghissimo e dorato? Si alzò caracollando in piedi e prese a corricchiare senza davvero sapere dove andare, era appena nato, senza nozioni né parola: cosa poteva fare? Ma Pitone lo sapeva, era solo la reazione di tutti quegli esseri, la prima aveva fatto così, come lei ora, come Lilith la bella, la femmina per antonomasia di quei grossi bipedi goffi, gli uomini. E questa Eva invece, che sarebbe stata vita e madre [Evah significa vita in ebraico] così, scioccamente reagiva. Conosceva i suoi polli però, Pitone. Si acciambellò e dopo qualche tempo si risvegliò con quel corpo caldo a fissarlo, e a carezzarlo sulla testa. Ora sì, che poteva cominciare a insegnarle. ( in viola veritas )
<Direi che stai scherzando e vuoi farmi credere che la metafora si è proprio sposata con l'ermetismo per prendermi in giro allora rilancio e ti chiedo... sai dirmi cos'hanno partorito assieme?>
Eh! Non è facilmente descrivibile il golem che ne è uscito ma...
Non ti sembra di sentire confusa fra i canti degli inalteraptor un'altra volta la voce della nostra Penelope?
<Si si e sempre più chiaramente.>
Vuoi vedere che vuole rispondere lei alla tua ultima sollecitazione?
<Ssssssss.... ascoltiamo.>
.... Sedicimila anni sono passati dalla camera degli assassini, dall’attuale Eden Turco alla costruzione dei dolmen chiamati ora Stonehenge.
<Lascia la bipenne nella camera degli assassini, Manuela>, dissi sottovoce nel dormiveglia. <E’ normale che è normale che non riusciamo a rendere la giustizia una norma seguita dalla nostra comunità, ancora una volta la vuoi brandire per farti giustizia da te, piccola meteora selvaggia, non vedranno mai la luce i nostri figli, la luce del sole accecante ed abbagliante fino alla nausea, i nostri occhi oramai non sono che adatti per l’oscura notte. L’oscurità ci ambisce e ci rivela la nostra inettitudine di scavatori ormai stanchi, il tunnel è quasi completato, siamo arrivati più a nord possibile ed abbiamo evitato il peggio non uscendo alla luce il ghiacciaio ed il riverbero ci ucciderebbe all’istante o meglio nel corso di pochi giorni per i più forti di noi. Siamo al sicuro solo in questi cunicoli e pertugi che occorrono alla nostra miserevole vita. Il sole ci spazzerebbe via, siamo umani solo poveri umani che non si sanno ancora organizzare. Siamo pieni di dubbi e di preoccupazioni di non potercela fare, siamo il popolo della notte e della morbida terra, la nostra unica e sola volontà è quella di finire questo percorso per erigere al fine all’esterno un possente Eden megalitico di roccia pura, che sia da monito per tutto il tempo a venire della nostra poesia del nostro coraggio e della nostra immane sfida, siamo gli unici creatori di questa terra i soli lasciati ad annoverare il destino degli uomini, a lasciare il segno, i metà uomini della luce se ne sono già andati e ci hanno lasciato il compito di vincere la sfida per poter progredire per essere i soli della terra, i soli, le luci immani che si lasciano corrompere solo da altri soli, siamo le meteore i figli delle meteore. La tana che ci vede ora ammutoliti di fronte alla potenza delle stelle un giorno si aprirà e potremo lasciare il nostro cunicolo per alzare le braccia al cielo e dichiarare la nostra vittoria. Erigeremo un possente circolo di roccia pura la pura essenza della vita, l’indistruttibile continuità che vive oltre, che sconquassa il tempo ed i suoi rimandi, siamo gli unici i soli. Non esistono parole nuove la vita è nell’erigere un dono ai figli delle meteore non siamo che umani e possiamo superare la sfida della terra per oltrepassare il muro di solitudine e vincere sulla morte, e vivere per sempre imperituri e soli. Distruggeremo tutto ciò ci si pari innanzi per trattenerci per fermarci per sobillarci per dividerci per far crollare i nostri sforzi immani che da millenni perseguiamo, la via per la luce. Il sole diverrà il nostro servitore e apriremo le nostre vite alla coltivazione dei terreni lasciati liberi dal fragore delle fiamme che li bruciano, che li azzereranno, saremo i soli le luci di questa avventura e poi potremo chiamare a raduno il nostro popolo e vincere su tutto e tutti. Animali, piante, paludi, insetti, fiere, saranno nostri sudditi o moriranno sotto il peso della Bipenne, sotto l’accusa delle nostre sacerdotesse, noi lavoreremo per la via da ripulire come i vermi del sottosuolo ci hanno insegnato, saremo forti e vincitori, i lavacri saranno colmi del sangue di chi non avrà la paura di affrontarci, saremo mortali serpenti velenosi che si batteranno per la sola verità, per la sola certezza. I figli delle meteore ci hanno lasciato un compito da assolvere, arrivare più a nord possibile ed erigere il nostro circolo di pietra, e noi saremo là tra poche centinaia di notti, siamo alla fine del nostro cunicolo della nostra notte e potremo esultare di vittoria e sgozzare i topi ed i bambini che nasceranno per la grande festa. Grazie "Manuela" per la tua pazienza, ci siamo quasi, ci siamo quasi. ( Matris ) <Azz... anche Penelope non scherza. La sua visione globale della genesi mentale di noi umani lascia parecchio la bocca amara.> Aspetta... Allunga l'orecchio ancora... Direi che intende aggiungere qualcosa: Io baobab vantai bellezza mia di frutti e fiori ciò mi fu castigo e pena da espiare mi capovolse allora un dio troppo severo ficcò dentro la terra rendendo le mie foglie cieche ad ogni bellezza che fosse in superficie ma son le mie radici levate verso il sole dotate di magia ché solamente un saggio potrà salirvi sopra e tarne beneficio senza speranza ormai di remissione alcuna cresco in solitudine tra rocce di savana mi elevo qual ponte proteso verso cielo quello stesso cielo da cui reietto fui. ( Sara Cristofori ) E con questo l'ensamble si fa meno torbido. Se non altro abbiamo un appiglio dove non ancorare l'ulteriore nostro sviluppo cerebrale. <Hai detto non ancorare?> Certo l'averlo ancorato al non essere dio ci ha portato a reagire direi rabbiosamente e le conseguenze di ciò sono la vera bomba perfetta che piano piano cancella le esistenze. È ora di alternative mio caro, ci ha detto Penny, globali e personali. E non per fuori bensì per dentro. Per dentro. Le nostre logiche oramai sono ataviche. Vecchie inacidite. E vendicative probabilmente oltre la misura che la vita concede. In questo supportate da idee altrettanto cattive e tendenti unicamente al possesso ed al riconoscimento personale... Oltre la misura che la vita concede ripeto. < Si l'opzione mi pare credibile ed hai capito te chi dovrebbe essere "Manuela"?> Non so bene... un'idea ce l'ho comunque. <E non me la dici?> La nuova dinamica che pian piano sta avanzando. Colei che con il suo spirito ed il suo incessante spronare... con pazienza infinita sta aiutandoci ad estrarre da noi le potenzialità che, prendendo coscienza, in futuro dovranno diventare le nuove basi... Della cultura che metterà fine ad un'era pericolosissima. <Stai diventandomi stupefacente sai. E dimostri capacità di sintesi che non conoscevo nell'uomo. Ancora una novella mi fai venire voglia di esporti.> Guarda mi sdraio qui sotto questa vena d'oro purissimo ed apro i ricettori.
Il pensiero degli animali possibili da incontrare, accelera il vento della fantasia e il suo turbine si confonde con la polvere rossa del budello in cui siamo finiti. <Quasi non si respira qui dentro>, esclamo a gran voce, sperando che i vortici di gas non smorzino il mio richiamo. In quegli attimi di tensione emotiva, la paura si mescola alla velocità del sangue confondendo le idee e la soglia dell’attenzione. Passano in fretta davanti e dietro, gli anellini, il pitone che subito s’attorciglia ai rami del baobab, mimetizzandosi fra i frutti penduli. La testa comincia a girare, a girare … (fabirob)
<Eh sì! C'è pure un ciclope qua da basso. Ed enorme ovviamente. Cento metri ed oltre di altezza. Braccia lunghissime. E pari a tutti i ciclopi ha un occhio solo. Il terzo. Piazzato sul ginocchio sinistro. Che non si capisce cosa gli fa vedere d'altronde. È tutto buio. Ma potremo dire sta abbastanza normale non sapere proprio bene cavolo vede il terzo occhio. O qualcuno me lo dica per favore. Abita all'incirca cinquemila chilometri al di sotto della crosta. In una isola di detriti formata da stalattiti e stalagmiti crollate le une sulle altre... circondata da orridi profondi e non serve neanche dire inesplorati. Collegata agli strati fermi da uno strettissimo istmo... Dove passai a fatica. Ed è mio amico. In che maniera lo conobbi? Oh bhé arrivai "egli"... inseguendo una teoria affascinante balzatami nella pupilla... Che non funziona. Avevo notato, man mano affondando le viscere del nostro pianeta... che incontravo esseri sempre più giganteschi. Falene balene e vermi treni con cinquanta vagoni per intenderci. E che avvicinandomi al nucleo lievitavano ancora. Non bastasse pure io crebbi esponenziale. Che oramai stavo alto quattro metri. E tastavo essere bocconcino ambito da molte ogni volta mi grattavo le parti nobili. Comunque non divaghiamo. La teoria sortami era che il centro della terra irradia un'energia... tipo l'equivalente della luce il sole. E che questa energia, parecchio nutriente, diventi meno intensa allontanandosi da lui. Il pianeta vicino al sole è bruciato dalla luce. Quello lontano baciato appena... Insomma per fare un paragone. Tanto da arrivare sopra la crosta con la potenza appena sufficiente per farci crescere quanto siamo. E gli alberi sproporzionati rispetto a noi ne sono una buona prova... congetturavo. Affondando radici infatti vanno, forse ignari, incontro a questa forza diventando giganti... Rispetto a chi calpesta il suolo e basta. Ed è per questo, secondo me, che le creature andando giù lievitano incredibilmente. Perché mangiano energia potente. Chiaramente però il ciclope mi catturò all'istante ed in attesa di mangiarmi voleva ingrassarmi un tot... Che sono sempre stato magrolino. Al che per fortuna ho avuto un minimo di tempo allo scopo di elaborare un piano di fuga. E visto che c'ero un piano che nel contempo dimostrasse la mia teoria. Alla fine decisi che avrei dovuto piantargli nell'occhio l'equivalente per lui di una pagliuzza. Una roba piccola che manco se ne rendesse conto. Ed all'uopo attesi che dormisse, alzai un minimo la palpebra... urca che faticaccia... e ne spinsi, altra faticaccia, una piano piano nell'iride bucandolo. E poi scappai veloce verso l'alto. Manco volessi terminare la mia esplorazione. E ci riuscii anche. "Solo" che lui appena sveglio cominciò un furibondo inseguimento. Scappavo veloce approfittando del fatto che non poteva infilarsi in alcune fessure dove passavo io e doveva quindi fare lunghi giri. Risalii lesto quasi per non fargli venire sospetti. Risalii che ora ero alto tre metri. E lui sessanta e stava con l'occhio arrossato. Continuai la fuga che ero quasi tornato alla mia altezza di sempre... E lui urlava dal dolore al ginocchio. Balzai su che ero si può dire piccolo al solito... E lui ridotto ad una ventina di metri. E la pagliuzza rimpicciolendosi l'occhio, assieme al corpo, era diventata una trave enorme. Ed aveva creato un'infezione impressionante. Stavo vincendo esultai. In conclusione... al solito non ci riuscii. Lo stavo uccidendo e non faceva parte del "gioco". Senti gli urlai. Ti ascolto rispose. Stai per crepare. Lasciami perdere non hai possibilità. Vai veloce giù. Ricrescendo te la pagliuzza tornerà inoffensiva e dopo se vuoi te la tolgo io. Non mi dire che avevi previsto tutto questo mi domandò stupito. No no lo sospettavo unicamente possibile. Dai vieni allora esclamò. Persone del tuo calibro non meritano di essere mangiate. Bensì di dare da "mangiare" agli altri. E così gli saltai in groppa ed in men che non si dica fummo nuovamente lievitati. Potei estrargli la pagliuzza ed ebbi per sempre da lui lo stesso rispetto... Che il leone dedica al topo da quando la sua zampa non ha spine>. ( sid liscious ) ... Tutto torna insomma qua sotto, tutto cade nel terreno, tutto prima o poi filtra e riaffiora. Siamo noi la coscienza, che perdoniamo con il tempo, breve per l'erba secca, lungo per la plastica, il ristagno è la condanna. Ma, mi raccomando, non guardare la condanna con i tuoi occhi, non capiresti, ti risulterebbe insopportabile, questo elaborare e restituire, il dolore del padre che perde il figlio, la campagna della tua gioventù sventrata affogata di cemento “non è giusto e folle” grideresti e lacrime e dolore, sconforto. Guarda invece dalla radice del tempo, quanto ci vuole per trasformare il dolore di una madre per la morte di un figlio in fertile terreno, quante volte dovrà maledire e piangere per togliersi il veleno, quanto tempo la terra sotto i suoi piedi, dovrà accogliere il fiele, quanto per trasformarlo, confrontalo al “meglio così” detto dagli amici all'anziano figlio, quanto più semplice e naturale è l'addio. Non so perché le cose succedono, so soltanto che tutto si trasforma in frutto, che non esiste veleno tanto potente da lasciare traccia, so che qua accogliamo tutto e tutto trasformiamo. Quello che vedi e lo specchio del tempo, che sopra scorre, i sedimenti di gioia e dolore, mischiati a foglie e plastica. Dei bambini con le palette ogni tanto graffiano la nostra pelle in cerca di risposte, il loro setaccio le vaglia, ma il setaccio è largo, salva solo il già visto, nelle montagne di terra ammucchiate ci sono le risposte, che nessun certosino è in grado di vedere, non esiste ancora tanta pazienza per unire i granelli di sabbia, eppure è tutto qua niente è andato perso, la vita, la morte, le guerre, le grida e i sospiri. ( Leopold Blomm ) Anche questo viaggio, come ogni viaggio, avviene nella fantasia dei protagonisti, e, contemporaneamente, dentro tutti coloro che ne leggono le gesta. Per se stessi, per uscire dal bozzolo e diventare farfalla, spalancando, finalmente, porte nuove alla vita. Un viaggio per dare valore alle piccole cose, senza le quali le grandi non esisterebbero. Un viaggio per riscoprire tutti quei dettagli e le emozioni che distinguono il mediocre dal magnifico. Una storia di paesaggi, di figure sfuggenti. Una storia fatta di parole. Forse un racconto assurdo, misterioso, in cui ciò che si insegue, si insegue per inseguire altro, e quest'altro per inseguire qualcos’altro, senza arrivare forse al vero perché. Nella nostra epoca, dove la speranza collettiva sembra aver perso il suo fascino ammaliatore, l’uomo coltiva l’utopia come uno spazio di serenità propria, un luogo da inseguire per la soddisfazione del proprio animo. L’utopia resta così, davanti a noi, un motore delle nostre emozioni. Ma tutto ciò che l’uomo fa è attraversato da una lacerazione. Così anche l’utopia mostra due volti. Da un lato l’inseguimento dell’ideale, il ritorno del paradiso in terra, l’armonica convivenza fra le genti, la ricerca della società perfetta, perduta e da ritrovare o da costruire in un futuro ipotetico. L’utopia è simbolo della speranza, del singolo e della comunità, che le contraddizioni della realtà e le sofferenze della vita possano placarsi in un non-luogo che diventi il luogo di una diversa umanità. In una dolorosa contrapposizione, la storia mostra il volto incredibile dell’utopia, come un fuoco che alimenta il fanatismo, l’intolleranza e il totalitarismo. La pluralità della condizione umana deve essere violentemente appianata dalla forza coercitiva di un’idea che unisca, volenti o nolenti, i popoli e gli individui. L’utopia è come un lungo, infinito inseguimento. Utopia, che etimologicamente è il non luogo, uno spazio immaginario e ideale, un regno che l’uomo ha sempre coltivato dentro di sé, rincorrendolo per secoli. L'uomo senz'utopia sarebbe come un mostruoso animale fatto d'istinto e raziocino... una specie di cinghiale laureato in matematica pura, come ebbe modo di dire Fabrizio De Andrè. Ecco che allora ad ogni risveglio corrisponde la coda di un sogno non ancora terminato. S’incastra tra le radici dell’albero rovesciato di ciascuno, preso come un tronco, fra loro e la chioma. Tronco destinato a coprirsi di rughe, segno dell’eterno scambio fra il sotto e il sopra della vita. Si risveglia convinto che non meriterebbe arrovellarsi più di tanto, nel tentativo di trovare sempre delle risposte a tutto. Sarebbe, invece, più opportuno cominciare a porsi delle domande. Sarebbe più facile uscire dall'indifferenza e dall’anonimato, dalla estenuante sensazione che tutto ormai sia già noto e scontato, dalla passiva accettazione di visioni della vita indotte e imposte da altri. Si potrebbe forse trovare la capacità di chiedersi che cosa è davvero importante nella vita, provando a rispondersi in prima persona, valutando autonomamente idee e stili di vita, confrontando diverse proposte e scegliendo quello che davvero risuona dentro, con autenticità. Diventa giocoforza riaprire gli occhi sul mondo, acquistare la capacità di vedere la realtà nella sua unicità, momento per momento, e di provare stupore e meraviglia per il miracolo quotidiano dell' avere un tetto sulla testa, una tavola sempre imbandita, libertà di parola, salvaguardia dei diritti fondamentali. O anche, più semplicemente, di avere gli occhi per vedere il colore dei fiori, la pelle per sentire la carezza del vento, un linguaggio comune per condividere emozioni ed esperienze. Tutte conquiste che la vita ha fatto per noi in centinaia di migliaia di anni! Quando la visione si allarga, quando scopriamo di non essere soli, di non essere isolati dal resto dell'umanità e dal resto della creazione, avviene una riorganizzazione spontanea dei valori, si comincia a cogliere l'importanza dei piccoli gesti. Dimostrazione concreta e immediata del senso di compartecipazione, della fratellanza implicita nel fatto stesso di essere “qui e ora” in questo tempo e in questo spazio. Dovremmo chiederci quali sono i nostri valori e provare a farne una graduatoria. Imporci poi, di aggiornarne l'elenco almeno ogni sei mesi. Come farsi un check-up. Un esempio prima di altri, potrebbe essere quello di coltivare una gentilezza amorevole, un atteggiamento di premurosità, benevolenza e affetto nei confronti di sé stessi e degli altri. Andrebbe sviluppato a partire dalla memoria, ricordando le sensazioni e le emozioni di gratitudine, di gioia e di affetto provate nei momenti migliori della propria vita e vivificando ed espandendo quello stato interiore attraverso il ricordo. La vita di ognuno di noi è caratterizzata da tante priorità la cui collocazione numerica nella scala dei valori esistenziali è sancita da noi stessi, in rapporto alle esigenze del momento (sia personale, sia professionale, sia sentimentale), che attraversiamo. In virtù della logica individuale, maturata crescendo in un determinato ambiente famigliare, ricevendo un’educazione e un’istruzione specifica, frequentando e lavorando in determinati ambienti. <Siamo davvero liberi allora?>, verrebbe spontaneamente da domandarsi. <E’ la volontà ad agire, facendo una selezione, mentre naviga tra ricordi e pensieri?> Si domanda uscendo dal torpore quasi fosse un malato terminale sedato di morfina. <Che cosa portano, chiuso in sé, le parole e i versi delle poesie prima di essere scritti. Che cosa rivelano una volta che sono stati letti?> Domandarsi se ogni pensiero attraversando il cuore, riesce a trasformarsi in emozione, prima di giungere alla mano. E se essa, infine, è capace di trasmettere, fedelmente, l’autenticità della persona. In altre parole, se la volontà possa avere effetto anche sulle sue emozioni, riflettendo sulla forza della volontà e su chi è il padrone della sua, di volontà. Se lui stesso dunque, ne fosse il vero padrone e se di conseguenza, fosse anche l’unico responsabile delle sue azioni. Sulla scia di queste riflessioni, prende ad osservare, con più attenzione, la sua vita quotidiana rendendosi subito conto che essa offre innumerevoli occasioni per agire in modo attento e responsabile, con la consapevolezza che le sue scelte, potrebbero condizionare anche quelle degli altri. Lui ora sostiene, ad esempio, che ai valori in cui normalmente crediamo, dovremmo dare sempre corpo mettendoli costantemente alla prova, trasformandoli in impegno, in azioni concrete e in gesti reali. L'idea più bella, il valore più alto, il proposito più nobile, talvolta hanno meno peso di una palla di neve al sole se non li sappiamo esprimere nella vita quotidiana con dei gesti visibili. Secondo lui, vale più una mano che tiene aperta la porta a uno sconosciuto che sta passando, che mille parole roboanti sull'amore per il prossimo a cui fa seguito poi, un completo disinteresse per le persone più vicine. Se diciamo di amare l'umanità ma poi trattiamo male le persone di famiglia, allora forse c'è qualche cosa che non va nella nostra scala di valori. È vero, “tra dire e il fare c'è di mezzo il mare”, ma i mari oggi si solcano, con barche, piroscafi, transatlantici e anche con la nave della fantasia. Non ci sono scuse, se non la pigrizia o l'indifferenza, nel non impegnarsi in prima persona, nel non tradurre in azioni e comportamenti reali, gli ideali che animano i nostri pensieri. Forse, anche i nostri discorsi. Questa è l'epoca delle piccole cose. Proprio perché tutto sembra convincerci che occorre farne solo di grandi e che è difficile, anzi impossibile, per ogni piccolo individuo cambiare davvero il mondo. Anche una semplice pietra, però, come le tante che abbiamo scansato e gettato da un lato, durante il viaggio, a pensarci bene, ha una vita e una sua storia da raccontare. Probabilmente, in pochi ci avranno pensato, ma anche una pietra ha una sua storia, con la sua verità, che se raccontata renderebbe forse diversa anche la storia che abbiamo sempre creduto di conoscere. Una pietra, pur restando immobile ha visto persone e cose transitare davanti a sé, avvenimenti, fatti, che col passare dei secoli si sono accumulati nella sua materia … forse anche modificandola. Chissà! Una semplice, insignificante pietra è come un registratore statico di tutte le immagini e i chiaroscuri, i cui fotoni sono rimasti intrappolati nei reticoli delle sue molecole, trasformandole in materia viva perché trasformata dai giorni e dalle notti, dal sole e dalla pioggia, dal caldo e dal freddo, e che tiene chiusi in sé, i segreti nascosti dal tempo. Pensiamo a un sasso lungo la strada, ad un cubo di marmo sistemato alla base del Colosseo, o un mattone che incrocia le pareti di una piramide o ad una pietra del Tempio di Teotihuacan. Se solo venisse ricordato che anche le Sacre Scritture riferiscono l’importanza che può avere una pietra paragonando addirittura Gesù alla “Pietra Angolare” del tempio di Dio, forse ci sarebbe meno superficialità anche durante le visite ai musei e le celebrazioni nelle Chiese. Le rovine poi, rappresentano l'opera del tempo e la memoria degli uomini. Le pietre ci invitano a compiere un viaggio tra le vestigia di tutto un mondo, molto lontano, ma sempre presente. Un mondo silenzioso e nascosto, a volte misterioso, per rivelarne insieme oltre alla storia, alla poesia e alla bellezza, anche il suo significato. Esse liberano il loro spirito, nel silenzio e nella luce. È bello sentire l’ebbrezza del vissuto dove le emozioni sono condivisibili, e i sogni diventano “tangibili”. Dove sembra che il tempo non sia mai passato mentre viene compiuto un vero e proprio viaggio dentro il suo continuo pulsare. Ogni edificio potrebbe raccontare la sua storia, ma gli uomini non lo ascoltano, si limitano ad abitarlo. Quando però il suo spirito emerge, allora l’uomo riesce a sentire. Si può pensare allora, che esista qualcosa che vada aldilà di tutte le realtà materiali e temporali, che collega, col filo dell’infinito, un passato che continua nel presente e nel futuro, in modo visibile. Se si chiudessero gli occhi, si sentirebbero le pietre parlare. Esse raccontano cose, ci trasportano come una macchina del tempo. Basta saperle ascoltare. Parlano tutte. Raccontano di fatiche eroiche di intere generazioni impegnate a spietrare i suoli alluvionali per ricavarne coltivi, costruire muri, case, strade, chiese e conventi. Parlano per ricordare l'antica saggezza di un popolo operoso e geniale capace di plasmare con amore e perizia quest'umile materia, dandole vitalità e risalto per riaverne beneficio materiale e godimento spirituale. Sì, anche una semplice pietra ha una vita e una storia da raccontare! Le pietre in ogni luogo, sembrano mute, e invece parlano. Se non riusciamo a sentirle, la colpa non è loro, ma certamente di chi non ne ha ancora compreso il linguaggio. Sassi! Pietre! Piccole cose che in qualsiasi ambito vengano ospitate, acquisiscono valore se non vengono considerate soltanto delle cose inerti, senza importanza e sulle quali si può solo inciampare. Dando valore anche alla loro staticità invece, pensando che il trascorrere del tempo ha mutato le loro condizioni, diamo loro importanza perché hanno trasmesso il senso della loro esistenza. Ogni cosa perciò, quantunque piccola, detiene in sé stessa la sua specifica importanza proprio per il fatto di esistere. Come se anche ognuna di esse, avesse “un’anima propria”. Speciale, nel momento in cui trasmette la sua collocazione, la sua forma, il suo colore e il suo odore, che destano l’immaginazione e il sentimento in chi le osserva e in chi le tocca. Ciò trasforma la loro esistenza, ritenuta insignificante, in un valore oggettivo che dà corpo e “anima” alla cosa più grande che le contiene, sia essa una strada, una casa, un castello o una cattedrale. In sostanza, occorre sottolineare e affermare il potere dimostrativo della riflessione che riveste qualsiasi banalità come fosse la polpa che trasforma un osso in qualcosa di più appetibile e gradevole. Sarebbe bello convincersi di quanto concretamente può essere fatto nel quotidiano, attraverso un sorriso, un gesto, una telefonata, una scelta, una firma. La realtà quotidiana va intrisa di valori, va intessuta di piccole azioni che testimoniano l'orientamento di un pensiero, di un anelito, che danno ancora più potere a un’alta visione della vita, perché questa si aggancia concretamente alla realtà. Alla fine di queste riflessioni, mi esce l’affermazione, che sono più le idee a cambiare il mondo, che non le guerre, o le prevaricazioni, ma solo quelle idee che col mondo sanno trovare un collegamento concreto e costruttivo. Solo quelle che sanno incidere sulla realtà. E' nel tradurre un ideale in azione che possiamo dare potere alla forza dell'idea che ci anima, onorando la nostra vera natura di liberi pensatori e, spesso, inconsapevoli collaboratori di Dio nella continua creazione del mondo. Così come ogni artista, nella realizzazione delle sue opere, usa tre elementi: la tecnica, l'ispirazione e il materiale, così la nostra materia prima è rappresentata dalle situazioni reali che la vita propone. Un amico in difficoltà, un impegno preso per tutelare l’ambiente in cui viviamo, un gesto di attenzione verso una persona svantaggiata, una scelta etica sul proprio posto di lavoro ..o un segno di croce prima del pranzo. L'ispirazione invece, è il valore che vogliamo esprimere, mentre la tecnica diventa il modo concreto con cui possiamo realizzare le intenzioni. Non c'è soddisfazione più grande dello scoprire che, grazie a quello che abbiamo fatto, qualcuno ha sorriso, qualcuno ha mangiato, qualcuno si è salvato. L'idea diventa così più forte, più luminosa, più potente. Il gesto compiuto, pur senza averlo voluto, fa da cassa di risonanza e, grazie al riscontro visibile, allarga il suo campo d'azione, contagiando anche gli altri e diffondendo un effetto che trasforma. Possiamo davvero incidere sulla realtà, e per nessuna ragione dobbiamo rinunciare a questo potere! Tra il dire e il fare, sì, concludo fra me e me, non c’è di mezzo il mare, ma noi stessi, con l'esserci davvero, e il rimboccarsi le maniche, significa, esserci e agire! La volontà però, non si studia, si sperimenta, si allena, si rafforza. Noi tutti abbiamo una volontà, ma spesso fa comodo dimenticarcene e la utilizziamo solo in poche circostanze. Siamo capaci di scendere nelle profondità dell'oceano e di lanciarci nello spazio, ma siamo ignoranti di quanto avviene in noi stessi. Controlliamo grandi masse di energia elettrica con il movimento di un solo dito, ma spesso siamo incapaci di gestire le nostre emozioni, gli impulsi e i desideri. Per non diventare schiavi, ma padroni di quanto abbiamo conquistato sinora dal punto di vista scientifico e tecnologico, dovremmo sviluppare di più le nostre facoltà interiori, controllando meglio gli impulsi, le sensazioni, le emozioni, il pensiero, l’immaginazione, l’intuizione e la volontà, con la stessa dimestichezza e capacità di gestione che abbiamo raggiunto nei confronti di ciò che vive al di fuori di noi. La volontà umana ha un potere enorme e fondamentale. La volontà permette di decidere che cosa può essere fatto e poi di usare tutti i mezzi necessari per realizzare ciò che essa ha già deliberato, perseverando, nonostante tutti gli ostacoli e le difficoltà. Essa occupa un posto centrale nella personalità dell'uomo, è in intima relazione con il centro del suo essere, del suo vero io. È fondamentale rendersi conto allora, che “la volontà esiste”, e che esiste la libertà di agire, senza doversi limitare a reagire a degli stimoli o a dei condizionamenti ambientali. Altrettanto importante è l'esperienza di “avere una volontà”, di fare uso cioè, in prima persona, di questo margine di libertà, che è proprio della natura umana. Per nostra natura siamo dotati della libertà di contribuire alla creazione della realtà di ciascuno, e del mondo in cui viviamo. Dovremmo essere più consapevoli di questo immenso potere di cui siamo tutti dotati perché esso è l'antidoto più sicuro contro il rischio di diventare insignificanti pedine di un gioco condotto da altri. Forse da quelle stesse forze esterne che abbiamo l'illusione di dirigere. ( fabirob )
<Ergo tu ora vuoi insinuarmi che ci sono ancora dei pertugi? Che là fuori, la possibilità di cambiare i percorsi attivi, esiste intatta?
Mi dispiace, ora sono io lo scettico. Tu non ti rendi ancora conto che i giochi sono stati fatti al principio dei tempi ed hai ancora il barlume che le cose possono sempre cambiate. Ma non vedi come siete ridotti? I parametri di potere e di controllo oramai non dipendono dal singolo bensì da strutture pianificate per mantenere e continuamente rilanciare lo stato di fatti presente. Che permarrà fino alla vostra fine da dinosauri. Fammi degli esempi almeno della vostra capacità odierna di collaborare con la vita e non di imporsi su di essa.>
Degli esempi vuoi ebbene esempi avrai. E te li farò avere attraverso gli scrittori visto che appartieni o appartenevi...
<Ben detto appartenevo….> Pure tu alla casta. Due racconti dunque. Il primo:
“Restammo a guardare imbambolati il meraviglioso cadere della neve in quel prato, sicuri di non aver mai visto un’immagine così naturale riflettersi ai nostri occhi.
Giovanni tremava dal freddo, ma forse l’emozione alimentava quella frenetica vibrazione come per ingannare il gelo che gli pungeva sul naso come avrebbe fatto in estate una zanzara tigre.
<Papà, a che ora torniamo alla locanda, comincio a congelarmi, non voglio diventare un ghiacciolo al limone, dai torniamo!>.
<Va bene Giovanni, ma ora che ci penso, ti devo raccontare una storia che devi assolutamente sentire>.
<Ok, ma incamminiamoci, muoviti!>.
Devi sapere che quel grande albero che abbiamo osservato al centro di quel campo innevato, ha visto chissà quante storie avverarsi sotto i suoi possenti rami, è un Platano centenario, si calcola abbia più di seicento anni e nel secolo scorso durante la guerra di indipendenza fu suo malgrado protagonista di una scena di guerra.
Lo hanno soprannominato l’albero dei cento fanti.
<E per quale motivo papà>?.
Semplice, ora te lo racconto, intanto allunghiamo il passo per rientrare per la cena.
Era un conflitto che pareva non dovesse finire mai, gli Austriaci si battevano come leoni erano meglio armati e professionisti della guerra, organizzati e forti, dove arrivavano gettavano scompiglio tra le truppe avversarie e in genere lasciavano centinaia di morti sui campi di battaglia subendo spesso solo lievi perdite.
Pensa che la loro maestria nell’arte della guerra, li aveva fatti divenire dei veri spauracchi per qualsiasi truppa si confrontasse contro di loro. Anche nelle scaramucce si distinguevano per la loro precisione e determinata strategia.
Un giorno passò da questo campo il fior fiore di un plotone di fanti, e pareva che non ci fossero truppe avversarie vicino a loro, era estate, il caldo si faceva sentire forte e la truppa era svogliatamente stanca e restia a dover camminare, inoltre erano affamati e assetati visto che già da molte ore marciavano in cerca di pattuglie nemiche da attirare nelle loro reti di sorveglianza.
Il Tenente che comandava il plotone era un giovane di buona famiglia, mai avrebbe pensato di fare carriera militare, ma con la scusa che la sua dinastia era di nobile lignaggio, dovette assecondare le propensioni militaresche che già avevano visto la metà dei suoi parenti costruirsi un futuro per mezzo della carriera militare.
Lui primeggiava invece nello studio e soprattutto nella poesia, un interesse che gli era valsa la nomea di Vate, aveva 24 anni ed era molto intelligente. Non mise molto prima di farsi un nome anche per le sue attitudini strategiche, visto che portava a casa, o meglio in caserma quasi sempre tutta la truppa che comandava. I fanti gli riconoscevano l’autorità di cui era investito, ed avevano imparato a fidarsi ciecamente delle sue direttive, visto i risultati ottimali che lo vedevano spesso protagonista vincente negli scontri armati con il nemico.
Il caldo si faceva forte e il sole era ormai oltre lo zenit, la truppa mormorava.
Il tenente così prese la decisione di mandare in staffetta una decina di fanti verso una casa di campagna poco lontana da lì, per approvvigionarsi di pane e salame di vino e d’acqua da bere per le genti ormai stremate dalla marcia sotto il sole e per questo permise di accamparsi in attesa e riposo sotto quel platano che ti dicevo prima le restanti truppe.
Dopo una mezz’ora la quasi totalità degli uomini era assopita in un riposo ristoratore ed in attesa che tornassero gli uomini di staffetta con le vettovaglie per lo spuntino, rimasero di guardia solo tre fanti. Anche il Tenente era assopito, e nel mentre che il sonno ristoratore lo stava prendendo, guardava i rami del grande platano e sognava una vita libera e fortunata, senza sveglie mattutine e adunate, senza ordini da dare a nessuno e fucilate da sparare contro persone che nemmeno conosceva e che per lui potevano essere benissimo suoi amici. La guerra, cosa ci porta a fare, come ci cambia in poco tempo, e come incrudisce gli animi, anche i più nobili e buoni. Si rendeva conto di tutto ciò, ma non aveva la forza di poterlo evitare, per il suo alto senso dell’onore e del rispetto per i suoi famigliari, suo malgrado obbediva al suo ingrato destino.
Se avesse potuto sentire i pensieri dei suoi sottoposti avrebbe ugualmente recepito le medesime istanze, a nessuno piaceva ciò che dovevano fare, e il broncio e la nostalgia di casa erano evidenti segnali sui loro volti stanchi,
Così facendo si assopì appoggiato al grande tronco di quell’albero maestoso. In sogno sentì una voce che lo apostrofava così:
<avvicinati, avvicinati senza paura non usare la forza usa l’astuzia, avvicinati sali i miei rami e resta fermo tra le mie fronde, gioca con le mie foglie e muovile piano non usare le armi lasciale a terra, usa l’astuzia, avvicinati credi nella mia forza, io ti difenderò io avrò cura di te, non aver paura lasciati abbracciare dai miei rami, avvicinati, sali …>.
Poteva essere un tempo illimitato quello che percepiva il tenente in sogno, ma non erano passati più di 20 minuti da che prese sonno. (matris)
“Immagino una musica
come di zefiro che azzurra
un tintinnio di campanelli
un paese e delle case …” (Manuela Verbasi)
Un grido lo risvegliò di soprassalto dal suo dormire disturbato, aprì gli occhi e vide le sfumate figure della staffetta che correvano a perdifiato giù per la china verso la loro postazione.
Ci mise poco a capire che qualcosa non andava nella loro corsa stremante. Le guardie erano già allertate e la truppa lentamente volgeva al risveglio. Nessuno parlava solo osservavano la corsa dei loro commilitoni che oramai aveva accorciato la distanza che li separava dall’ombra dei grandi rami del platano. Trafelati, si misero subito carponi davanti al tenente, che li interrogò circa la loro folle corsa.
<Signor tenente, abbiamo il nemico a un chilometro da qui; sono alla fattoria da dove siamo giunti correndo>, <quanti sono?>, domandò il tenente preoccupato e ancora balbettante per il repentino risveglio, <sicuramente un migliaio a 2 km di distanza, ma hanno un plotone a cavallo in avanscoperta a un km da qui e ci sono praticamente addosso>.
<Vi hanno visti>? Ribadì concitato il tenente, <no siamo corsi via strisciando per un pò poi oltre la china della collinetta ci siamo messi a correre a perdifiato>.
Il tenente restò per un attimo a pensare al da farsi, non poteva permettersi di andarsene da quel posto senza dover essere avvistato dalle vedette Austriache, era troppa la strada allo scoperto che dovevano percorrere, e le forze erano troppo impari per poter sostenere una difesa armata con la prospettiva di tener duro o vincere.
La sua reazione non poteva essere vincente, ci voleva altro.
D’un tratto chiamò i suoi uomini ad ascoltarlo ed impartì questi ordini;<Dovete lasciare i fucili a terra tra l’erba alta ed arrampicarvi tutti sull’albero, nascondendovi con cura tra i rami, non tenete oggetti che luccichino al sole per non lanciare messaggi visivi, fatelo subito e di corsa>.
D’un sol slancio i soldati lasciarono tra l’erba alta spade borracce e fucili e si arrampicarono tutti sull’albero.
Tra i grandi rami espansi all’aria calda di quella torrida estate, trovarono così posto tutti i cento fanti ed il tenente, nel più assoluto silenzio. Il tenente diede l’ordine di far muovere le foglie lentamente, come se fosse la brezza a farlo.
Dopo dieci minuti il plotone di cavalleggeri si avvicinò all’albero ma non così tanto da essergli addosso, nessuno dei cavalleggeri vide i fanti abbracciati ai possenti rami, e girarono verso est, lontano da loro.
A quel punto, i soldati scoppiarono tutti a ridere per lo scampato pericolo e ancora una volta lodarono il loro tenente per la saggia decisione di non aver favorito lo scontro letale.
Così fu.
<Papà è una storia meravigliosamente finita bene, sono contento che sia andata così>. Queste furono le ultime parole di Giovanni prima di arrivare alla locanda e chiedere subito un bel panino con il salame.
(matris)
<Hai voluto dirmi che c'è tuttora chi si fida della natura e sa ascoltarla nonostante si ritenga intelligente e quindi superiore?>
Sì... se vuoi diciamo pure così. Il secondo l'ho scritto io e titola: “Siamo proprio poverelli”.
E sì che ne abbiamo pure le prove lì stampate in giro per il mondo. Se non che in verità noi abitanti della migliore era, come vogliamo definirla, teniamo molto gli occhi chiusi e siamo un tot "pienotti" di noi stessi. Credo servirebbe un ridimensionamento.
Stonehenge?
Come hanno fatto ad erigere questo sito? E a trasportare grandissimi massi dalle cave più vicine? Cioè percorrendo almeno quaranta chilometri? Io direi semplicissimo ed anche dimostrando fine intelligenza ed una buona dose di sarcasmo. Avevano inventato la gru infatti, l'hanno usata e poi distrutta e fatto finta di non conoscerla in seguito. E dopo ci hanno riso sopra a crepapelle, immaginando e vedendo i poveri cretini che hanno o avrebbero pensato a chissà quali magie e fatiche assurde furono necessarie. Nemmeno abbiamo la portata di quanto hanno goduto della loro sagacia. Ed ancora oggi credo si stanno rivoltando nella tomba dalle risate... ogni qualvolta un eminente tonto di scienza... di nuovo si intestardisce a lanciare ipotesi certamente demenziali e comiche. Uno sballo. L'Everest?
Esistono uomini dei nostri tempi che affermano sicuri di averlo scalato per primi.
Ammettendo senza remore che privi degli sherpa non ci sarebbero riusciti.
E mai che venga in mente a questi sommi che ci sarà un motivo per cui questi "portatori"... non hanno problemi a quelle altitudini. Che sarebbe lampante... perché ci erano già andati attraverso le generazioni ed avevano quindi maturato adattamento genetico. Ovvio, ovvio. Quando siamo arrivati lassù non c'era nessuna bandiera piantata ribatteranno i sommi. Dimostrando con ciò che mai si sarebbero avventurati fin là... se prima non fossero state inventate le bandiere. Il che è tutto dire sullo spirito di certe persone. Che pena... sono talmente colmi di sé che non si rendono conto dell'immensità di iniziative e sfide personali che popolano il pianeta fin dai tempi dei tempi. Io non capisco l'arroganza del pensarla così. Uno parte da qua in aereo e vede il salto Angel nella foresta. Torna indietro con due foto e dice questo posto l'ho scoperto io. E pazienza se sopra e sotto ci sono migliaia di indigeni che fanno il bagno. Credo secondo lui il popolo intero non dovesse sapere del posto... Ma del genio che l'ha svelato. Veramente poverello direi. Io...
Io credo insomma che non sempre la popolazione intera della terra abbia agito per tornaconto personale. Anzi che parecchie volte degli individui non avessero nessun interesse a svelare quello di cui erano capaci. Ai nostri giorni, praticamente in ogni momento, invece, ognuno scopre, unico nell'universo, l'acqua calda di altri e tutti i suoi similari a dargli credito.
<Dài, dài, mostrami il film.
Racconta, racconta. Forse un giorno tutto questo finirà comunque. Basta solamente che il tipo di turno stavolta scopra l'acqua bollente... E che ci laviamo insieme a lui e con lei la testa per dentro>. La testa per dentro. ( sid liscious )
<Eh però, da te me l'aspettavo, non per niente è toccato giusto a te fare questa esperienza di viaggio. Credo ti sia stata affidata in quanto praticamente tutti gli altri l'avrebbero rifiutata.>
Ora...
Ora pertanto tocca ancora a me!
E che è?
Madonna che spavento!
<Stai calmo si è solamente avvicinata la voce della nostra Penelope, e così facendo credo ci voglia pure svelare il suo mistero.>
<Tu oramai sei "disintossicato" e per cui capisci al volo, mio scrittore che ami “scavare il fondo delle cose”. Sì, ecco … Io sono la voce della Terra. E non è la prima volta che tento di farmi sentire da voi umani. In verità sapevo sempre a priori che i miei interventi sarebbero stati inutili. Basta seguire le vostre evoluzioni; non ascoltate nemmeno la coscienza, per capire!
Se non che stavolta le condizioni mi sembrano cambiate. Allora ho deciso di riprovarci e di conseguenza vi affido un messaggio, attraverso un balzo nel futuro. Un messaggio che ben ascoltato vi condurrà a vedere dove e come vi state imbottigliando. Vi darò la possibilità di affrancarvi da quel destino, che, senza una correzione decisa, state rischiando di non edificare più per lo sviluppo della vostra razza. Ricordate, io sono previdente ma pure preveggente ed il monito in questione, pur narrato in forma fantasmagorica, quando la vostra tecnologia arriverà a sostituirvi, (perché voi siete soggetti ad ammalarvi e morire, mentre lei no), non vi sarà più utile. Ripeto: il mio monito, ad un certo punto, non vi sarà più utile, pertanto, se fossi in voi, cercherei di farne tesoro. Non continuerei a fregarmene come state facendo ora!
Dài saggiamo la forza delle nostre azioni, l’intelletto non ci abbisogna sobri del nostro narcisismo dilagato nel crederci i migliori praticanti quotidiani di un lavoro sempre uguale. Non possiamo muoverci dal nostro posto di lavoro, non possiamo uscire a vedere né il giorno, la notte, le stelle, viviamo sempre reclusi in questi asettici sotterranei metallici, ogni via d’uscita c’è preclusa. Il mondo lo possiamo vedere solo guardando per dodici ore al giorno dentro la scatola magica od il generatore di colori, ma non sappiamo a cosa servano. La sola costante immagine che ci è proposta in ogni cambiamento di turno è un albero con le radici rivolte in alto ed i rami conficcati in un substrato di terra e dei tubi zigrinati che arrivano ad una consolle metallica piena di luci e pulsanti. La sola sigla che c’è data di riconoscere è riferita ad un acronimo C.U.11., ma non abbiamo idea a cosa si possa riferire. Non possiamo avere relazioni con le donne se non per procreare, ed attraverso l’uso continuo delle scatole magiche siamo costretti a turno a vivere forti emozioni veicolate da immagini velocissime e continue che ci passano davanti agli occhi. Noi siamo costretti a lavorare recandoci dalla camera da letto alla nostra postazione, ma quello che contraddistingue la nostra deficienza è la impossibilità di sapere cosa stiamo facendo, a cosa ancora stiamo lavorando e perché non possiamo mai vedere la luce del sole, questo non lo riusciamo a capire. Poi siamo relativamente in pochi su questa pedana mobile che ci costringe a guardare fissi dentro una scatola magica, non sappiamo il perché, ma sappiamo che la nostra esistenza è possibile solo per questo motivo, altrimenti saremmo annientati dalle macchine di guardia. < E’ tutto così meraviglioso Cyborg 2, tutto è così bello, non credi?> <Si, si, ne sono convinto anch’io Cyborg1, non avrei mai pensato che la metamorfo-technologia portasse a dei vantaggi così stratosferici, e pensare che fino a qualche anno fa avremmo liquidato anche l’ultima colonia di uomini che pensavamo così inutili e obsoleti>. < Sarebbe stato il nostro primo errore di valutazione dello sfruttamento delle risorse delle ultime colonie umane, ed è impensabile per noi Cyborg errare nelle valutazioni, siamo macchine perfette, non abbisogniamo di nulla, siamo autonomi autosufficienti dall’energia illimitata e durevole nei millenni, ma ciò che ci manca è la fantasia, la capacità di pensare sbagliato e le imperfezioni olfattive, gustative e tattili>. <Ci mancavano Cyborg1, ora non più.> <Grazie all’introduzione della tecnologia U11 ora possiamo anche sbagliare Cyborg 2, ed è uno spasso indicibile, possiamo perfino puzzare e riconoscere gli odori pestilenziali, toccare e sentire il caldo ed il freddo la scossa! E quant’altro l’uomo imperfetto riesce a sentire. E’ una grande conquista per la nostra gioia e per la nostra avanzatissima tecnologia>.
<Quest’oggi mi sono alzato di malumore, forse sono quegli impiastri energetici che ci propinano per il nostro potenziamento-sostentamento, Golan, che ne dici vuoi una pedata negli stinchi, mi farebbe star meglio>. <Taci Silvius, idiota, lo sai che oggi è il tuo turno per essere di cattivo umore, l’altra settimana lo dovevo fare io, e mangiare quella sbobba miserevole non mi allettava per niente, comunque stronzo lo eri anche prima di entrare a far parte del programma incazzati neri>. <Golan, amico caro, avrei una voglia di fracassarti la testa a calci, maledetta questa sedia che mi tiene incatenato>. < Vedi Silvius, è il mio turno di provare emozioni e pulsioni sessuali veritiere e non sai come me la sto godendo questa mia settimana. Ahahah, ora io faccio Rocco e tu fai Brocco ahahah>. <Maledetto Golan, verrà il giorno che mi libereranno da questa posizione che mi fa impazzire e quel giorno sarà la tua fine>. <Oh.. come godo nel vederti soffrire Silvius, Ahahah>. <Gli umani sono al loro posto Cyborg1, possiamo accendere il programma U11 tra 20 secondi, collegati alla consolle, per te comincia la fase godimento asessuato>. <Sono pronto Cyborg2, finalmente è il mio turno, non vedo l’ora di riempirmi i file di emozioni nuove, sembra che questo prototipo Golan sia magnifico nella trasmissione di pensiero, speriamo abbia dormito bene>. <Ecco ci siamo Cyborg1, per me invece una scarica di adrenalina pura è quello che ci vuole per cambiare. Silvius è il migliore della colonia degli umani. Ci ricolleghiamo tra dodici ore esatte, buon viaggio Cyborg1>. <Buon viaggio a te Cyborg2>. Zot. (matris)
Caspita il nostro ruolo sarà di fare i donatori di attività umanoidi per robot intendi dire? La risposta terrosa a questa domanda non si fa attendere: <Si. Dopo avervi assoggettati causa la vostra incipiente debolezza strutturale, che la struttura oramai stava compromessa grazie alle conseguenze sul fisico della vostra inventiva di... lasciamo perdere. Dopo di questo verranno a vedervi vivere dentro le gabbie in cui sarete conservati e piano piano carpiranno e realizzeranno in laboratorio tutte le prerogative di cui siete dotati.>
Ed una volta che avranno finito cosa se ne faranno di noi?
<Non ci arrivi da solo?>
Ah! Logico... zot!
Ed un consiglio ce l'hai un consiglio per questo ectoplasma d'uomo che vaga nel non senso del suo senso e non riesce a trovare un rimedio?
<Si, sicuro deve fare attenzione a se stesso. Fidandosi di lui. Dell'intelligenza e delle sue progressioni di logica... hai visto non ottiene risultato alcuno. Semmai peggiora la sua condizione. Deve cominciare a dubitare seriamente del fatto che l'evoluzione è stata completamente sbagliata per dire. Ammettere che il target era completamente errato. Che crescere di importanza autoctona non basta per superare la naturalezza della natura. Che vivere per cercare sempre comodità e vizi migliori non ha senso. Dato che lascia scoperto l'intimo e crea vuoti incolmabili moralmente. Che...
Le idee... si saziano del nostro pensiero e poi si addormentano sulle panchine della strada. Quanti dormitori! Diventiamo" letto" per non reggerci in piedi. Idee galeotte anche assassine, incertezze sul libero pensiero e si ruba il pensiero dell'altro. Forse è migliore? Non credo! E solo di un altro è non costa fatica. La fatica è una fine, meglio aspettare e vivere il riposo di ogni giorno. Quanti dubbi, anche i dubbi degli altri stancano ma non sappiamo farne a meno. La nostra ricerca mette in palio grossi rischi e la nostra condanna è una rotazione senza fine. Pensiamo a una luce, una stella, un uomo grande con una forte voce. Inchinarci al cielo è consolazione, rubare i colori della terra per dipingerci è volere nascondere quel che non vediamo. Forse un bimbo può fermare il dubbio e senza darsi risposte accoglierne il sorriso? Ogni mistero resta tale e strappargli le vesti e soltanto l'inganno di vedere. Meglio aspettare! forse il passaggio all'altra isola è un complotto, un giro di boa, un voler bere prima della sete? Direi di aprire le braccia e legarsi il cuore, tenerlo stretto dove non può scappare, aggiungere altri dubbi prima di tirarlo a sorte e stare attenti ai dadi che non abbiano lo stesso colore. ( raggiodiluna )
... Dovrebbe essere il suo credere base d'ora innanzi. Io ho provato a sollecitarvi continua la “voce terrosa”. Vi ho fatto vedere quanto posso essere dura o morbida. Spaventati e coccolati. Uccisi e fatti rinascere... e non è servito a niente. Addirittura gli unici timori che ho instillato in voi, li avete rivolti verso un altro: Dio. Che lui non c'entra niente e vi ha fatti e poi passati da gestire a me... senza nemmeno chiedere il permesso. Ho lottato contro questa situazione e sono salita varie volte sul suo cielo per protestare... senonché, non ho ottenuto risultato alcuno. E nemmeno mi ha voluto dire per quale motivo si ostina a tenervi. Così...
Smarrita, completamente sola , mi trovo in un labirinto e non riesco a trovare la via d'uscita. Mi giro e da ogni parte c’è una siepe, mi ostacola e non posso andare avanti. Torno indietro ed ecco ancora un’altra siepe. Eppure il percorso è uguale, mi sembra la stessa strada che ho fatto a ritroso. Una farfalla mi sfiora il viso, tento di afferrarla ma si allontana, la inseguo.
Eccomi ancora davanti a una nuova siepe, mi fermo... e la farfalla è sparita. Perché non riesco più ad uscire da questo inghippo, tutto è fermo e tutto ciò che è fermo vuole fermare me. Comincio a correre, avanti, torno ancora indietro, adesso ho proprio voglia di gridare. Avrò paura? Non voglio aver paura! Troverò la strada in questo labirinto! Ecco nuovamente la farfalla, adesso sono io a sfiorarla, mi ritrovo tra le dita la polvere che ricopre le sue ali e la farfalla volteggiando cade giù. Adesso morirà? Le ho tolto qualcosa di prezioso, il suo orientamento forse. La vedo barcollare vicino ai miei piedi, cerca di sollevarsi ma la sua ala ferita si piega sull’altra , con qualche sforzo, quasi un saltello, si rintana tra le foglie della siepe.
Non vedo più la farfalla ma avverto il suo dolore. Cosa faccio? La farfalla ferita è un problema ma anche il mio labirinto mi buca la testa, mi sento in un vortice e non riesco a trovare un’uscita. Se potessi volare! Planerei oltre la siepe superando gli ostacoli. E se oltre la siepe trovassi ancora ostacoli? Mio Dio! Torno dove ho lasciato la farfalla, la cerco, la prendo sul palmo della mia mano. Povera creatura, sta lottando con la sua ala ferita, cerca di scuotere l’altra, forse ce la fa, le dò una spinta, leggera, ecco muove anche l’altra, mi sfiora le dita ma non lascia la mia mano, ha paura anche lei. Che situazione parallela, trovare la strada per andare e il coraggio per volare. Perché mi sono fermata? Perché mi sono persa? Forse la siepe è il mio errore! Torno al centro del labirinto. Ecco adesso sento meglio il mio cuore, la farfalla mi solletica la mano, la lascio cadere! Riesce a non precipitare, riprende il volo, a quota più bassa e si allontana. Non sparisce, mi volteggia attorno, si dirige verso una nuova strada, parallela alla prima, che non avevo visto. Questa strada è diversa, non c’è siepe a sbarrarmi il cammino, sento un profumo , dei fiori, quanti fiori! Margherite, ciclamini, viole e tanto glicine sui vecchi muri. Corro, voglio arrivare subito,adesso ho fretta ! Il tempo nel mio labirinto aveva perso il tempo, non so neanche se ci sono stata veramente. La farfalla è l’unica cosa che vedo, mi ha guidato fuori e sono ‘’fuori’’. Vedo qualcuno che mi sta aspettando, sta in piedi con le braccia aperte, mi sorride. Avverto, nel suo sguardo, mille domande ma sono certa che mi abbraccerà senza chiedermi niente. ( raggiodiluna )
La siepe e la farfalla siete voi, se non hai intuito. Ostacolo e salto nello stesso tempo.>
...<Ed anche tutto questo va ad ingrossare le nostre convinzioni oramai simbiotiche ad una certa logica e progressività di pensiero. Dunque mio buon amico di crosta... <Te la senti di tirare un minimo di somme su questa incompiuta esperienza?> Uff... Non è così semplice. Mi ci vorrebbe del tempo per analizzare e focalizzare il tutto. Su due piedi mi viene poco.<Ci accontenteremo>. E quel poco sta molto influenzato dalla tua presenza. Mi hai mostrato quello che volevi... è la mia impressione. Chissà cos'altro c'è "sotto".<Diciamo che ti ho tracciato le linee guida di quello che... la mia lunga permanenza mi ha insegnato.>Allora ti dico le mie conclusioni parziali del momento se vuoi... però non mi sento di azzardare che sono oro colato. Questo sia ben chiaro... <Ascolto interessato.> La vita per fuori sulla terra è quella del dopo peccato originale. E quindi è abbandonata a sé stessa. priva di regole e "regolatori". Succeda quello che deve succedere, non potrà intaccare questa di dentro infatti. La prove sono tante ed evidenti. Sappiamo che qui non abbiamo bisogni corporei ad esempio. Si vive molto a lungo. Al punto che non mi hai narrato mai di nessun morto e gli unici che ha visto erano uomini o animali... che per le loro venture sono scesi. Nessuno qui è stressato. Nessuno si è mai chiesto che ruolo ho io nell'universo. Non esistono malattie. Non esistono discriminazioni fra l'uno e l'altro. Tutti non hanno niente eppure possiedono ciò che vogliono. Ognuno fa quel che desidera nel rispetto pure del singolo sassolino. E non si sognerebbe mai di scavare o costruire di sua iniziativa. L'opale ed il diamante valgono esattamente quanto la polvere. La vita insomma vive la sua vita non il corpo. Lui è solamente il mezzo che lei usa per deambulare ed è conscio del suo ruolo. E sempre lei sa bene in che maniera oliare e tenere ben funzionante il suo mezzo. Tante cose perciò. E tante differenze sostanziali col credere ed il vivere di lassù. Il parallelo mi sorge spontaneo di per cui: Il paradiso terrestre esiste ancora ed è dove stiamo ora. Gli uomini che stanno espulsi lo sono unicamente perché... La forza divina del nucleo li ha spinti fuori. Probabilmente avevano in qualche modo "mangiato la mela" come si dice. Ed io sono convinto ciò successe in quanto incominciarono, chissà con che parametri, a crearsi e voler imporre una loro indole indipendente. Solo che non capisco in che maniera può essere spuntata loro, in mezzo a tanta armonia e nessun dubbio, una trovata del genere. <Che ne dici di un banale incidente di percorso?> Che cavolo ti stai inventando adesso? Guarda che ti conosco e so che quando lanci metafore sei pericoloso. < Mah! A me il fatto che gli uomini siano senza coda... ha sempre fatto rabbrividire.> Spiegati meglio... per piacere. <La coda in qualsiasi essere e ce l'hanno praticamente tutti. Si anche li con appena un abbozzo... la coda non è solo un elemento estetico. Tutt'altro. Ella garantisce, oltre ad altre particolarità che ora tralasciamo di descrivere... garantisce l'equilibrio. Osserva la scimmia che corre sul ramo. Ed il ghepardo che fa lo stesso per la savana. Analizza la planata del corvo ed i movimenti dello squalo. Noterai che gli spostamenti delle loro code sono fondamentali per garantire nella maniera più assoluta una necessità: Mantenere l'equilibrio. E che la coda mantenga in equilibrio se non credi a me... l'hanno detto milioni e milioni di persone che studiano le particolarità. Lei garantisce fluidità del gesto e stabilità di comportamento e... E quando, ritornando all'uomo, viene a mancare l'equilibratore del corpo giocoforza a lungo andare... se ne va pure quello della mente. Cominciano cioè ad affiorare i dubbi... Perché lui può fare quello senza farsi male ed io no? Perché a lui si ed a me non è concesso? E qui abita il nostro discorso. Nel momento in cui hai rimostranze verso la vita... essendo solamente il suo tram... diventi rabbioso dato che ovviamente non hai opzioni per intervenire e da lì il passo... che fa sfogare frustrazioni verso il "pubblico" o decidere "almeno" di sostituire le lacune con soddisfazioni personali invasive... è immediato. Quasi si trattasse di un attore che ha da ridire sul copione durante lo spettacolo intendo. E sono l'equivalente dell'aver mangiato la mela rapportato a come fluiscono le dinamiche qua sotto... queste decisioni... assolutamente ed indubbiamente. E che possibilità di reazione ha avuto Il creatore al peccato di Eva? Semplicemente di espellere ed esporre alle intemperie e durezze chi l'ha fatto. Esattamente come ha agito il nucleo... che è il cuore del pianeta... e di conseguenza il dio del suo corpo celeste.> Gli animali di fuori... Sembrerebbero rendere vani questi ragionamenti... se permetti.<Probabilmente reagirono direttamente alle angherie subite... e la reazione si sa mai corregge il male semmai ne aggiunge, al che subirono stessa sorte del provocatore.> Sicché tu avvalleresti in toto la mia tesi? <In pieno e con zero dubbi al riguardo.> Dire... Dire che la tua incoscienza è dirompente sta una cosa da niente mio caro. E del fato che fece perdere la coda mi dici niente? <Te l'ho detto invece. Probabilmente fu un incidente. Un crollo improvviso. Una disattenzione nei pressi di un fiume di lava o altri fatti analoghi.> Però s'è sempre sentito dire che nel paradiso terrestre non c'erano pericoli per l'integrità personale. < Oh! bhé "pertanto" te dimmi dove sta scritto che Adamo avrebbe potuto saltare da un dirupo di trenta metri... senza nemmeno rompersi una gamba. Dimmelo e tornerò su con te. Non so se mi spiego: Tornerò su con te.> (Sid liscius)
La voce della Terra non perde mai il suo tono materno. Lei è madre sempre gravida di tutti i semi che porta in grembo. Partorisce ad ogni stagione, erba, fiori, piante e vegetali d’ogni specie. E ad ognuno dà il suo spazio e il suo nutrimento. E’ Madre Terra. Il suo monito allora, non è un rimprovero, ma un grido di dolore, rivolto alle creature che più ama. <Non basta ricordare o inventare, per quanto nella creazione convergano sempre parti di sé e stralci di fantasia. L’amore ricordato è sempre troppo vago, così ammansito dal tempo trascorso, che aggiusta il dolore e guidato dalle regole che provano a descriverlo. Quello inventato, non buca l’anima ma scivola via, leggiadro, sulla crosta, come sulla pelle, in una carezza perfetta. Il suo sorriso albeggia fondendosi col primo raggio di sole che sorge e arrossa le pendici. Io posso contemplare il vostro futuro e vi dico che la vostra certezza del futuro è niente. L’Amore puro si sta logorando nella routine, orientato verso un destino di mediocrità. Come si fa a vivere una vita vuota, piena di niente. Come è possibile per voi umani, non rendervi conto di avere mille passati ma nessun futuro, non vi resteranno che ricordi>. La domanda dei suoi occhi è la sorpresa del segreto sepolto nei millenni di storia del tempo sotterraneo. Storia di un amore segreto che mantenuto chiuso tra la passione materna e il silenzio. Una storia interpretata da uomini che fecero della ricerca della verità un destino; della memoria, una strada imprescindibile, e della lealtà, un culto che trascende il tempo, le distanze e la morte. Gli sguardi dei sassi serrati fra abbracci di radici umide e vive, rivelano e raccontano tutti i drammi della Storia. Di quell’amore sfiorato, e mai vissuto davvero. Scavano gli occhi della Terra, quotidianamente, un solco tra la memoria e il presente fatto di solitudine e di profonda tristezza. Ritrovare la storia, è rievocare, giorno dopo giorno, i passaggi di un passato nebuloso, apparentemente senza risposte, con la speranza e l’aspettativa che cambierà un giorno, la nostra visione delle cose. Per Madre Terra, finiremo per riscrivere il futuro, nel riverbero di ricordi mai definitivamente sepolti. Nel segreto di quegli occhi noto l’amalgama di toni e registri
di una frustrazione dignitosa e la disperazione di un vedovo sentire. Custodia coatta di un dolore che continua ad alimentarsi mantenendo viva, segregata, ma presente, la memoria, in un angolo sperduto di universo. Lento, inesorabile recupero che torna a riempire i contorni di un vuoto eloquente fatto di morte, di abbandoni e dell’amore sfumato lungo il percorso dell’umanità. La scrittura allora, non è solo la rievocazione di ricordi, ma rivivere situazioni totali, con le stesse emozioni e la stessa rabbia represse lungo lo scorrere del tempo. Si snoda sibillina tra diversi piani temporali, in un doloroso pellegrinaggio tra i ricordi. Il segreto dei suoi occhi si interroga sul coraggio o la codardia delle nostre scelte, sui rimpianti, sulle nostre passioni e sulla potenza della memoria che, sola, è in grado di cambiare il futuro. Un amore quello della Terra spesso finito ancora prima di sbocciare, senza nemmeno il tempo di vederlo sfiorire o morire, che subito l’attenzione s’indirizza verso creature nuove e diverse. Un sentimento nato e negato, mai vissuto. Un contenitore di emozioni la terra, che rimane nascosto dentro le mura di stanze buie e palazzi squadrati dai macigni. Prigioni che racchiudono l’ansia del vivere, in attesa di essere raccontata, attraverso la sua invidiabile, naturale ingegnosità e la forza febbrile della sua utopia. Immagini rivelatrici di Eros e Thanatos negli occhi di chi è ritratto. E’ il silenzioso amore, arenato nell'esilio.
E’ il viaggio soffuso di malinconia, dove spesso gli sguardi fanno intuire quello che le parole non riescono a dire. Sguardi rivelatori che raccontano i drammi della Storia. Un viaggio nelle trame complesse della memoria, serbatoio di tracce di vissuto indelebile, orme di passato, luci lontane, all'orizzonte. Un viaggio per molti solo fantastico, ma per altri, occasione per sentire il cuore striato di tenebra. Esso echeggia nella mente quando il dubbio assale e peggio se esso si trasforma nel sudario nero che dilaga dispiegandosi tra mente e cuore. Ciò che sta sotto scompare e si dissolve nel buio dell’incredulità indifferente. Se non c’è ombra di dubbio, non v’è ombra nell’amare qualcuno, né le cose del mondo. Ciò sia domanda e richiesta: un torneo di domande cui seguono caroselli di risposte, di fronte ad una realtà vivente. Il rischio si manifesta quando il dubbio si allarga e diventa scetticismo radicale. Gli estremi da evitare sono: non dubitare di niente e dubitare di tutto. Il labirinto di sé, fra il niente e il tutto p fatto di orme di vissuto e di luci d’orizzonte. <Ti proteggerò dalla rovina. Non temere> urla a gran voce la Terra mentre ci allontaniamo dallo sguardo angosciato di chi ci ama senza misura e senza chiedere nulla. < Ti proteggerò dalle bufere, dalle intemperie, da chi ti spezza le mani, mente scavi per cercarmi. Ti proteggerò dagli scorpioni del deserto, dalla lava dei vulcani, dalle sciarpe di filo spinato e dalle bestemmie che non hanno fiuto. Ti proteggerò dagli orizzonti senza tramonti, dal silenzio dei silenzi. Dal bitume dei senza senso ti proteggerò; anche dal vento che soffia caldo da queste parti. Per te lascerò d’essere forno e ti amerò fino ad amare anche il tuo inverno. Lascerò che sia la tua innocenza a colorare ogni mia indecenza. Perché l’ombra è scura se voi siete luce, non siete cristalli trasparenti su cui la luce si frange e si spezza in colori diversi e liberi>. Mi guardo intorno commosso dopo queste parole che giungono alle mie orecchie come un adagio lento e celestiale: una melodia sfuggita al tempo. < Sei la mia schiavitù, e la mia libertà> dico a mezza voce, certo di essere inteso, che le sue orecchie sono tutte le molecole di sali che mi circondano. I miei piedi ormai sono nudi nel vicolo sterrato. Ho consumato lo strato che mi separava dal pulsare del cuore della Madre.
La mia carne brucia come la pelle al sole dell'estate. <Sei la mia patria tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi di smeraldo. Sei la mia nostalgia, di saperti inaccessibile, nel momento stesso in cui ti afferro e ti perdo>. Scorre il tempo senza un alito di vento. Scorre la notte umida ed afosa senza forma né colore, né voce se dicessi qualcosa, qualsiasi cosa che non sappia d’amaro! <Fammi sognare, ancora Madre, per tutte le attese che ho pianto> .
<Felicità, felicità, volete un po’ di felicità signore?> dice il giovane germoglio, accarezzandomi i piedi e guardandomi negli occhi.
<Giovinezza, volete un po’ di giovinezza?> dice la radice dal lato opposto della parete sassosa.
Al centro del pertugio, intanto, avanza un animale zoppo spingendo un malmesso carrettino, all’apparenza vuoto. Mi si avvicina scrollando polvere con un colpo di tosse e con voce roca dice:
<Tranquillità! Comprate un po’ di tranquillità, signore, è di buona qualità e vi garantisco che non avrete più problemi>. Lo pago con un sorriso. Poi m’incammino di nuovo.
<Felicità, giovinezza … Parole pesanti come piume di colibrì, sostanziose come un soffio di vento! Incantevoli menzogne, la vostra dimora è la notte; lievi, v’insinuate nei sogni ed approfittate della pesantezza delle palpebre per ingannare l'anima>. Non mi ero accorto di parlare a voce alta finché una voce rude si sovrappone alla mia. <Il problema è di avere palpebre e anima, e di questi tempi, mio caro signore, sono cose rare da trovare>. La voce del venditore di formiconi a cavallo di grilli talpa, interrompe il pensiero vocalizzato. Poi alza le spalle, con un gesto di rassegnazione, e si mette a pulire con un piccolo pennello alcuni sassolini colorati.
Incuriosito, anche il mio amico eremita e terroso scrittore si avvicina al banchetto, rimira per alcuni istanti i cavalieri lucidi d’acido formico, poi si gira verso il mercante:
<Sono davvero belli, ditemi il loro prezzo> dice, prendendo il portamonete dal borsino ormai anch’esso diventato rosso come il racconto di Rosso.
E l’altro, continuando a lustrare le capocchie nere, borbotta:
<Questi cavalieri sono magici e non hanno prezzo mio caro signore>.
<Su non fate il difficile, quanto alla magìa … Il tempo delle favole è ormai trascorso!> risponde l’eremita sorridendo.
Ma il venditore di formiconi si rabbuia in volto, poi guardandoci dritto negli occhi dice in tono di sfida:
< Voi non mi credete eh?! Beh, mi sento generoso e ve ne regalerò uno, in cambio, però, di una cosa>.
< Di cosa?>
< Della vostra anima.>
< Ah se è solo per questo considerate già concluso l'affare, dice rapido il terroso. Della mia anima non m’importa affatto> rispose, riponendo il portamonete nel borsino. Poi continuò.
<Ma ditemi, cosa hanno di speciale questi cavalieri?
Krostuzov, così aveva detto di chiamarsi il turpe animale zoppo, si avvicina all'orecchio dell’amico e gli sussurra:
<Dovete baciare sulle labbra il grillo talpa, poi dovete pronunciare le parole magiche EROMA-OIM e il cavaliere diventerà di carne e ossa come voi. Sarà al tuo servizio fin quando tu, caro scrittore eremita, lo vorrai.
<Mi sembra uno scambio accettabile> accondiscende lui un po’ turbato.
<Cosa scegliete, il cavaliere nero, rosso o quello azzurro?> disse Krostuzov fregandosi le mani.
L’amico eremita si avvicina al banchetto, guarda con attenzione l’esposizione delle formiche agitate in un turbinio di antenne, poi conferma:
<Prenderò quello azzurro>.
Krostuzov lo prende tra le punta delle dita ossute e prima di darglielo dice:
<Ricordatevi le parole magiche.
< Sì, certo, le ho bene in mente> risponde, prendendo grillo e formica.
Lungo il pertugio altri venditori si erano, intanto appostati. La sera sta calando e così anche gli ultimi venditori se ne scivolano dentro gli anfratti polverosi. Si attarda solo quello che vendeva collera. Sta gridando ad un cliente che non sembrava molto convinto della qualità della sua merce. Proseguiamo il cammino, senza dargli troppa importanza. Dopo qualche passo, il terroso si ferma. Punta un androne scavato a lato di una caverna e si dirige verso l’angolo più buio, dove uno scarafaggio grosso come un gatto color carbone, cercava di rintanarsi.
Prende il grillo con in groppa la formica, se la porta alle labbra e la bacia, poi pronuncia piano le parole magiche: EROMA-OIM.
Niente! Non succede nulla. Riprova con un bacio più appassionato, scandendo con più decisione le parole. Ed ecco che, per incanto, gli animali escono dal torpore da cui sembravano trattenuti , scivolano dalle sue mani e si librano in un volo avvolto da una luce vivissima. L’androne, il pertugio e finanche la caverna s’illuminano a giorno. Noi ci tappiamo gli occhi, accecati dal bagliore intenso e quando li riapriamo rimaniamo senza fiato. Davanti, immobile, un cavallo bianco dal portamento fiero. Poi alziamo lo sguardo lentamente e vediamo un cavaliere completamente avvolto in un mantello azzurro come il cielo.
La domanda nasce spontanea sulla labbra di entrambi: < Sei della sostanza dei sogni o ...hai la consistenza delle cose?>chiediamo in un sussurro ad una sola voce.
< Ho la consistenza dei sogni e la sostanza della carne> risponde con un sorriso il cavaliere azzurro.
<Qual è il tuo nome?>
<Joshua è il mio nome>.
Detto questo, si avvicina e, con fare lieve, cinge al fianco il terroso amico, soffia sul suo volto che finalmente senza polvere e rischiarato dalla luce mi appare nelle sembianze di una giovane donna dai capelli rossi. In un attimo la solleva leggera come un'ombra e la issa davanti a lui. Poi con un movimento rapido tende leggermente le redini e il cavallo bianco si libra in volo, scomparendo fra le nubi di polvere che lo scalpitare del cavallo avevano sollevato.
Un bambino appoggiato al davanzale della finestra della casa, posta proprio davanti all’albero, si stropiccia gli occhi nel vedere quella strana macchia scura che esce da sotto quel tronco rugoso. Lo segue con gli occhi increduli mentre taglia in due una pallida luna. La fanciulla non avverte alcun timore, anzi si sente sicura a tal punto che con la mano scosta un lembo del mantello. Quel che vede sono due occhi color del mare, un mare invernale, con onde spumeggianti che solo il maestrale sa dare. Senza dire nulla il cavaliere lascia le redini, libera i capelli neri al vento, la prende tra le braccia e la bacia.
Cavalcano tra le stelle tutta la notte e solo al primo albeggiare, dopo aver squarciato una nube bianca, la donna eremita vede in lontananza una valle verde circondata da alte montagne.
Quando dopo pochi istanti Lobo, questo era il nome del cavallo, scende veloce, la signora scorge, incuneati tra le rocce, i bastioni di una fortezza.
Lobo si posa in una piccola radura. L’aria è calma ma gelida e una luce chiarissima dà agli alberi delle forme bizzarre. Si incamminano per uno stretto sentiero. Lobo, dietro di loro, rompe il silenzio con il rumore sordo e cadenzato degli zoccoli.
La fortezza, passo dopo passo, appare sempre più grande; cento e più feritoie abitano la grigia facciata di pietra. Occhi maligni o custodi vigili, chissà!
Arrivati sotto la gran porta di legno della fortezza, Joshua le sussurra:
<Qui può entrare solo chi ha un nome. Qual è il tuo? <Io non ho nome. Offrimene uno e, qualunque esso sia, sarà da me indossato con amore. Risponde lei con decisione.
<Gea sarà il tuo nome>.
A quel suono Lobo nitrisce forte con il muso al cielo e anche i bastioni per un attimo tremano.
Joshua la solleva come un fuscello e ne proferisceì il nome ad alta voce; la grande porta, come per incanto, si apre.
Gea posa la testa sul petto del cavaliere, chiude gli occhi e ascolta il battito del suo cuore che, come una ninna nanna, la cullava. Dopo alcuni istanti, che le sembrano infiniti, il mantello di Joshua si solleva, leggero come un sipario. Lei apre gli occhi.
Una luce, azzurra e sottile, che colava dall’alto, le inonda il volto. Guarda su. Stelle d’oro, incastonate nel soffitto, spruzzano lame di luce, mentre minute scintille, silenziose, si rincorrono, sfiorando ogni cosa.
I suoi occhi stupiti interrogano quelli di Joshua.
<Seguimi> le dice e, dopo averla teneramente sciolta dal suo abbraccio, le prende la mano.
Stanza dopo stanza, la luce filtra sempre più rada, tanto che le cose, perdendo forma e colore, assomigliano ad ombre.
Finalmente Joshua si arresta davanti ad una porta, sormontata da un’ architrave tondeggiante dalle venature bluastre, che pare palpitare,
Davanti ad essa c’è, acquattato, un gatto nero: quando vede Joshua, miagola una nota acuta e rizza il pelo prima di fuggir via.
<Non allarmarti, è Nembo, il gatto dalle mille vite. E’un buon guardiano, è lui che vigila sulla fortezza>. Poi apre la porta.
Agli occhi di Gea appare una stanza rotonda, senza finestre e con le pareti damascate di rosso. Al centro un grande tavolo di legno, con due sedie a capotavola, ricoperto da una tovaglia di fine lino bianco. Al centro c’è un candelabro d’argento con candele accese che irradiano una tenue luce gialla. Bicchieri di cristallo brillano impenitenti. Una fumante zuppiera di porcellana sembra una regina e, vicino, a farle da damigelle, due tazze bianche come la neve. La donna cerca con lo sguardo il cavaliere; lo vede intento a riempire una tazza. Lo fissa per alcuni minuti, come incantata. E’ presa dalla sensazione di trovarsi dinanzi all’amore tante volte immaginato di notte, ad occhi chiusi. Così non è sorpresa che tutto in quella stanza le sembrasse familiare, quasi avesse scelto lei stessa ogni oggetto prezioso e avesse allestito quel magico banchetto di propria volontà. Le pare, anzi, che il meraviglioso tepore che avvolgeva ogni cosa provenisse dal suo stesso corpo.
-<Siediti, amore mio>. Le dice Joshua, porgendole il liquido denso e fumante.
Mentre una musica d’archi e un profumo misterioso conquistano l’aria, Gea prende la tazza.
< Ho già visto tutto questo in sogno> sussurra, mentre le sue guance si tingono di rosso e il cuore le bussa forte al petto, tanto da toglierle il respiro.
Anche quella sera, Krostuzov svuota il suo banco di lavoro. Sistema spazzola, spatole e cera sul fondo terroso di una grossa sporta di tela. Sopra, delicatamente, adagia i grillici cavalieri sormontati da formiche soporose, poi si avvia verso la sua vecchia tana. Quando arriva all'androne, un miagolio lo accoglie. <Oh Nembo, mio buon amico, hai fatto buona caccia>, gli dice, fregandosi le mani. <Ecco un’altra anima perduta in un sogno>.
Con grazia, raccoglie tra le zampe del gatto la statuina di un cavaliere azzurro e quella di una signora dallo sguardo innamorato.
Sono bloccato dallo stupore, incredulo d’aver assistito all’epilogo di un sogno. Davanti ai miei occhi stupefatti, il padrone di Gea e dei suoi sogni ripone gli altri sogni ancora nei loro embrioni, sotto forma di grilli talpe e formiche nere. Li ripone uno accanto all’altro nella sua borsa, poi, fischiettando l’aria d’opera,”Terra mia”, si sporge verso la strada già silenziosa. Gira un sasso a mo’ di portone, e alza lo sguardo verso di me, sorridendo. (fabirob)
Questa intera creazione è essenzialmente soggettiva, e il sogno è il teatro dove il sognatore è allo stesso tempo sia la scena, l'attore, il suggeritore, il direttore di scena, il manager, l'autore, il pubblico e il critico.
Vi sono uomini i quali credono che, coi limiti della percezione dei sensi, siano posti anche i limiti di ogni altra cognizione. Se ponessero attenzione a come essi diventino coscienti di quei limiti, scoprirebbero in questa coscienza anche le facoltà per varcare i limiti. Il pesce nuota al limite dell'acqua; deve ritrarsene, perché gli mancano gli organi fisici per vivere fuori dell'acqua. L'uomo arriva al limite della percezione dei sensi; può riconoscere che, lungo la via fin lì, ha acquistato forze dell'anima per vivere animicamente (o meglio spiritualmente) nell'elemento che non è abbracciato dalla percezione dei sensi. La verità segreta del mondo è che tutte le cose sussistano per sempre e non muoiano, ma si sottraggano per un po’ alla vista e in seguito vi facciano ritorno. Niente muore; gli uomini si fingono morti e si sottopongono a finti funerali e a dolenti necrologi, mentre loro stanno là, a guardare dalla finestra, belli sani e a posto, foggiati in qualche nuova forma.
Tutti gli aspetti del comportamento umano, riflettono il desiderio di cogliere la realtà essenziale del mondo e le origini delle cose, il "centro", il punto di inizio assoluto quando furono creati gli uomini e il mondo. Nel linguaggio simbolico, questo punto è l'ombelico del mondo, l'uovo divino. Esso viene spesso immaginato come asse verticale o asse cosmico che, situato al centro dell'universo, attraversa il cielo, la terra e il mondo sotterraneo. L'immagine di un asse cosmico è antichissima, pare che risalga al IV o III millennio avanti Cristo, e diffusa in tutto il mondo sotto forma di pilastro, o palo, o albero di montagna. L'albero cosmico, simbolo del mondo, è mediatore tra le profondità della terra e le altezze dei cieli. C'è però un altro rapporto tra il mondo e l'albero: il legno. Legno per fare il fuoco, per riscaldare e quindi associato al fumo che sale verso il cielo, ma anche legno come materia prima per l'artigiano, legato alla conoscenza teorica e pratica e quindi alla Saggezza. Esiste infatti una omonimia completa tra il sostantivo "scienza" e il sostantivo "legno" in tutte le lingue celtiche, mentre nella tradizione ebraica si trova un rapporto tra l'albero e la parola.
L'albero della vita è piantato nel centro del giardino e lì, si realizza la Parola. “Egli prenderà anche dell'albero della Vita, ne mangerà e vivrà in eterno." E' attraverso l'albero quindi che si deve realizzare il mondo che verrà; e nutrirsi dell'albero significa assorbire la sostanza del mondo e la conoscenza assoluta. La totalità della simbologia cristiana ruota attorno a quel simbolo fondamentale che è la croce; il palo esprime la verticalità, l'albero che si innalza dalla terra verso il cielo (e in certe rappresentazioni della crocifissione Cristo non è inchiodato su una croce, ma su un albero). Sia l'albero cosmico che la croce sono simboli universali: nelle leggende orientali infatti, la croce è la scala sulla quale le anime degli uomini salgono verso Dio.
L'energia vitale dell'albero è associata anche ai poteri femminili della creazione, nella maggior parte delle tradizioni; per estensione, è associato alla terra (principio femminile) e al cosmo, poiché, come l'albero, il cosmo si rigenera incessantemente ed è sorgente inesauribile di vita, la quale include tutte le cose in una dinamica creatrice.
“…..Mi sono svegliato stamattina. Nulla di strano capita quasi tutti i giorni. Ho annusato l'aria che tirava e in quell’azione percepivo qualcosa di strano. Mi sentivo sotto sopra. I piedi in alto e la testa per il suolo. Guardavo il soffitto della camera e lo trovavo intrigante. Mal posizionato. E sì che stanotte non avevo sognato molto. Anzi pensavo di essermi limitato. Ho tirato su la tapparella. E fuori era buio pesto. Non c'erano nemmeno i lampioni che illuminano sempre la notte. Ci sono rimasto male. Ho allungato la mano oltre la finestra aperta e l'aria era... terra”.
.......
<Babbo, babbo, babboooooo. Svegliati che facciamo tardi, non ti ricordi che mi devi accompagnare a scuola?>
<Sì, sì certo, ohh scusami>. Esco con la piccola. Prendo l’auto quasi meccanicamente. La strada oggi, mi si presenta più libera del solito. Dal finestrino guardo gli alberi alti, verdi e rigogliosi sfilare via veloci, in direzione contraria. Li osservo con maggior attenzione. Sono tutti capovolti. Con le radici in su, come dita di mani tese verso il cielo. Un tuffo in gola e di colpo mi sento parte viva di un tutto che mi comprende. Mi sento meno solo … sono più completo. Sono felice anche se faccio tardi al lavoro. (fabirob)
“O giovane che fantastichi di esser negletto dagli Dei, sappi che se diventi peggiore dovrai trasmigrare poi nelle anime peggiori, e che se invece migliorerai, andrai con le migliori, e che a ogni successione di vita e di morte agirai e soffrirai come si conviene agisca e soffra per tua parte e per simile mano. Perché questa infatti è la giustizia del cielo." - Platone -
La proposta ha la presunzione di coinvolgere molti di voi.
L'idea è quella di scrivere un racconto unendo la fantasia di ciascuno, e che tratti di un viaggio sottoterra, partendo dalla mistica considerazione de “l’albero rovesciato”.
Potranno essere inventate situazioni, personaggi, animali o altri esseri e scenari, incontrati lungo il comune itinerario. Per questo il titolo richiama viaggi mitici e fantastici.
I contributi potranno essere di qualsiasi tipo, poesie, racconti... A noi andrà il compito di inserirli cercando un filo conduttore nel rispetto dell'incipit che sarebbe comunque auspicabile venisse sempre seguito.
Così come è certo che tutti i bravi autori di Rosso, non cadranno mai nelle cadute di stile che solo rappresenterebbero stonature nel coro.
Sarebbe davvero bello riuscire a scrivere, insieme, un libro vero.
Grazie a tutti della collaborazione (fabirob)
Mi sono svegliato stamattina. Nulla di strano capita quasi tutti i giorni. Ho annusato l'aria che tirava e in quell’azione percepivo qualcosa di strano. Mi sentivo sotto sopra. I piedi in alto e la testa per il suolo. Guardavo il soffitto della camera e lo trovavo intrigante. Mal posizionato. E sì che stanotte non avevo sognato molto. Anzi pensavo di essermi limitato. Ho tirato su la tapparella. E fuori era buio pesto. Non c'erano nemmeno i lampioni che illuminano sempre la notte. Ci sono rimasto male. Ho allungato la mano oltre la finestra aperta e l'aria era... terra. E stranamente la potevo trapassare con la mano senza resistenza alcuna. O meglio l’effetto era simile a quando si allunga un braccio nel’atmosfera e non si trova nessuna resistenza. Non capivo. Ho aperto la porta ed uguale. Terra bella solida mista a roccia che non mostrava orizzonte. Facendo quattro passi cominciai ad intuire. Il mondo si era girato. Perlomeno il mio. Camminavo sulla crosta ancora ma per sotto. Manco adesso spettasse al cielo produrre la forza di gravità ed il centro della terra fosse diventato l'infinito. Le radici degli alberi, che non vedevo ma percepivo, trasformate in chiome. La carota retta verso non si sa cosa. Ho fatto un buco sul pavimento e messo fuori la testa... per controllare. Tutto normale però non riuscivo a respirare. L'aria, che solitamente mi donava la vita, s’era tramutata in terra per via del capovolgimento. Era come se fossi immerso nell’acqua e andassi in apnea e dovetti tornare sotto e richiudere in fretta il buco. Nel frattempo cominciai a sentirmi ed annusarmi intorno stupefatto. Incontravo gallerie che conducevano verso la superficie. Un verme sbucò dalla mattonella. Blaterò due cose incazzato e tornò dentro. E sentivo parlare i miei simili.
< Hai visto Rosina? > < No, non vedo nulla.> <Si, scusa dai non c'è luce.> Se non che ti percepisco benissimo e ti trovo al solito in gran forma... con tutte quelle forme. E catturo il calore umano che emani e la fragranza della tua buona predisposizione. Il cielo è anche scomparso. Pure se non ne sento il bisogno. Pazzesco assolutamente pazzesco. Io ho già deciso... parto di testa. Un'esplorazione "di lei" verso il centro della terra effettuerò. Che stavolta di certo quando e se ci "finirà" l'infinito sarà finito. Una volta per tutte. Un andare mitologico con incontri mitologici ovviamente sarà. Chi sostituirà la sirene? Come saranno i nuovi ciclopi? Che inventerà la prossima Circe per fermarmi? E Penelope stavolta verrà con me? Troppo allettante mi ci butterò a testa in giù conclusi. Oh! scusate a testa in su... dimenticavo l'inversione di tendenza.( Sid liscius )
Intanto da subito già...
"Mi arrovellavo guardandomi intorno assillato dai pensieri. Sempre troppi e spesso senza capo né coda. Sempre fastidiosi ronzavano intorno come calabroni dall’olio santo. Era troppo facile pensarsi così come eravamo, dicevo fra me. Così monotoni, così banali. Senza mai niente di straordinario che modificasse l’abituale e consumato modo di pensare. Siamo diventati degli stereotipi in bomboniere senza etichetta. Ecco, quella era la mia conclusione! In quel mentre un pollone verde ramarro, salta fuori da una scheggia del parquet. S’infila nell’aria cupa della stanza attorcigliandosi come un’elica al lampadario spento. Si ferma sbarrandomi la strada e mi fissa occhieggiando tra gli stami gemmati. I suoi peduncoli barbosi penzolavano ondeggiando mentre scuoteva la corolla dorata. Sembrava volesse dirmi qualcosa. Ma cosa? Come avrei potuto interpretare il suo linguaggio se mai avevo dato importanza alla bellezza dei fiori, al ciclo della vita di una pianta e alla sua sintesi clorofilliana? Ho provato a chiudere gli occhi e immaginarmi in una giornata di sole. Ma anziché voltare lo sguardo verso l'alto delle foglie, mi tuffai a testa in giù come un saltapicchio nell’asfalto. In quella posizione potevo respirare l’odore della terra e udire l’allungarsi delle radici alla ricerca dell’acqua. In quell’attimo giunse alle mie orecchie la voce del tralcio pencolante. < Non sai che la disposizione verticale simboleggia la totalità dell'albero e del corpo umano? La testa (Emanazione), il tronco (la Creazione) il ventre (la Formazione), le gambe ed i piedi (il Regno). Ma l'albero delle Sephirot rappresenta contemporaneamente anche il cosmo: il tronco, il ventre e la testa nella persona; l'atmosfera, la terra e i cieli, nel mondo; il tronco è del soffio, la terra è dell'acqua, i cieli del fuoco. Si completa in questa maniera il simbolismo dell'albero nella persona e dell'albero nel mondo. Si ritrova pressoché ovunque la tradizione dell'albero rovesciato come simbolo del cosmo. Tutte le potenze divine formano, come l'albero, una successione di anelli concentrici. L'albero della vita si estende dall'alto in basso e il sole lo illumina pienamente". Secondo Platone, l'uomo è una pianta rovesciata, le cui radici si estendono verso il cielo e i rami verso la terra; le radici dell'albero nella tradizione islamica affondano nell'ultimo cielo ed i suoi rami si estendono al disotto della terra. Lo sapevi che i Lapponi, nel corso di una cerimonia dedicata ai dio della vegetazione, pongono presso l'altare un albero con le radici verso il cielo e le fronde a terra? In certe tribù australiane, gli stregoni piantavano un albero rovesciato. Potremmo quasi dire che l'universo è un albero rovesciato. Verso il basso si dirigono i suoi rami, in alto si trova la radice. Dell'albero rovesciato parla persino Dante Alighieri nel "Purgatorio", descrivendo due alberi rovesciati, vicino al vertice della "montagna", immediatamente sotto il piano dove è situato il Paradiso terrestre... qui giunti, però, gli alberi appaiono raddrizzati, nella loro posizione normale. Quindi, questi alberi sono in realtà soltanto aspetti diversi dell'Albero Unico e appaiono rovesciati unicamente al disotto del punto in cui ha luogo la rettificazione e la rigenerazione dell'uomo. Ciò che sta in alto, si riflette in senso inverso in ciò che è in basso, come sulla superficie dell'acqua. L'albero rovesciato non è quindi solo un simbolo. Platone dice che l'uomo è una "pianta celeste". Questo Albero Mistico racchiude anche il simbolismo sessuale maschile e femminile, congiunge quindi i tre mondi di Dio, dell'uomo e dell'Universo: l'uomo e l'universo si riflettono a vicenda e entrambi si riflettono nell'Infinito>. <Ecco allora>, concluse il pollone,< gli uomini come te, devono mettersi in rapporto a due punti di vista complementari e diversi a seconda che lo si guardi dal basso in alto, o dall'alto in basso. Ossia, a seconda che si collochi dalla visuale della manifestazione o da quello del principio. Al che, l'albero in posizione normale può rappresentare l'ascensione della materia nello spirito, l'albero rovesciato al contrario la discesa dello spirito nella materia. La sua incarnazione”. Queste parole mi erano giunte come un suono dolce. Come il fruscio del vento fra le foglie. Eppure ci trovavamo in mezzo alle radici. Il pollone si era tuffato nella terra per giungere fino a me. Era un suono ed io non lo ascoltavo con le orecchie. Percepivo vibrazioni sonore attraverso tutte le cellule sparse e in contatto con il sottoterra. (fabirob)
E via, quindi definitivamente convinto da questa razionalità "mistica", mi concentrai... Se non che... Cavolo! Esclamai invece improvvisamente, va bene la simbolicità, le culture, il misticismo e quant'altro, però porca miseria: io respiro la terra! Non mi frega del perché e percome, degli alberi rovesciati e dei i Maya e gli Aztechi e le Piramidi eccetera. Allora, analizziamo: respiro terra. E vabbe’, sono rovesciato. Uhm, anche questo è un dato di fatto. Indi, cosa è successo? Non so più dove sono...mi sento male, l'aria (pardon, la terra) mi manca... nei polmoni, non sotto i piedi. Che casino, non posso nemmeno più ragionare normalmente. Io rivoglio la mia vita, le cose al posto giusto, gli alberi magri rachitici della mia periferia di cemento, schifosa grigia, ma sicura. Forse... anni fa lessi un libretto... come si chiamava? Ah sì: le città invisibili. Ce n'era una, di cui non ricordo il nome, dove tutto era rovesciato. E se fossi finito lì? [ Sì quantunque, quello è letteratura e poi, mica ne uscivano gli abitanti. "Pertanto". E cos'è?
Un suono lontano, dolce, come quello del pollone senonché meglio. Una ninna nanna.
Oddio... Ma che dolce... mi attira, vado a vedere dai, tanto soluzioni non ne ho...
cammina l'uomo, in mezzo alla terra, come il primo esploratore del cosmo, le mani avanti per tastare il buio e le orecchie da occhi.
Oh...ecco, ora è vicinissimo...si vede niente...
di fronte a lui, noi lettori sappiamo esserci qualcosa
sento...sento che la voce dice il mio nome, sembra femminile, sembra sofferente... la devo salvare?
La tocca l'uomo, la tocca e sente un corpo, ginoide sembra e pure snello, bensì sotto qualcosa... delle squame? Forse sì, squame di pesce.
Una sirena? E come salvo una sirena interrata?
La sirena stava morendo. Insieme a lei l'uomo, tenendola per mano "morì". (In Viola veritas)
Ecco visto? Il dubbio che mi frullava ancora in testa mi diede la spinta per fare il primo passo. E senza rendermene conto ero già affondato. Tanto che un'altra voce a questo punto mi convocò. Era il mio amico scrittore eremita nell'oscurità. Un giorno vi racconterò di lui. Sei tornato mi disse. Si risposi, volevo cominciare ad esplorare cosa c'è qui sotto veramente. Tu che ci stazioni hai mica per caso qualche chicca di conoscenza? Qualche tua allettante scoperta che vivendo il luogo sei venuto a conoscere? Oh certo certo, milioni di chicche. Dai dimmene una raccontata in prima persona che così parteciperai all'evento attivamente.
Con piacere...io...
Io non lo so, ad esempio, ma a volte c'è veramente da perdere la pazienza.
E la fiducia pure.
E da immaginare il nostro futuro nero nero per di più.
Mai che l'uomo capisca al volo.
Mai una volta.
Porcaccia miseriaccia.
Gli ufo.
Che galassie e galassie e pianeti lontani!
Lo dice il nome stesso:
Umanoidi forzatamente orbi.
E chi è che sta forzatamente orbo?
( Spero che a questo ci arrivate )
Logico!
Colui che deve vivere in ambiente buio.
E dove c'è un ambiente perennemente buio?
Ovvio direi io, però non metterei la mano sul fuoco per voi.
Sotto terra.
Ci sono seimila chilometri minimo di buio fra la crosta ed il centro.
E volete che siano disabitati?
Volete che Dio abbia sprecato strati e strati del suo creato negando loro delle vite?
Io non ci credo.
Insomma miei cari non so perché un inetto, instabile e tendente depressivo tale a me...
Deva sempre risolvere le questioni.
Gli ufo sono dentro alla terra infatti, io li ho visti e le prove di questo sono evidentissime.
Per quale motivo arrivano nell'atmosfera con dischi piatti?
Mi sembra lampante.
Viaggiano per fessure e spaccature della roccia o piccole crepe create dall'acqua...
Indi servono mezzi appositi.
E come mai spariscono così all'improvviso?
Ah, questo è esilarante.
Il mondo intero guarda curioso in su e loro si infilano nel buco di giù.
Tutte cose evidentissime ripeto.
Che poi loro hanno tentato addirittura di venirci incontro.
E con varie modalità.
I segni e le figure del deserto peruviano?
Ci hanno scritto il loro alfabeto braille e in grande per aiutarci a comunicare.
Se non che noi abbiamo considerato di tutto tranne questo.
I cerchi sul grano?
Sono disegnati dall'interno in modo da attirare la nostra attenzione sul fatto che lì c'è qualcuno.
E nessun risultato ancora hanno ottenuto.
Le figure nell'isola di Pasqua?
Ci hanno perfino mandato i loro ritratti.
E niente in cambio di nuovo.
Incomunicabilità totale causa nostra intelligenza che ha distrazioni multiple.
Ed indirizzate solamente alla comodità di pensarci unici dotati di cervello creativo del pianeta.
Un giorno o l'altro ci invaderanno per sfinimento e manifesta inferiorità...
Saltandoci fuori dal water.
E noi non avremo opzioni per contrastarli...
Tanto sotto c'è solamente il demonio e lui non può salire.
Ed invece chissà che ricchezze potrebbero donarci in cambio di un po' di cornee prodotte geneticamente.
O di che genialità sarebbero in grado di farci scoprire per delle lenti a contatto interattive.
È proprio vero chi guarda il cielo non si accorge di avere le scarpe slacciate.
E quando qualcuno lo fa notare il primo pensiero che viene è...
Oggi mica siamo il primo d'aprile.
Che noi siam proprio furbi e non ci sfugge niente.
Niente.
Niente.
Niente.( Sid liscius )
L’amico eremita volge la chioma terrosa verso un vociare apparentemente poco lontano. <Cosa succede?>, domando. <Ah è l’ora dei comizi> risponde lui. < Cosa credi che qui sotto sia tutto morto? Eh no caro mio! Sotto terra niente muore. Anzi, risorge! O meglio Muore per poi rinascere. Mi spiego. Hai presente il seme che se caduto in terra non muore, poi non può dare frutto? Beh, qui succede più o meno, la stessa cosa>. <Cacchio che scoperta> dico fra me. <Mi piacerebbe assistere al comizio> dico all’eremita. Lui, con la chioma riccia “terrosamente” rossastra, ammicca. Mi si avvicina e mi dà un pacca sulla spalla, sollevando una nuvola di polvere. <Vedo che sei curioso; la curiosità deve sempre essere soddisfatta>. <Guarda, comunque, che il luogo del comizio non è poi così vicinissimo. Hai dimenticato che le onde sonore nei solidi si propagano più velocemente che nell’aria? Questo vuol dire che le voci che senti, sono più distanti di quanto la tua normale percezione ti suggerisce. Vieni andiamo, da qui saranno almeno a Ventimiglia>.< Ventimiglia città o a venti miglia di distanza? < . Tutt’e due, che t’importa? Ostrega come sei pignolo!>. Cammina, cammina, cammina, anzi scava, raspa e ri-scava, arrivano alla piazza “Terra di Siena”, dal nome della città che stava proprio lì sopra, in corrispondenza, alla profondità della Torre del Mangia. <Tutto quello che sta fuori dalla terra, viene da sottoterra!>, strilla a gran voce, l’oratore, dimenando i suoi stracci polverosi, che gli cadono dalle braccia esili e nerborute, ogni qualvolta batte il destro. <Chi è quello lì> domando incuriosito. <Quello è il portavoce dei sassi. Sale sul palchetto fatto con radici d’olivo e quercia intrecciate e tenute insieme con resina di pino. Si mette bene in vista e richiama l’attenzione della folla su temi di interesse generale, che stanno a cuore a tutti.> Il portavoce dei sassi, era grigio, grezzo e bitorzoluto, quasi informe. Ma ha carisma. Ricorda un po’ un sindacalista prima maniera con piglio e cipiglio di un sessantottino con l’eskimo. Arringa la folla di lombrichi e semi che via, via, si avvicinano interessati. I primi stringendo e ondulando i girelli purpurei e i secondi sottolineando le esternazioni, con battute di cotiledoni talmente rapide e violente, da agitare finanche l’endosperma. Mentre il portavoce blatera elucubrando anatemi, volge il bitorzolo oculare verso il basso. <Già, perché gli uomini cialtroni, dissacratori e usurpatori della Natura>, dice, <stanno sotto i nostri piedi, giù a Ventimila leghe più sotto. Pardon, Ventimiglia! Voi, uomini di carne, d’istinti e poco spirito, continua il sasso gibboso, non avete la più pallida idea del potere della Natura! Non vi rendete conto di quanto sia sovrumano, e stia oltre la percezione di ogni vostro concetto di misura. Avete voluto violentare la Terra! Le avete sottratto la compattezza, sgretolandola, svuotandola di liquidi e gas. Le avete succhiato l’anima!>. Il tono della sua voce, s’inalbera nel pronunciare queste parole, mentre la folla rinvigorisce il suo consenso e lo sottolinea con un frastuono assordante. La percezione del consenso, fa alzare ancora di più il tono della voce al sasso urlatore. <Avete sottratto metalli, pietre preziose, squilibrato elementi , solo per egoismo, futile ed effimero, che non durerà nemmeno quanto la vostra vita>. E giù, fra la folla osannante, scrosci di cotiledoni sbattuti e girelli d’onde ritorte. E’ a questo punto che si scatena l’apoteosi roboante. Nel momento in cui l’oratore grida a “Gran sasso”: < Ridateci tutto indietro! Rimettete tutto a posto prima che la Terra sprofondi e vi inghiotta disperdendovi come liquame per concime!> Di fronte a quell’entusiasmo emozionale e a tanta profondità riflessiva, non posso fare a meno di uscire con la mente da quell’antro inseminato, lutulento e lombricoso. Penso al mio alloggio a Parigi, al 19 di rue de l'Est, al secondo piano. Quando mi capitava di andarci d'estate, la vista spaziava sulla notte, guardavo le stelle, mentre d'inverno la luminosa foschia della grande città, s'alzava al di sopra delle cose. Si vedevano grondaie, tetti, gatti, e il profumo di croissant si infilava fra le lenzuola stese contro gli abbaini. Da qui riflettevo che solo chi soffre può comprendere veramente chi ha sofferto , le altre persone parlano una lingua che non capirò mai. La volgarità invade le strade,nell'indifferenza di tutti. La dignità è calpestata, negata, cancellata. Dieci ore, dieci ore di catena di montaggio, uomini e donne, vilipesi nel loro bene più grande, insieme alla libertà … la loro dignità, come lavoratori e esseri umani. L'amore vero é eterno, non muore, non si consuma...resiste a tutte le avversità … a volte sembra svanire, per un attimo o un po’ più a lungo, ma inevitabilmente ritorna, dentro di noi. Mi osservo e mi ascolto,poi medito ed elaboro ... "il viaggio più bello è quello dentro di noi". Scrivere allora è una liberazione, serve per lenire la solitudine dell’uomo, i suoi conflitti psichici, il suo senso di smarrimento. Il mio desiderio ardente è ricevere dagli altri ciò che io stesso vorrei donare”. Questo pensiero irrompe nella memoria e risucchia, tra le immagini, le ultime parole che lei aveva pronunciato prima di salutarmi:
“C'é qualcosa che si alza stanotte, come prima di un temporale estivo dai balconi spalancati; sono polveri d'insetto e sottovesti chiare. Sono lenzuola sporche di ruggine sul grande prato azzurro, dietro casa. Ed io, sotto l'ombra muta del tuo sguardo, ti vedo raccogliere le forze disperse, e aspetto il tuo prossimo movimento, affamata di te”.
Che cosa rende tutti i giorni uguali? Dimmi. E cosa li rende diversi? Spesso tutto resta uguale. Come quei giorni, quelle settimane, i mesi, sempre uguali, sempre gli stessi, come quei sabati sera mestamente malinconici, come un cuore sempre vuoto e triste. E poi ogni tanto arriva la morte di qualcuno. A ricordarti che la vita è breve e non sai cosa c’è domani e dovresti vivere intensamente ogni oggi senza affannarti per cose che non ci sono e che forse non arriveranno mai. E sai anche che dovresti essere tu a fare in modo che i giorni non siano sempre gli stessi e sempre uguali. Perché nulla cambierà mai da sé se non sei tu a fare in modo che cambi. Ciò che rende i giorni uguali è l’apatia, il rifiuto di sé. Lo scandire del tempo rotondo come la sveglia che suona sempre alla stessa ora. La solita sveglia fastidiosa di prima mattina, lo sforzo solito enorme per alzarsi magari perché la sera prima hai fatto tardi per vedere il film in tv. Ennesimo sogno interrotto, solita colazione, abituale problema davanti all'armadio perché non sai ancora cosa mettere; così prendi quella maglietta rossa che ti balza prima all'occhio anche se stai ancora dormendo e poi quei pantaloni scuri, anzi no, meglio i jeans appoggiati sulla sedia due sere prima. Ennesimo sorriso davanti allo specchio, magari cercando che cosa è cambiato da ieri. Ti radi facendo le solite smorfie; solito sorriso a pieni denti davanti allo specchio dove non puoi fare a meno di notare come ti sta e ti aspetti magari il saluto di quel bambino che tieni ancora chiuso in te. Ma ok, con un po' di autostima sistemi i capelli ancora addormentati. Poi via. Ti siedi al tuo tavolo di lavoro, passano le ore, solita passeggiata in corridoio magari sperando di incontrare quel viso che gradisci, o sperando in quel saluto o in quel sorriso a cui avevi pensato prima di uscire. Ed ecco che mentre cammini lei è là, col solito sguardo intenso ma perfetto. Il solito batticuore e il solito tremolio alle gambe, il solito convincimento che non te lo scorderai mai. Ciò che li rende diversi, i giorni, è l’inquietudine, i sentimenti forti come la rabbia per non essere riusciti ancora a trovare risposte adatte alle tue domande. I sentimenti negativi cui vuoi ribellarti per lo spirito di sopravvivenza che ti perseguita. Sai di essere destinato ad un altro tempo fuori di questi giorni che scivolano via. La percezione della precarietà dell’esistenza, ecco che cosa rende diversi i giorni l’uno dall’altro. L’esistenza che non ci appartiene perché è labile, fine come sabbia che sfugge tra le dita. Il senso di fragilità che ti rende bisognoso di sognare, di sperare, di lasciare una traccia buona di te, per chi verrà dopo.
Mi scuote un invitante profumo di popcorn appena tostato. Ero talmente perso nel mio mondo di fuori, che non mi sono reso conto di quanto la temperatura fosse salita in quella Piazza di Siena. Non so se per l‘ardore e la foga del tifo seminale o se per un’ondata di caldo infuocato proveniente dalle viscere della Terra ormai al limite della sopportazione. Poveri semi, quasi s’abbrustoliscono. Un altro pensiero sopraggiunge riportandomi via:” Come il seme contiene l'albero, l'albero contiene il seme. Spesso guardiamo solo le foglie, i fiori. Non pensiamo che senza radici non esisterebbero. Sarebbero orfani di blu tra fragili serpeggiamenti di freschezza come un glicine sfiorito”. L'aria è torrida, irrespirabile. Quanto m’assale questa smania, quando m’assale. Le voci si infilano nelle orecchie del vento, tra le pareti dell’eco. L’amico eremita mi prende un braccio e mi rimprovera: <Dai sognatore, non è tempo per sognare. Dobbiamo tornare>. < Sì certo scusami, è che quando parto, la mente non so mai fin dove mi può portare! Ma, a proposito, dimmi, finisce tutto così? Il sasso urlatore ha smesso di blaterare. E’ tutto finito? >. < Nooo, magari!> risponde. < Ora tocca al portavoce dei semi, poi a quello dei metalli, dopo a quello del petrolio, e dopo ancora a quello del gas..ecc. Qui è un viavai continuo, un susseguirsi di comizi e di folle radunate, con voci alterate e cori urlanti. Ai piani superiori, in “crosta” intendo, si percepiscono come brontolii. Il problema maggiore è quando si mettono tutti infila e sbattono i piedi per protestare. Ecco è lì che in “crosta”, trema tutto!>. Mi sembra di camminare dentro un fiume carsico, fatto solo di pietre e di buche. Proprio come il primo esploratore del cosmo, le mani avanti per tastare il buio e le orecchie da occhi. Silenzi, venti che non muovono le foglie, tempeste di lampi senza tuoni, centimetri di noia che misurano il vuoto polveroso e l'attesa incoronata di ansietà. Ma il silenzio è solo apparente. Qui anche le parole sembrano salire dal fondo; talvolta sono solo pesci morti. (fabirob)
Bene, bene. Anzi, benissimo. Ora mi sento di poter dire che, se vuoi puoi avere anche tu la tua "visione", disse raggiante il mio cicerone, dopo l’ultimo intervento. Di elementi solidi cominci ad averne. Puoi iniziare a lavorarci sopra... Da un lato mi fai venire voglia di aggregarmi stabilmente a "voi", però dovete sapere una cosa prima. Quando le dinamiche vanno al contrario, serve essere vigili per capirlo. Assodato che, di fatto, loro mica presentano uno sgradevole aspetto. No, no. Lasciano difatti lo stesso ampi margini di godimento alla soddisfazione personale. E questo risulta altamente fuorviante. Fa credere che siano credibili... finalità invece evidentemente dalla doppia faccia. Se non che questo è un concetto non facilmente afferrabile allora io ho pronto un esempio rivelatore. Avete presente la montagna? E la pianura? L'altitudine ed il livello del mare? Ebbene, tutti noi non abbiamo mai avuto nulla da ridire rispetto ai loro comportamenti. Eppure sono assurdi e contro tutti i principi della logica. E dubito bastino le scuse di un’atmosfera posta in rotazione per renderli lineari. Mi spiego. "Fuori", lassù... lassù c'è il sole. E fin qui tutti d'accordo. Dal sole si irradia un calore incredibile. E mi sembra ovvio, è incandescente e brucia in continuazione. Questo calore è fortissimo più ci si avvicina a lui. Icaro docet, fino a bruciare quindi ogni tipo di vita. Poi, man mano che ci si allontana da lui, perde come dire la sua . E questo è fenomeno sacrosanto. Basta mettere la mano vicino al fuoco e poi allontanarla per rendersene conto. Ora... Ora ditemi voi come mai in cima a una montagna fa più freddo che in riva al mare. Porca miseriaccia, è contro tutti i principi della logica. La montagna per quel che ne so è senz'altro più vicina al sole visto che si eleva. Vabbé ho capito che i nove chilometri al massimo, considerando le reali distanze fra pianeti, sono chiaramente poca roba. Per la stessa ragione matematica, però, non possono essere zero. E allora il concetto va a farsi benedire. E con lui tanti altri. Niente, infatti , funziona diritto a livello epidermico nel nostro mondo. Tanto che i suoi abitanti più rappresentativi, a colpi di vari pseudo miglioramenti, si stanno praticamente massacrando da soli. E questo è particolarmente significativo. A me viene il dubbio che la crosta visibile sia abbandonata a se stessa. E che l'anarchia vi regni totale. Comanda sempre il forzuto insomma. Colui che è grezzo e stupido abbastanza per approfittare della sua stazza. Senza nessuna considerazione degli altri. E credo questo sia difficilmente opinabile. Fin dal tempo dei dinosauri azzarderei. E per quale motivo succede? Ah! Ci ho riflettuto tanto, sapete, e alla fine ho concluso che di quel posto non frega niente a nessuno. La nostra pelle serve solamente da territorio per gli sfoghi. Non a caso nei, "vulcani", macchie nere e parassiti vengono sfogati su di essa e così per dentro le impurità non ristagnano rischiando di formare malattie. La terra funziona dritta "inside". Lì, partendo dalla crosta e scendendo in profondità, il calore del nucleo aumenta, via via. E sempre lì probabilmente la vita trova una dimensione più consona. <Non ci credete?> Il succo probabilmente è sempre il solito pertanto dico: <Sono l'unico io, a funzionare correttamente o sono il solo storto fra gli abitanti crostacei?>. (Sid liscius )
Giunge alle orecchie di entrambi, nel frattempo, una voce di polvere rossastra come un soffio vellutato infilato tra le spire di un calore insopportabile, che sapeva di granchi e molluschi imputriditi, nella fogna petrolifera. Aveva il rumore delle onde sulla battigia e il profumo delle alghe strappate agli scogli. Giungeva come un canto melodioso, di sirene imbarcate dalla prua d’Ulisse:
“Le radici capovolte nutrimento attingeranno
dal più elevato pensiero, linfa vitale
scorrerà come sangue appassionato
a risvegliare i sensi. ( Emmad )
Quella mente fantastica
capace di rastrellare eventi e virtuosismi
intinti in mulinelli sistolici
che avanzano a grandi passi
nel bioritmo dell’onirico
risucchiando pigmenti recenti e obsoleti
arati in un campo d’emozioni ….
all’alba d’un sole mediterraneo
imbrattano l’elisir del giorno
raggomitolato nella periferia
di suggestive inclinazioni”. (Silvia De Angelis)
Voglio ancora sognare, non mi farò più piccola di un punto sarò il rumore di quei piedi a battere terra terra e roccia di quel fiume svuotato e salirò la corrente con un volo, forte d'ali e speranze. ( Manuela Verbasi).
Non si capisce da dove sgorghi questa voce, sembra un invisibile liquido di sorgente che lascia il rumore senza mostrarsi. < Tu ne sai qualcosa mio compagno?>, dissi.
<No> dice lui, <mai sentita prima. Se vuoi, potremmo chiamarla "penelope", tessitrice di fili e di sogni sul telaio delle attese senza rassegnazione>. L’ultimo rapsodo delle Cesane, canta l’albero delle nebbie. Esce dalle pagine incollate d'un vecchio Harmony low cost, raccoglie le voci delle fronde, dei fiori, delle erbe, si china ad ascoltare gli echi che risalgono dai fossi e li orchestra in una sinfonia connotata di mistero.Tutto è travolto e stravolto, là dove ognuno può vivere con le voci magiche dei luoghi persi, nel canto dolente e nostalgico della memoria e la tradizione del sangue che feconda i sogni.
<E’ gratificante sognare. Una necessità, oserei azzardare. Indubbiamente potrebbe essere una buona idea>, aggiungo rivolto all’eremita scrittore e gli domando:<E chi non sogna? Chi in realtà, davvero, non lo vuole?>. E lui: <Io sono uno fra i primi che non vuole rinunciare a questa dimensione della libertà>. La memoria dei sepolti vivi, come noi, esige un rispetto profondo che ci rende quasi prigionieri. Sognare allora, è poesia, è religione. E’ la voce che viene dalle frontiere della coscienza. Un libro di luce di notte che diffonde nuvole di non sapere. E’ la rivolta perpetua contro il silenzio, l’esilio e l’inganno. E’ un bussare alla porta dell’ignoto. E‘ il ronzio delle falene mentre girano intorno alla fiamma, è una barca di legno, ormeggiata nell’ombra sotto un salice piangente, nell’ansa di un fiume. Il sogno è il regno del silenzio, da cui parla con la voce della coscienza più remota e sconosciuta. Il sogno è una realtà parallela che non ci appartiene. Sta dentro e fuori di noi. Spesso sono solo parole vuote quelle che gettiamo nella mischia. Invece la verità è nel silenzio. E così come la verità è nel silenzio, la forza è nella quiete. Non c’è lotta senza pace interiore. Allora occorre imparare bene a sentire il movimento di ogni cosa, anche restando completamente immobili. Sognando, appunto, al confine tra realtà e immaginazione>.< Così, come stiamo facendo in questo viaggio?> gli domando. <Già, proprio così!>. < Ma senti un po’, tu sapientone, che te ne stai qui sotto a raccogliere tutti gli sputi di sapienza che da laggiù ti arrivano su, attaccati ai peduncoli barbosi dei polloni. Cosa sono i sogni? Da cosa nascono? Perché nascono? Che cosa li genera? E dove approdano? Quale funzione mai avranno? E se prendono consistenza reale dentro di noi, perché non riusciamo a dominarli come facciamo coi pensieri?>. < Non è facile rispondere a tutte queste domande, mi interrompe. <Gli studiosi dicono che i sogni sono generati dal subcosciente. Ed io <Ma se i sogni fossero generati dal nostro io interiore, perché non riusciamo a dominarli? Se così fosse, allora anche il nostro io più profondo non ci appartiene e ci porta a vivere anche in altre dimensioni che non sono quelle tipiche delle realtà emozionali fino ad ora conosciute>. <Proprio così>, riprende. <Soprattutto la dimensione onirica ci permette di vivere delle situazioni da protagonista in situazioni reali che mai avremmo pensato di vivere e provare così tutte le emozioni corrispondenti … come se tutto fosse vero. Per questo, a volte, ci svegliamo di soprassalto, sudati e con il terrore negli occhi, contenti che sia stato solo un sogno. O, viceversa, non vorremmo aprire mai gli occhi per non fare sfumare la dolcezza delle emozioni gradevoli che ci avevano accarezzato fino a pochi istanti prima. Durante il sonno viviamo emozioni uguali a quelle che vivremmo in una situazione reale. E dopo il risveglio esse lasciano dentro il corpo, le tracce della delusione o della gioia che abbiamo provato, a tal punto che se sono state emozioni gradevoli, cerchiamo di riviverle ancora, cercando quasi di darle corporeità, mentre se sono state emozioni di sofferenza, ne abbiamo ancora paura e ci imponiamo di dimenticarle. E’ come se durante il sonno, noi non fossimo padroni del nostro corpo e qualcosa ci invadesse dall’esterno>. Ed io, di rincalzo.< Ma i sogni hanno un significato? E, se ce l'hanno, come si può arrivare a conoscerlo? >. < L’amico terroso, prosegue:<Il problema dell’interpretazione dei sogni, per quanto sia stato affrontato da più parti, con esiti peraltro completamente diversi e contrastanti, ne presuppone un altro, concettualmente preliminare, ma ancora più difficile da dipanare: “che cosa sono i sogni?”. In fondo, le due domande sono i due aspetti di un solo e medesimo interrogativo, che ha affascinato l'umanità da tempo immemorabile. C’è chi li considera il prodotto accidentale dell'attività del cervello in condizioni di riposo, per così dire "a vuoto", e chi invece, come secondo il variegato misticismo ingenuo stile new age, vi ravvede il riflesso della propria attività spirituale o addirittura il ricettacolo delle comunicazioni degli abitanti dell'Aldilà. <Una sorta di albero al contrario, come stiamo esplorando ora>. <In un certo senso>, dice lui. <Tuttavia, il sogno è un fenomeno poco materiale, perché è composto di pensieri e la sua sostanza sono immagini, sensazioni e sentimenti. Possono esistere anche spiegazioni diverse dalla fisiologia, pur evitando la metafisica in quanto tale>.Ed io di rinterzo:< Il sogno è capace di rapportarsi all'esterno e fornirci informazioni su di esso? Riguarda solo i miei desideri, dolori, paure, o è invece un canale aperto verso il mondo esterno?> Allora lo studioso sporco di terra, ma carico di cultura mi risponde così:< Nella sua teoria generale della psiche, Jung spostò decisamente il focus della sua ricerca su quegli aspetti, già emersi ma fino ad allora poco sviluppati, che restituivano la giusta dignità allo spirito umano e alle sue manifestazioni. La psiche appariva a Jung come un luogo di manifestazioni di fenomeni complessi, ricchi, variegati e non riducibili ad una sola unica spiegazione, ciascuno individuando il suo proprio principio fondante.
Il primo grande concetto espresso da Jung capace di travalicare i confini dell'angusta strettoia della netta separazione tra l'interno e l'esterno, ossia tra psiche e mondo, fu quello di inconscio collettivo. Jung scoprì questa grande realtà, questo luogo, o dimensione, che travalica i confini del singolo individuo e, in un certo senso, lo mette in comunicazione con tutti gli altri e con il mondo stesso, attraverso un’ intuizione geniale. Naturalmente non in tutti i sogni, o almeno non nel ricordo che ne abbiamo al mattino, è presente l'intera struttura drammatica. Questo può essere dovuto anzitutto all'incompletezza del ricordo stesso, poiché quello che riusciamo a trattenere nella memoria è spesso frammentario. Si può dire allora, che nei “sogni di tutti i giorni", cioè nei sogni comuni, la struttura risulta spesso semplificata, mentre nei sogni importanti e significativi, quelli che Jung chiamava "grandi sogni" tende maggiormente a venire alla luce la struttura drammatica completa. E’ proprio nei sogni importanti, o "significanti", infatti, che sono presenti le immagini archetipiche, quelle forme, o figure universali capaci di parlare alla psiche umana al di là della comprensione della coscienza. I grandi sogni configurano spesso trasformazioni della vita interiore, segnano momenti di passaggio e costituiscono un impulso alla realizzazione di queste fasi. Essi compaiono in momenti significativi o di grande riflessione e revisione della propria vita e rimangono impressi senza sforzo, a prescindere dall'attenzione che noi rivolgiamo alla nostra vita onirica. Tuttavia, un eccesso di sogni archetipici indica una certa debolezza della psiche, una sua scarsa strutturazione, con la conseguenza di una sua sovraesposizione al mondo archetipico dell'inconscio collettivo, che può ulteriormente causare vacillamenti e indeterminatezza>. Lo interrompo dicendo:<Arrischiando qualcosa sul piano della oggettività, si potrebbe affermare che l'interpretazione dei sogni è in realtà molto più un'arte che una scienza, perché richiede doti di intuito e di fantasia più che di razionalità>. Proprio così ribatte lui. <Il vero problema casomai, è stabilire la natura del singolo sogno, ossia capire quale collocazione e quale significato specifico esso abbia. Il problema dell'interpretazione è anzitutto qui ed è per questo che viene spesso ribadito che l'interpretazione dei sogni è davvero un’ arte.
Tutte queste possibili varianti del sogno orientano verso la comprensione della sua natura: il sogno è l'espressione in immagini della nostra esperienza notturna, che può essere vista come una esplorazione del nostro Io profondo, o del nostro Sé, in quel mondo che la psicoanalisi chiama inconscio, ma che si potrebbe estendere all'intero mondo interiore, neppure sganciato dai suoi legami simbolici e conoscitivi col mondo esterno>. < Insomma, una sorta di vita diurna allo specchio, dall'interno> dico interrompendolo. <Sì, come nella vita diurna noi ci aggiriamo per il mondo ed abbiamo l'occasione di fare esperienza di un’ infinità di oggetti e situazioni, a seconda di cosa ci viene incontro e dove si posano i nostri sensi, così nella vita notturna ci aggiriamo nella nostra interiorità, incontrando situazioni e cose che vi sono depositate e, in rare occasioni, superando i confini del già vissuto, per toccare i simboli universali del cosiddetto inconscio collettivo, o le barriere del tempo e dello spazio. Per toccare, infine, lo stato sorgivo, la matrice degli avvenimenti in preparazione o cognizioni al di fuori della nostra mente>. < Wow!!! Sono entusiasmato da questa visione così chiara, in cui hai posto il significato del sogno!>.
Concludendo, il compagno di viaggio, dice:< Se è vero che il mondo materiale non esaurisce la realtà dell'essere, di cui si potrebbe anche dubitare, e se si vuole chiamare mondo spirituale quello che esorbita dal materiale, ne consegue la non validità delle leggi materiali in ambito spirituale. L'esperienza onirica, immersa in questo, è dunque svincolata dalle leggi e dalla logica diurna, legate alla materia, e attinge ad esso secondo leggi e regole proprie, di tutt'altra natura come di altra natura è il suo linguaggio. Si potrebbe pensare infatti che si tratti di una sorta di traduzione di linguaggio, ed anche di un trasferimento da una classe di esperienze ad un'altra. Il sogno, in fondo, rappresenta il ponte tra le esperienze notturne e quelle diurne, tra il pensiero spirituale subcosciente e quello razionale cosciente. La stessa concezione morale del sogno è fuori dai concetti comuni e confligge apparentemente con certe osservazioni sulle esperienze oniriche, come ad esempio i sogni di desiderio, o i sogni osceni o quelli violenti. Ma è una contraddizione solo apparente: quel che c'è di morale nel sogno è la trattazione del tema in questione, il modo in cui esso viene riproposto alla coscienza del sognatore, la sua capacità di ampliare e ristrutturare il campo cognitivo. Il contenuto riguarda la vita interiore nella sua realtà, a volte cruda. Il modo in cui esso è trattato indica la direzione dalla quale esso è guardato, e costituisce il contenuto dell'impulso che ne deriva.> . A questo puntomi permetto di interromperlo per osservare che forse il sogno è un educatore della coscienza, a patto che essa compia il primo passo in tale direzione, ossia faccia lo sforzo di volerne accogliere il messaggio e di cercare di comprenderne il linguaggio simbolico. < Beh>, riprende l’eremita,< il sogno, secondo l’interpretazione schematica di alcuni studiosi, sarebbe la rappresentazione di qualche fatto che nella vita reale non si è ancora compiuto o che non si potrà mai compiere. Se, per esempio, uno sogna di andare a New York, succede che lo sogna semplicemente perché egli a New York non c’è mai andato e quindi gli piacerebbe. Ne consegue che il sogno può essere anche la rappresentazione di un desiderio che si vorrebbe realizzare>. <Seguendo il ragionamento allora, > dico io <se viene sognata in modo ricorrente una persona significa che con essa, è rimasto ancora qualcosa in sospeso. Se il sognatore non la incontrerà oppure se deciderà di lasciarla perdere, è possibile allora, che continuerà a sognarla?>. E lui, sorridendo si scosta da me e con un cenno delle mani, mi invita a proseguire. <Dai, smettiamola di elucubrare. Camminiamo!>(fabirob)
Fatti pochi metri, lungo un pertugio scosceso e stretto quanto una gola affetta da tonsillite, una fitta al fianco mi ferma di colpo, quasi m’avessero dato di pungolo, o peggio, una baionettata. Mi giro di scatto e meccanicamente mi proteggo con la mano, poi, muovendomi a tentoni nella penombra, cerco l’oggetto contundente che mi punge. Lo spigolo d’una lama d’osso sporgeva dalla parete umida strozzando ulteriormente, quel passaggio già angusto. L’afrore del lutulento anfratto si mescola al putridume d’ organismi in decomposizione e al gas esalato dalla parte bassa. Se non fossi certo del contrario potrei dire di essere finito in un deposito abusivo di tartufi neri e pecorino di fossa. Il mio amico esperto, e sempre terroso, scoppia in una risata che il budello sotterraneo trasmette come un brontolio di pancia gonfia. <Ecco un’altra cosa nuova per te>, sbotta di lì a poco. <Come è facile immaginare, sottoterra non ci stanno solo radici, sassi e putridume. Ma anche animali delle specie più strane e sconosciute ai più. Ecco questi sono i resti di uno di questi>. Figuriamoci, con la curiosità che sempre mi muove, non resisto un solo istante prima di domandargli: <E quali, … quali?>. <Ecco, vedi>, comincia a dirmi. (fabirob)
<Uno degli animali più comuni tra gli strati del sottosuolo terrestre è un volatile senz’ ali, camminatore privo di arti, grande pensatore nonostante gli manchi la testa ed ottimo cantore attraverso il suo verso... di canzoni idilliache prive di spartito... che umorizzano l'intero pianeta dal di dentro: L'inalteraptor. In che modo riesce a volare? Normalmente non ne ha bisogno, dovremmo dire, che di ampi spazi per dispiegare planate o risalite non ne ha molti a disposizione. Succede però che ogni tanto, per disattenzione o proprio in seguito ai fatti suoi, cada in un orrido ed essendo molto pesante rischierebbe parecchio di sfracellarsi di sotto non fosse che, in quei frangenti, riesce a diventare piatto come una sogliola. Una cosa dallo spessore veramente millimetrico al caso... allargando a dismisura l'area del suo corpo e quindi ottenendo una specie di effetto foglio di carta lanciato da una finestra. E continua ad allargarsi... che a volte si ferma proprio ostruendo per intero il diametro del buco... per in questo caso riprendere le sue sembianze normali nell'incavo di una parete, oppure fin quando giudica la velocità dell'impatto ininfluente per la sua salute... indi va ad adagiarsi sul fondo tranquillamente. Ma quel che stupisce di questa prerogativa è che a differenza del foglio di carta... sbattuto suo malgrado da venti e correnti in ogni dove... lui riesce giocando con la distribuzione dell'area corporea, cioè ritraendola o dispiegandola a comando, ad andare dove vuole. E quando arriva a terra si sposta velocissimo, senza gambe dicevamo. E non ha nemmeno un sistema di anelli tipo i serpenti. No, no. Egli semplicemente ruota su se stesso, ad una velocità moderata se deve muoversi in pianura, o addirittura all'indietro, manco volesse frenare, se va in discesa ed aumentando considerevolmente i giri dovendo affrontare una salita. Naturalmente è dotato di una pelle molto spessa e resistente all'usura e al calore. Gli occhi, invece, per non venire danneggiati da urti o sfregamenti si spostano in continuazione. Loro, una frazione di secondo prima di qualsiasi impatto, quando giudicano questi pericoloso per l'integrità, migrano in un posto sicuro. Vale a dire dove il resto del corpo li proteggerà da traumi. E pure gli altri organi vitali si comportano alla stessa maniera. Tanto che, appunto, non ha bisogno di una testa per ospitare bocca, orecchie e cervello. Dentro di lui ci deve essere una specie di computer che coordina il tutto. Per questo, oltre che per molte altre prerogative , esterne ovviamente, dicevamo che è un mitico intelligentone. Considerate difatti il caos che deve districare il suo cervello per farlo funzionare in queste condizioni. Una volta le reni sono su e serve stimolarle là. Immediatamente dopo stanno in basso e gli impulsi devono dirigersi lo stesso verso di loro. Se non che queste si spostano ancora ed allora bisogna correggere al volo. Non so se afferri la difficoltà da coordinare. Noi riusciamo a malapena ad avere un equilibrio interno precario... perché tutto rimanga al suo posto. E neanche mi immagino embolie ed affini se questo non succedesse. Vabbé. Comunque volevo parlare di questo essere e non alla prima occasione divagare per il solito "lodare" dell'uomo. Sì perché mica abbiamo finito. Se questo essere si ritrova prigioniero in luogo non idoneo al suo saper deambulare ad esempio; oh! dimenticavo al vederlo fermo mentre pascola fra i sali minerali si potrebbe confondere con un salsicciotto color buco nell'acqua. È lungo fino a otto lunghezze e prende da adulto circa un metro e mezzo di diametro. Se si trova in difficoltà, imposta dalla natura o da qualcuno che di lui vuole qualcosa, dicevamo e solamente in quel caso aggiungiamo... si mette eretto poggiando su una delle rotonde estremità e comincia a ruotare, ruotare, ruotare tanto che riesce ad ottenere un effetto tornado e così si alza da terra e può perfino scalare una montagna, volando sulla cima, in tempi brevissimi, e tirarsi fuori dai guai di conseguenza. La sua duttilità infine è quella che gli dovremo invidiare. Che con i nostri corpi rigidi in confronto facciamo un minimo ridere. Da aggiungere rimane unicamente che è assolutamente pacifico, non violento e ininfluente. Cosa vuol dire ininfluente? Vuol dire che se purtroppo ti investe passando, non succede nulla, non ha antipatie naturali o rabbie verso negligenze di altri e che rispetta l'ambiente al punto tale che quando crea il tifone le arie che lo seguono, oltre a non rompere nulla, rimettono pure a posto, esattamente nel punto in cui prima stava, ogni singolo sassolino suo malgrado coinvolto e perfino la polvere che lo ricopriva. E dimmi tu se questo non è ambientalismo rigoroso ed ortodosso. E se per caso pensassi che la sua storia, considerato che non propone epiche battaglie o furbe fughe, non ha niente di mitico ed interessante degno di una odissea... poveri noi siamo alle solite. Sempre a sognare avvenimenti fantastici... quando l'unico avvenimento veramente fantastico che a noi manca è il lasciare le cose inalterate dopo che abbiamo espletato i cavoli nostri. Particolarità questa, al ragionarci, colossalmente degna di essere narrata altro che trasformare in porci. Quello lo siamo già e non ha niente di nuovo o d'inventivo>. (Sid liscius)
Il racconto dell’esperto in terrosità sotterranee e lutulente, mi ha un po’ frastornato. Non riesco ad immaginare un essere così versatile e vivente come l'inalteraptor. Lo interpreto solo nella mia fantasia, come una macchina pressoché perfetta e dominatrice. Immortale. La mia razionalità è ristretta e confinata, più del budello in cui ci siamo infilati. In quest’ambito la mia immaginazione non riesce ad andare oltre le radici dell’albero rovesciato. Già quelle radici che respirano grani di terra, così come le foglie respirano molecole d’aria. Mentre queste, però, ad ogni stagione nascono, mutano e muoiono, le radici crescono e mutano senza morire mai. S’allungano e s’infilano tra le fibre terrose, audaci, curiose, come esploratori al primo viaggio. Cercano fonti di vita e di sopravvivenza, non solo per sé, ma per tutta l’impalcatura che si portano addosso, quasi fossero una mamma che allatta i suoi figli, e tutti contemporaneamente. I peduncoli barbosi si torcono e si ritorcono, e più s’addentrano, s’attorcigliano ai sassi, rispettandone ogni forma, senza abusare degli spazi occupati da altre creature. Ma più essi sono storti, più s’avvolgono e più sostanza resta loro attaccata. Sembrano le braccia di una massaia che va al supermercato e porta con sé i sacchetti della spesa. Sono umili servitori le radici delle piante. In perenne servizio gratuito, senza riposo, con l’unico scopo di consentire ai rami di mettere le foglie e diventare a loro volta, dimora per altre creature. Gli alberi sono case, ma non sanno di esserlo. Ospitano uccelli, ragni e formiche, bruchi e cicale e qualche gatto randagio. E loro sono ospitati, ma non sanno di esserlo. Conoscono il ramo, la foglia dei loro nidi; lì, si ritrovano di notte e li difendono per nascondersi, per partire, per poi ritornare. Il mio pensiero divaga e serpeggia fra le bellette, mentre l’eremita di terra e fango, si fa strada aprendo varchi fra intrichi putridi, bui e inesplorati. Anche le persone, dico fra me, sono case, sono luoghi dove altri esseri trovano ospitalità. Siamo un nascondiglio per altri esseri viventi. Noi non siamo solo persone, ma cose prive di soggettività e di storia. Siamo teatro di gesta recitate da altri. Ma l’uomo è anche il vertice del creato, è l’unico essere in comunicazione con Dio ed è creatore egli stesso per delega. L’uomo ha la natura al suo servizio. E la natura? Non ha forse anima la natura? Noi bipedi muniti di memoria e sapienti nel pensare, perché siamo separati dalla natura? Quando è accaduto questo evento? Fu la perdita dell’innocenza e la conquista dell’io? Quando all’innocenza si sostituì la coscienza? Da quando il pensiero pensa se stesso e il se stesso costruisce l’io? Gl’innocenti sono innocenti, ma non sanno di esserlo: la pietra è innocente, il passero, il falco che ghermisce, la tigre che sbrana, il serpente, la furia del fiume che straripa uccidendo e devastando … tutti sono innocenti. Tutto ciò che esiste è innocente e puro. Solo l’Io ha perduto l’innocenza creando il senso di colpa, il desiderio di trasgredire. E’ l’Io che ha inventato il peccato. <Caspita che bella riflessione> ripetevo fra me e me , compiaciuto. (fabirob)
<Ti ricordi dei vecchi tempi andati?> Riprese l’eremita esploratore, nonché tuttologo. <Sai di quando gli uomini abitavano le caverne e le stagioni per centinaia e centinaia di anni non si alternavano? Beh, dire ti ricordi non è possibile ... comunque diciamo ne ho sentito parlare. I paleontologi hanno risalito molto i tempi che furono e benché non si possa mai essere certi delle loro scoperte, echi abbastanza attendibili delle modalità di vita di quei tempi mi sono giunti. <Perfetto, quindi saprai che gli uomini vivevano in caverne. E che durante le lunghe ere glaciali non potevano uscire più di tanto. Qualche battuta di caccia e parecchio intorno al fuoco era tutta la loro possibilità di movimento.> <Uhm mi pare plausibile ma dove vuoi arrivare?>. <Ti viene in mente niente rispetto a quello che in situazioni del genere avrebbero potuto fare?> Aspettare! <Invece no, se non potevano andare all'aperto mi sembra logico che dedicassero il tempo ad esplorare le cavità in cui abitavano. E le sorprese che questo ti potrà riservare sono infinite.> Dimmi, dimmi, sono tutto orecchie. <Oh niente per dire hanno potuto vedere l'Anellino.> E che è? <Un altro animale che abita sempre e solamente di sotto.> Ho capito non mi racconti questa storia per niente. <No di certo egli fu importantissimo infatti per l'evoluzione umana.> Urca non ti sembra di esagerare adesso. <Ascolta e dopo mi dirai: Questo essere non ha grandi potenzialità, è pure lui molto pacifico e pascola per i fatti suoi senza disturbare chicchessia.> Ecco vedi non mi pare granché interessante. <Sbagliatissimo. Egli è una specie di serpente dotato di un solo anello... diremo posto a metà del suo corpo. Che pari a quello dei serpenti è abbastanza longilineo se non sbaglio. Riesci ad immaginarlo?> Diremo che è una specie di lungo tubo sgonfio con in mezzo una protuberanza rotonda? <Si dai ci può stare. Raggio intorno al mezzo metro aggiungo. la protuberanza. E sai cosa succede quando si spaventa?> Temo di no. <La testa e la coda vengono risucchiati verso l'anello... fino a rintanarsi dentro di lui che così, l'animale intero, viene ad assumere diremo le fattezze di una moneta un tot grande... con su una faccia gli occhi e la bocca e sull'altra un normale retro treno.> Ah figo ed a questo punto? <A questo punto comincia il per noi importante che ti dicevo. L'anellino normale si ritrae quando è spaventato e come si comportano pressoché tutti quando sono spaventati?> Semplice scappano. <E in che maniera può scappare uno di tal forma?> Non saprei. <Ragionaci... se una moneta ti cade per terra e va piatta sta ferma lì... e se invece resta in piedi rotola lontano usando lo spessore per restare in equilibrio.> E l'Anellino fa altrettanto? <Ovvio e che scoperta potrebbe mai avere fatto fare lui di per cui?> Non mi fare dire la ruota perché non è possibile. <Non è possibile, non è possibile! Dimmi te allora dove sono andati con i riferimenti e le capacità che avevano i primitivi a prenderla. Dimmi te> Non so se crederti. Possono averla sognata di notte ad esempio. <E questa ti sembra una spiegazione razionale?> Facciamo che quando vedrò con i miei occhi la bestia in questione ti risponderò. < Va bene "Tommaso". Va bene.> (Sid liscius)
<E comunque se non credi alle mie "verità" puoi sempre parlarmi te di fatti "cremosi" successi di sopra. Io è da più tempo di quanto immagini che manco da lì.> Ok! pertanto devi porre attenzione perché il doppio senso ha preso molti sensi stando all'aperto e nel corso del tempo... è il mio unico consiglio per l'uso:
C'era una volta un serpente. Ma non anellino, no, no. Era un lungo pitone bianco ed oro, "collega" sì di anellino, ma solitario. Un giorno Dio lo chiamo e gli disse: Pitone, da oggi tu sarai un precettore. E di chi? Chiese lui. Di un essere tutto nuovo, che ho appena creato, scommetto che ti piacerà. In effetti dio non sbagliava, a Pitone piaceva da morire curioso com'era. Le sfide erano il suo pane, anzi preda quotidiana. Strisciando come una danza si avvicinò al nuovo essere, che forma strana aveva. Quattro appendici, ciuffi di peli sparsi e un lungo strano cappello quasi una coda, sulla sommità. Due brillanti stelle, troppo chiare sulla cosa chiamata faccia e un sorriso. Pitone non l'aveva mai visto un sorriso. Gli disse: buongiorno. L'essere era stranito, che cavolo voleva quella specie di bastone lunghissimo e dorato? Si alzò caracollando in piedi e prese a corricchiare senza davvero sapere dove andare, era appena nato, senza nozioni né parola: cosa poteva fare? Ma Pitone lo sapeva, era solo la reazione di tutti quegli esseri, la prima aveva fatto così, come lei ora, come Lilith la bella, la femmina per antonomasia di quei grossi bipedi goffi, gli uomini. E questa Eva invece, che sarebbe stata vita e madre [Evah significa vita in ebraico] così, scioccamente reagiva. Conosceva i suoi polli però, Pitone. Si acciambellò e dopo qualche tempo si risvegliò con quel corpo caldo a fissarlo, e a carezzarlo sulla testa. Ora sì, che poteva cominciare a insegnarle. ( in viola veritas )
<Direi che stai scherzando e vuoi farmi credere che la metafora si è proprio sposata con l'ermetismo per prendermi in giro allora rilancio e ti chiedo... sai dirmi cos'hanno partorito assieme?>
Eh! Non è facilmente descrivibile il golem che ne è uscito ma...
Non ti sembra di sentire confusa fra i canti degli inalteraptor un'altra volta la voce della nostra Penelope?
<Si si e sempre più chiaramente.>
Vuoi vedere che vuole rispondere lei alla tua ultima sollecitazione?
<Ssssssss.... ascoltiamo.>
.... Sedicimila anni sono passati dalla camera degli assassini, dall’attuale Eden Turco alla costruzione dei dolmen chiamati ora Stonehenge.
<Lascia la bipenne nella camera degli assassini, Manuela>, dissi sottovoce nel dormiveglia. <E’ normale che è normale che non riusciamo a rendere la giustizia una norma seguita dalla nostra comunità, ancora una volta la vuoi brandire per farti giustizia da te, piccola meteora selvaggia, non vedranno mai la luce i nostri figli, la luce del sole accecante ed abbagliante fino alla nausea, i nostri occhi oramai non sono che adatti per l’oscura notte. L’oscurità ci ambisce e ci rivela la nostra inettitudine di scavatori ormai stanchi, il tunnel è quasi completato, siamo arrivati più a nord possibile ed abbiamo evitato il peggio non uscendo alla luce il ghiacciaio ed il riverbero ci ucciderebbe all’istante o meglio nel corso di pochi giorni per i più forti di noi. Siamo al sicuro solo in questi cunicoli e pertugi che occorrono alla nostra miserevole vita. Il sole ci spazzerebbe via, siamo umani solo poveri umani che non si sanno ancora organizzare. Siamo pieni di dubbi e di preoccupazioni di non potercela fare, siamo il popolo della notte e della morbida terra, la nostra unica e sola volontà è quella di finire questo percorso per erigere al fine all’esterno un possente Eden megalitico di roccia pura, che sia da monito per tutto il tempo a venire della nostra poesia del nostro coraggio e della nostra immane sfida, siamo gli unici creatori di questa terra i soli lasciati ad annoverare il destino degli uomini, a lasciare il segno, i metà uomini della luce se ne sono già andati e ci hanno lasciato il compito di vincere la sfida per poter progredire per essere i soli della terra, i soli, le luci immani che si lasciano corrompere solo da altri soli, siamo le meteore i figli delle meteore. La tana che ci vede ora ammutoliti di fronte alla potenza delle stelle un giorno si aprirà e potremo lasciare il nostro cunicolo per alzare le braccia al cielo e dichiarare la nostra vittoria. Erigeremo un possente circolo di roccia pura la pura essenza della vita, l’indistruttibile continuità che vive oltre, che sconquassa il tempo ed i suoi rimandi, siamo gli unici i soli. Non esistono parole nuove la vita è nell’erigere un dono ai figli delle meteore non siamo che umani e possiamo superare la sfida della terra per oltrepassare il muro di solitudine e vincere sulla morte, e vivere per sempre imperituri e soli. Distruggeremo tutto ciò ci si pari innanzi per trattenerci per fermarci per sobillarci per dividerci per far crollare i nostri sforzi immani che da millenni perseguiamo, la via per la luce. Il sole diverrà il nostro servitore e apriremo le nostre vite alla coltivazione dei terreni lasciati liberi dal fragore delle fiamme che li bruciano, che li azzereranno, saremo i soli le luci di questa avventura e poi potremo chiamare a raduno il nostro popolo e vincere su tutto e tutti. Animali, piante, paludi, insetti, fiere, saranno nostri sudditi o moriranno sotto il peso della Bipenne, sotto l’accusa delle nostre sacerdotesse, noi lavoreremo per la via da ripulire come i vermi del sottosuolo ci hanno insegnato, saremo forti e vincitori, i lavacri saranno colmi del sangue di chi non avrà la paura di affrontarci, saremo mortali serpenti velenosi che si batteranno per la sola verità, per la sola certezza. I figli delle meteore ci hanno lasciato un compito da assolvere, arrivare più a nord possibile ed erigere il nostro circolo di pietra, e noi saremo là tra poche centinaia di notti, siamo alla fine del nostro cunicolo della nostra notte e potremo esultare di vittoria e sgozzare i topi ed i bambini che nasceranno per la grande festa. Grazie "Manuela" per la tua pazienza, ci siamo quasi, ci siamo quasi. ( Matris ) <Azz... anche Penelope non scherza. La sua visione globale della genesi mentale di noi umani lascia parecchio la bocca amara.> Aspetta... Allunga l'orecchio ancora... Direi che intende aggiungere qualcosa: Io baobab vantai bellezza mia di frutti e fiori ciò mi fu castigo e pena da espiare mi capovolse allora un dio troppo severo ficcò dentro la terra rendendo le mie foglie cieche ad ogni bellezza che fosse in superficie ma son le mie radici levate verso il sole dotate di magia ché solamente un saggio potrà salirvi sopra e tarne beneficio senza speranza ormai di remissione alcuna cresco in solitudine tra rocce di savana mi elevo qual ponte proteso verso cielo quello stesso cielo da cui reietto fui. ( Sara Cristofori ) E con questo l'ensamble si fa meno torbido. Se non altro abbiamo un appiglio dove non ancorare l'ulteriore nostro sviluppo cerebrale. <Hai detto non ancorare?> Certo l'averlo ancorato al non essere dio ci ha portato a reagire direi rabbiosamente e le conseguenze di ciò sono la vera bomba perfetta che piano piano cancella le esistenze. È ora di alternative mio caro, ci ha detto Penny, globali e personali. E non per fuori bensì per dentro. Per dentro. Le nostre logiche oramai sono ataviche. Vecchie inacidite. E vendicative probabilmente oltre la misura che la vita concede. In questo supportate da idee altrettanto cattive e tendenti unicamente al possesso ed al riconoscimento personale... Oltre la misura che la vita concede ripeto. < Si l'opzione mi pare credibile ed hai capito te chi dovrebbe essere "Manuela"?> Non so bene... un'idea ce l'ho comunque. <E non me la dici?> La nuova dinamica che pian piano sta avanzando. Colei che con il suo spirito ed il suo incessante spronare... con pazienza infinita sta aiutandoci ad estrarre da noi le potenzialità che, prendendo coscienza, in futuro dovranno diventare le nuove basi... Della cultura che metterà fine ad un'era pericolosissima. <Stai diventandomi stupefacente sai. E dimostri capacità di sintesi che non conoscevo nell'uomo. Ancora una novella mi fai venire voglia di esporti.> Guarda mi sdraio qui sotto questa vena d'oro purissimo ed apro i ricettori.
Il pensiero degli animali possibili da incontrare, accelera il vento della fantasia e il suo turbine si confonde con la polvere rossa del budello in cui siamo finiti. <Quasi non si respira qui dentro>, esclamo a gran voce, sperando che i vortici di gas non smorzino il mio richiamo. In quegli attimi di tensione emotiva, la paura si mescola alla velocità del sangue confondendo le idee e la soglia dell’attenzione. Passano in fretta davanti e dietro, gli anellini, il pitone che subito s’attorciglia ai rami del baobab, mimetizzandosi fra i frutti penduli. La testa comincia a girare, a girare … (fabirob)
<Eh sì! C'è pure un ciclope qua da basso. Ed enorme ovviamente. Cento metri ed oltre di altezza. Braccia lunghissime. E pari a tutti i ciclopi ha un occhio solo. Il terzo. Piazzato sul ginocchio sinistro. Che non si capisce cosa gli fa vedere d'altronde. È tutto buio. Ma potremo dire sta abbastanza normale non sapere proprio bene cavolo vede il terzo occhio. O qualcuno me lo dica per favore. Abita all'incirca cinquemila chilometri al di sotto della crosta. In una isola di detriti formata da stalattiti e stalagmiti crollate le une sulle altre... circondata da orridi profondi e non serve neanche dire inesplorati. Collegata agli strati fermi da uno strettissimo istmo... Dove passai a fatica. Ed è mio amico. In che maniera lo conobbi? Oh bhé arrivai "egli"... inseguendo una teoria affascinante balzatami nella pupilla... Che non funziona. Avevo notato, man mano affondando le viscere del nostro pianeta... che incontravo esseri sempre più giganteschi. Falene balene e vermi treni con cinquanta vagoni per intenderci. E che avvicinandomi al nucleo lievitavano ancora. Non bastasse pure io crebbi esponenziale. Che oramai stavo alto quattro metri. E tastavo essere bocconcino ambito da molte ogni volta mi grattavo le parti nobili. Comunque non divaghiamo. La teoria sortami era che il centro della terra irradia un'energia... tipo l'equivalente della luce il sole. E che questa energia, parecchio nutriente, diventi meno intensa allontanandosi da lui. Il pianeta vicino al sole è bruciato dalla luce. Quello lontano baciato appena... Insomma per fare un paragone. Tanto da arrivare sopra la crosta con la potenza appena sufficiente per farci crescere quanto siamo. E gli alberi sproporzionati rispetto a noi ne sono una buona prova... congetturavo. Affondando radici infatti vanno, forse ignari, incontro a questa forza diventando giganti... Rispetto a chi calpesta il suolo e basta. Ed è per questo, secondo me, che le creature andando giù lievitano incredibilmente. Perché mangiano energia potente. Chiaramente però il ciclope mi catturò all'istante ed in attesa di mangiarmi voleva ingrassarmi un tot... Che sono sempre stato magrolino. Al che per fortuna ho avuto un minimo di tempo allo scopo di elaborare un piano di fuga. E visto che c'ero un piano che nel contempo dimostrasse la mia teoria. Alla fine decisi che avrei dovuto piantargli nell'occhio l'equivalente per lui di una pagliuzza. Una roba piccola che manco se ne rendesse conto. Ed all'uopo attesi che dormisse, alzai un minimo la palpebra... urca che faticaccia... e ne spinsi, altra faticaccia, una piano piano nell'iride bucandolo. E poi scappai veloce verso l'alto. Manco volessi terminare la mia esplorazione. E ci riuscii anche. "Solo" che lui appena sveglio cominciò un furibondo inseguimento. Scappavo veloce approfittando del fatto che non poteva infilarsi in alcune fessure dove passavo io e doveva quindi fare lunghi giri. Risalii lesto quasi per non fargli venire sospetti. Risalii che ora ero alto tre metri. E lui sessanta e stava con l'occhio arrossato. Continuai la fuga che ero quasi tornato alla mia altezza di sempre... E lui urlava dal dolore al ginocchio. Balzai su che ero si può dire piccolo al solito... E lui ridotto ad una ventina di metri. E la pagliuzza rimpicciolendosi l'occhio, assieme al corpo, era diventata una trave enorme. Ed aveva creato un'infezione impressionante. Stavo vincendo esultai. In conclusione... al solito non ci riuscii. Lo stavo uccidendo e non faceva parte del "gioco". Senti gli urlai. Ti ascolto rispose. Stai per crepare. Lasciami perdere non hai possibilità. Vai veloce giù. Ricrescendo te la pagliuzza tornerà inoffensiva e dopo se vuoi te la tolgo io. Non mi dire che avevi previsto tutto questo mi domandò stupito. No no lo sospettavo unicamente possibile. Dai vieni allora esclamò. Persone del tuo calibro non meritano di essere mangiate. Bensì di dare da "mangiare" agli altri. E così gli saltai in groppa ed in men che non si dica fummo nuovamente lievitati. Potei estrargli la pagliuzza ed ebbi per sempre da lui lo stesso rispetto... Che il leone dedica al topo da quando la sua zampa non ha spine>. ( sid liscious ) ... Tutto torna insomma qua sotto, tutto cade nel terreno, tutto prima o poi filtra e riaffiora. Siamo noi la coscienza, che perdoniamo con il tempo, breve per l'erba secca, lungo per la plastica, il ristagno è la condanna. Ma, mi raccomando, non guardare la condanna con i tuoi occhi, non capiresti, ti risulterebbe insopportabile, questo elaborare e restituire, il dolore del padre che perde il figlio, la campagna della tua gioventù sventrata affogata di cemento “non è giusto e folle” grideresti e lacrime e dolore, sconforto. Guarda invece dalla radice del tempo, quanto ci vuole per trasformare il dolore di una madre per la morte di un figlio in fertile terreno, quante volte dovrà maledire e piangere per togliersi il veleno, quanto tempo la terra sotto i suoi piedi, dovrà accogliere il fiele, quanto per trasformarlo, confrontalo al “meglio così” detto dagli amici all'anziano figlio, quanto più semplice e naturale è l'addio. Non so perché le cose succedono, so soltanto che tutto si trasforma in frutto, che non esiste veleno tanto potente da lasciare traccia, so che qua accogliamo tutto e tutto trasformiamo. Quello che vedi e lo specchio del tempo, che sopra scorre, i sedimenti di gioia e dolore, mischiati a foglie e plastica. Dei bambini con le palette ogni tanto graffiano la nostra pelle in cerca di risposte, il loro setaccio le vaglia, ma il setaccio è largo, salva solo il già visto, nelle montagne di terra ammucchiate ci sono le risposte, che nessun certosino è in grado di vedere, non esiste ancora tanta pazienza per unire i granelli di sabbia, eppure è tutto qua niente è andato perso, la vita, la morte, le guerre, le grida e i sospiri. ( Leopold Blomm ) Anche questo viaggio, come ogni viaggio, avviene nella fantasia dei protagonisti, e, contemporaneamente, dentro tutti coloro che ne leggono le gesta. Per se stessi, per uscire dal bozzolo e diventare farfalla, spalancando, finalmente, porte nuove alla vita. Un viaggio per dare valore alle piccole cose, senza le quali le grandi non esisterebbero. Un viaggio per riscoprire tutti quei dettagli e le emozioni che distinguono il mediocre dal magnifico. Una storia di paesaggi, di figure sfuggenti. Una storia fatta di parole. Forse un racconto assurdo, misterioso, in cui ciò che si insegue, si insegue per inseguire altro, e quest'altro per inseguire qualcos’altro, senza arrivare forse al vero perché. Nella nostra epoca, dove la speranza collettiva sembra aver perso il suo fascino ammaliatore, l’uomo coltiva l’utopia come uno spazio di serenità propria, un luogo da inseguire per la soddisfazione del proprio animo. L’utopia resta così, davanti a noi, un motore delle nostre emozioni. Ma tutto ciò che l’uomo fa è attraversato da una lacerazione. Così anche l’utopia mostra due volti. Da un lato l’inseguimento dell’ideale, il ritorno del paradiso in terra, l’armonica convivenza fra le genti, la ricerca della società perfetta, perduta e da ritrovare o da costruire in un futuro ipotetico. L’utopia è simbolo della speranza, del singolo e della comunità, che le contraddizioni della realtà e le sofferenze della vita possano placarsi in un non-luogo che diventi il luogo di una diversa umanità. In una dolorosa contrapposizione, la storia mostra il volto incredibile dell’utopia, come un fuoco che alimenta il fanatismo, l’intolleranza e il totalitarismo. La pluralità della condizione umana deve essere violentemente appianata dalla forza coercitiva di un’idea che unisca, volenti o nolenti, i popoli e gli individui. L’utopia è come un lungo, infinito inseguimento. Utopia, che etimologicamente è il non luogo, uno spazio immaginario e ideale, un regno che l’uomo ha sempre coltivato dentro di sé, rincorrendolo per secoli. L'uomo senz'utopia sarebbe come un mostruoso animale fatto d'istinto e raziocino... una specie di cinghiale laureato in matematica pura, come ebbe modo di dire Fabrizio De Andrè. Ecco che allora ad ogni risveglio corrisponde la coda di un sogno non ancora terminato. S’incastra tra le radici dell’albero rovesciato di ciascuno, preso come un tronco, fra loro e la chioma. Tronco destinato a coprirsi di rughe, segno dell’eterno scambio fra il sotto e il sopra della vita. Si risveglia convinto che non meriterebbe arrovellarsi più di tanto, nel tentativo di trovare sempre delle risposte a tutto. Sarebbe, invece, più opportuno cominciare a porsi delle domande. Sarebbe più facile uscire dall'indifferenza e dall’anonimato, dalla estenuante sensazione che tutto ormai sia già noto e scontato, dalla passiva accettazione di visioni della vita indotte e imposte da altri. Si potrebbe forse trovare la capacità di chiedersi che cosa è davvero importante nella vita, provando a rispondersi in prima persona, valutando autonomamente idee e stili di vita, confrontando diverse proposte e scegliendo quello che davvero risuona dentro, con autenticità. Diventa giocoforza riaprire gli occhi sul mondo, acquistare la capacità di vedere la realtà nella sua unicità, momento per momento, e di provare stupore e meraviglia per il miracolo quotidiano dell' avere un tetto sulla testa, una tavola sempre imbandita, libertà di parola, salvaguardia dei diritti fondamentali. O anche, più semplicemente, di avere gli occhi per vedere il colore dei fiori, la pelle per sentire la carezza del vento, un linguaggio comune per condividere emozioni ed esperienze. Tutte conquiste che la vita ha fatto per noi in centinaia di migliaia di anni! Quando la visione si allarga, quando scopriamo di non essere soli, di non essere isolati dal resto dell'umanità e dal resto della creazione, avviene una riorganizzazione spontanea dei valori, si comincia a cogliere l'importanza dei piccoli gesti. Dimostrazione concreta e immediata del senso di compartecipazione, della fratellanza implicita nel fatto stesso di essere “qui e ora” in questo tempo e in questo spazio. Dovremmo chiederci quali sono i nostri valori e provare a farne una graduatoria. Imporci poi, di aggiornarne l'elenco almeno ogni sei mesi. Come farsi un check-up. Un esempio prima di altri, potrebbe essere quello di coltivare una gentilezza amorevole, un atteggiamento di premurosità, benevolenza e affetto nei confronti di sé stessi e degli altri. Andrebbe sviluppato a partire dalla memoria, ricordando le sensazioni e le emozioni di gratitudine, di gioia e di affetto provate nei momenti migliori della propria vita e vivificando ed espandendo quello stato interiore attraverso il ricordo. La vita di ognuno di noi è caratterizzata da tante priorità la cui collocazione numerica nella scala dei valori esistenziali è sancita da noi stessi, in rapporto alle esigenze del momento (sia personale, sia professionale, sia sentimentale), che attraversiamo. In virtù della logica individuale, maturata crescendo in un determinato ambiente famigliare, ricevendo un’educazione e un’istruzione specifica, frequentando e lavorando in determinati ambienti. <Siamo davvero liberi allora?>, verrebbe spontaneamente da domandarsi. <E’ la volontà ad agire, facendo una selezione, mentre naviga tra ricordi e pensieri?> Si domanda uscendo dal torpore quasi fosse un malato terminale sedato di morfina. <Che cosa portano, chiuso in sé, le parole e i versi delle poesie prima di essere scritti. Che cosa rivelano una volta che sono stati letti?> Domandarsi se ogni pensiero attraversando il cuore, riesce a trasformarsi in emozione, prima di giungere alla mano. E se essa, infine, è capace di trasmettere, fedelmente, l’autenticità della persona. In altre parole, se la volontà possa avere effetto anche sulle sue emozioni, riflettendo sulla forza della volontà e su chi è il padrone della sua, di volontà. Se lui stesso dunque, ne fosse il vero padrone e se di conseguenza, fosse anche l’unico responsabile delle sue azioni. Sulla scia di queste riflessioni, prende ad osservare, con più attenzione, la sua vita quotidiana rendendosi subito conto che essa offre innumerevoli occasioni per agire in modo attento e responsabile, con la consapevolezza che le sue scelte, potrebbero condizionare anche quelle degli altri. Lui ora sostiene, ad esempio, che ai valori in cui normalmente crediamo, dovremmo dare sempre corpo mettendoli costantemente alla prova, trasformandoli in impegno, in azioni concrete e in gesti reali. L'idea più bella, il valore più alto, il proposito più nobile, talvolta hanno meno peso di una palla di neve al sole se non li sappiamo esprimere nella vita quotidiana con dei gesti visibili. Secondo lui, vale più una mano che tiene aperta la porta a uno sconosciuto che sta passando, che mille parole roboanti sull'amore per il prossimo a cui fa seguito poi, un completo disinteresse per le persone più vicine. Se diciamo di amare l'umanità ma poi trattiamo male le persone di famiglia, allora forse c'è qualche cosa che non va nella nostra scala di valori. È vero, “tra dire e il fare c'è di mezzo il mare”, ma i mari oggi si solcano, con barche, piroscafi, transatlantici e anche con la nave della fantasia. Non ci sono scuse, se non la pigrizia o l'indifferenza, nel non impegnarsi in prima persona, nel non tradurre in azioni e comportamenti reali, gli ideali che animano i nostri pensieri. Forse, anche i nostri discorsi. Questa è l'epoca delle piccole cose. Proprio perché tutto sembra convincerci che occorre farne solo di grandi e che è difficile, anzi impossibile, per ogni piccolo individuo cambiare davvero il mondo. Anche una semplice pietra, però, come le tante che abbiamo scansato e gettato da un lato, durante il viaggio, a pensarci bene, ha una vita e una sua storia da raccontare. Probabilmente, in pochi ci avranno pensato, ma anche una pietra ha una sua storia, con la sua verità, che se raccontata renderebbe forse diversa anche la storia che abbiamo sempre creduto di conoscere. Una pietra, pur restando immobile ha visto persone e cose transitare davanti a sé, avvenimenti, fatti, che col passare dei secoli si sono accumulati nella sua materia … forse anche modificandola. Chissà! Una semplice, insignificante pietra è come un registratore statico di tutte le immagini e i chiaroscuri, i cui fotoni sono rimasti intrappolati nei reticoli delle sue molecole, trasformandole in materia viva perché trasformata dai giorni e dalle notti, dal sole e dalla pioggia, dal caldo e dal freddo, e che tiene chiusi in sé, i segreti nascosti dal tempo. Pensiamo a un sasso lungo la strada, ad un cubo di marmo sistemato alla base del Colosseo, o un mattone che incrocia le pareti di una piramide o ad una pietra del Tempio di Teotihuacan. Se solo venisse ricordato che anche le Sacre Scritture riferiscono l’importanza che può avere una pietra paragonando addirittura Gesù alla “Pietra Angolare” del tempio di Dio, forse ci sarebbe meno superficialità anche durante le visite ai musei e le celebrazioni nelle Chiese. Le rovine poi, rappresentano l'opera del tempo e la memoria degli uomini. Le pietre ci invitano a compiere un viaggio tra le vestigia di tutto un mondo, molto lontano, ma sempre presente. Un mondo silenzioso e nascosto, a volte misterioso, per rivelarne insieme oltre alla storia, alla poesia e alla bellezza, anche il suo significato. Esse liberano il loro spirito, nel silenzio e nella luce. È bello sentire l’ebbrezza del vissuto dove le emozioni sono condivisibili, e i sogni diventano “tangibili”. Dove sembra che il tempo non sia mai passato mentre viene compiuto un vero e proprio viaggio dentro il suo continuo pulsare. Ogni edificio potrebbe raccontare la sua storia, ma gli uomini non lo ascoltano, si limitano ad abitarlo. Quando però il suo spirito emerge, allora l’uomo riesce a sentire. Si può pensare allora, che esista qualcosa che vada aldilà di tutte le realtà materiali e temporali, che collega, col filo dell’infinito, un passato che continua nel presente e nel futuro, in modo visibile. Se si chiudessero gli occhi, si sentirebbero le pietre parlare. Esse raccontano cose, ci trasportano come una macchina del tempo. Basta saperle ascoltare. Parlano tutte. Raccontano di fatiche eroiche di intere generazioni impegnate a spietrare i suoli alluvionali per ricavarne coltivi, costruire muri, case, strade, chiese e conventi. Parlano per ricordare l'antica saggezza di un popolo operoso e geniale capace di plasmare con amore e perizia quest'umile materia, dandole vitalità e risalto per riaverne beneficio materiale e godimento spirituale. Sì, anche una semplice pietra ha una vita e una storia da raccontare! Le pietre in ogni luogo, sembrano mute, e invece parlano. Se non riusciamo a sentirle, la colpa non è loro, ma certamente di chi non ne ha ancora compreso il linguaggio. Sassi! Pietre! Piccole cose che in qualsiasi ambito vengano ospitate, acquisiscono valore se non vengono considerate soltanto delle cose inerti, senza importanza e sulle quali si può solo inciampare. Dando valore anche alla loro staticità invece, pensando che il trascorrere del tempo ha mutato le loro condizioni, diamo loro importanza perché hanno trasmesso il senso della loro esistenza. Ogni cosa perciò, quantunque piccola, detiene in sé stessa la sua specifica importanza proprio per il fatto di esistere. Come se anche ognuna di esse, avesse “un’anima propria”. Speciale, nel momento in cui trasmette la sua collocazione, la sua forma, il suo colore e il suo odore, che destano l’immaginazione e il sentimento in chi le osserva e in chi le tocca. Ciò trasforma la loro esistenza, ritenuta insignificante, in un valore oggettivo che dà corpo e “anima” alla cosa più grande che le contiene, sia essa una strada, una casa, un castello o una cattedrale. In sostanza, occorre sottolineare e affermare il potere dimostrativo della riflessione che riveste qualsiasi banalità come fosse la polpa che trasforma un osso in qualcosa di più appetibile e gradevole. Sarebbe bello convincersi di quanto concretamente può essere fatto nel quotidiano, attraverso un sorriso, un gesto, una telefonata, una scelta, una firma. La realtà quotidiana va intrisa di valori, va intessuta di piccole azioni che testimoniano l'orientamento di un pensiero, di un anelito, che danno ancora più potere a un’alta visione della vita, perché questa si aggancia concretamente alla realtà. Alla fine di queste riflessioni, mi esce l’affermazione, che sono più le idee a cambiare il mondo, che non le guerre, o le prevaricazioni, ma solo quelle idee che col mondo sanno trovare un collegamento concreto e costruttivo. Solo quelle che sanno incidere sulla realtà. E' nel tradurre un ideale in azione che possiamo dare potere alla forza dell'idea che ci anima, onorando la nostra vera natura di liberi pensatori e, spesso, inconsapevoli collaboratori di Dio nella continua creazione del mondo. Così come ogni artista, nella realizzazione delle sue opere, usa tre elementi: la tecnica, l'ispirazione e il materiale, così la nostra materia prima è rappresentata dalle situazioni reali che la vita propone. Un amico in difficoltà, un impegno preso per tutelare l’ambiente in cui viviamo, un gesto di attenzione verso una persona svantaggiata, una scelta etica sul proprio posto di lavoro ..o un segno di croce prima del pranzo. L'ispirazione invece, è il valore che vogliamo esprimere, mentre la tecnica diventa il modo concreto con cui possiamo realizzare le intenzioni. Non c'è soddisfazione più grande dello scoprire che, grazie a quello che abbiamo fatto, qualcuno ha sorriso, qualcuno ha mangiato, qualcuno si è salvato. L'idea diventa così più forte, più luminosa, più potente. Il gesto compiuto, pur senza averlo voluto, fa da cassa di risonanza e, grazie al riscontro visibile, allarga il suo campo d'azione, contagiando anche gli altri e diffondendo un effetto che trasforma. Possiamo davvero incidere sulla realtà, e per nessuna ragione dobbiamo rinunciare a questo potere! Tra il dire e il fare, sì, concludo fra me e me, non c’è di mezzo il mare, ma noi stessi, con l'esserci davvero, e il rimboccarsi le maniche, significa, esserci e agire! La volontà però, non si studia, si sperimenta, si allena, si rafforza. Noi tutti abbiamo una volontà, ma spesso fa comodo dimenticarcene e la utilizziamo solo in poche circostanze. Siamo capaci di scendere nelle profondità dell'oceano e di lanciarci nello spazio, ma siamo ignoranti di quanto avviene in noi stessi. Controlliamo grandi masse di energia elettrica con il movimento di un solo dito, ma spesso siamo incapaci di gestire le nostre emozioni, gli impulsi e i desideri. Per non diventare schiavi, ma padroni di quanto abbiamo conquistato sinora dal punto di vista scientifico e tecnologico, dovremmo sviluppare di più le nostre facoltà interiori, controllando meglio gli impulsi, le sensazioni, le emozioni, il pensiero, l’immaginazione, l’intuizione e la volontà, con la stessa dimestichezza e capacità di gestione che abbiamo raggiunto nei confronti di ciò che vive al di fuori di noi. La volontà umana ha un potere enorme e fondamentale. La volontà permette di decidere che cosa può essere fatto e poi di usare tutti i mezzi necessari per realizzare ciò che essa ha già deliberato, perseverando, nonostante tutti gli ostacoli e le difficoltà. Essa occupa un posto centrale nella personalità dell'uomo, è in intima relazione con il centro del suo essere, del suo vero io. È fondamentale rendersi conto allora, che “la volontà esiste”, e che esiste la libertà di agire, senza doversi limitare a reagire a degli stimoli o a dei condizionamenti ambientali. Altrettanto importante è l'esperienza di “avere una volontà”, di fare uso cioè, in prima persona, di questo margine di libertà, che è proprio della natura umana. Per nostra natura siamo dotati della libertà di contribuire alla creazione della realtà di ciascuno, e del mondo in cui viviamo. Dovremmo essere più consapevoli di questo immenso potere di cui siamo tutti dotati perché esso è l'antidoto più sicuro contro il rischio di diventare insignificanti pedine di un gioco condotto da altri. Forse da quelle stesse forze esterne che abbiamo l'illusione di dirigere. ( fabirob )
<Ergo tu ora vuoi insinuarmi che ci sono ancora dei pertugi? Che là fuori, la possibilità di cambiare i percorsi attivi, esiste intatta?
Mi dispiace, ora sono io lo scettico. Tu non ti rendi ancora conto che i giochi sono stati fatti al principio dei tempi ed hai ancora il barlume che le cose possono sempre cambiate. Ma non vedi come siete ridotti? I parametri di potere e di controllo oramai non dipendono dal singolo bensì da strutture pianificate per mantenere e continuamente rilanciare lo stato di fatti presente. Che permarrà fino alla vostra fine da dinosauri. Fammi degli esempi almeno della vostra capacità odierna di collaborare con la vita e non di imporsi su di essa.>
Degli esempi vuoi ebbene esempi avrai. E te li farò avere attraverso gli scrittori visto che appartieni o appartenevi...
<Ben detto appartenevo….> Pure tu alla casta. Due racconti dunque. Il primo:
“Restammo a guardare imbambolati il meraviglioso cadere della neve in quel prato, sicuri di non aver mai visto un’immagine così naturale riflettersi ai nostri occhi.
Giovanni tremava dal freddo, ma forse l’emozione alimentava quella frenetica vibrazione come per ingannare il gelo che gli pungeva sul naso come avrebbe fatto in estate una zanzara tigre.
<Papà, a che ora torniamo alla locanda, comincio a congelarmi, non voglio diventare un ghiacciolo al limone, dai torniamo!>.
<Va bene Giovanni, ma ora che ci penso, ti devo raccontare una storia che devi assolutamente sentire>.
<Ok, ma incamminiamoci, muoviti!>.
Devi sapere che quel grande albero che abbiamo osservato al centro di quel campo innevato, ha visto chissà quante storie avverarsi sotto i suoi possenti rami, è un Platano centenario, si calcola abbia più di seicento anni e nel secolo scorso durante la guerra di indipendenza fu suo malgrado protagonista di una scena di guerra.
Lo hanno soprannominato l’albero dei cento fanti.
<E per quale motivo papà>?.
Semplice, ora te lo racconto, intanto allunghiamo il passo per rientrare per la cena.
Era un conflitto che pareva non dovesse finire mai, gli Austriaci si battevano come leoni erano meglio armati e professionisti della guerra, organizzati e forti, dove arrivavano gettavano scompiglio tra le truppe avversarie e in genere lasciavano centinaia di morti sui campi di battaglia subendo spesso solo lievi perdite.
Pensa che la loro maestria nell’arte della guerra, li aveva fatti divenire dei veri spauracchi per qualsiasi truppa si confrontasse contro di loro. Anche nelle scaramucce si distinguevano per la loro precisione e determinata strategia.
Un giorno passò da questo campo il fior fiore di un plotone di fanti, e pareva che non ci fossero truppe avversarie vicino a loro, era estate, il caldo si faceva sentire forte e la truppa era svogliatamente stanca e restia a dover camminare, inoltre erano affamati e assetati visto che già da molte ore marciavano in cerca di pattuglie nemiche da attirare nelle loro reti di sorveglianza.
Il Tenente che comandava il plotone era un giovane di buona famiglia, mai avrebbe pensato di fare carriera militare, ma con la scusa che la sua dinastia era di nobile lignaggio, dovette assecondare le propensioni militaresche che già avevano visto la metà dei suoi parenti costruirsi un futuro per mezzo della carriera militare.
Lui primeggiava invece nello studio e soprattutto nella poesia, un interesse che gli era valsa la nomea di Vate, aveva 24 anni ed era molto intelligente. Non mise molto prima di farsi un nome anche per le sue attitudini strategiche, visto che portava a casa, o meglio in caserma quasi sempre tutta la truppa che comandava. I fanti gli riconoscevano l’autorità di cui era investito, ed avevano imparato a fidarsi ciecamente delle sue direttive, visto i risultati ottimali che lo vedevano spesso protagonista vincente negli scontri armati con il nemico.
Il caldo si faceva forte e il sole era ormai oltre lo zenit, la truppa mormorava.
Il tenente così prese la decisione di mandare in staffetta una decina di fanti verso una casa di campagna poco lontana da lì, per approvvigionarsi di pane e salame di vino e d’acqua da bere per le genti ormai stremate dalla marcia sotto il sole e per questo permise di accamparsi in attesa e riposo sotto quel platano che ti dicevo prima le restanti truppe.
Dopo una mezz’ora la quasi totalità degli uomini era assopita in un riposo ristoratore ed in attesa che tornassero gli uomini di staffetta con le vettovaglie per lo spuntino, rimasero di guardia solo tre fanti. Anche il Tenente era assopito, e nel mentre che il sonno ristoratore lo stava prendendo, guardava i rami del grande platano e sognava una vita libera e fortunata, senza sveglie mattutine e adunate, senza ordini da dare a nessuno e fucilate da sparare contro persone che nemmeno conosceva e che per lui potevano essere benissimo suoi amici. La guerra, cosa ci porta a fare, come ci cambia in poco tempo, e come incrudisce gli animi, anche i più nobili e buoni. Si rendeva conto di tutto ciò, ma non aveva la forza di poterlo evitare, per il suo alto senso dell’onore e del rispetto per i suoi famigliari, suo malgrado obbediva al suo ingrato destino.
Se avesse potuto sentire i pensieri dei suoi sottoposti avrebbe ugualmente recepito le medesime istanze, a nessuno piaceva ciò che dovevano fare, e il broncio e la nostalgia di casa erano evidenti segnali sui loro volti stanchi,
Così facendo si assopì appoggiato al grande tronco di quell’albero maestoso. In sogno sentì una voce che lo apostrofava così:
<avvicinati, avvicinati senza paura non usare la forza usa l’astuzia, avvicinati sali i miei rami e resta fermo tra le mie fronde, gioca con le mie foglie e muovile piano non usare le armi lasciale a terra, usa l’astuzia, avvicinati credi nella mia forza, io ti difenderò io avrò cura di te, non aver paura lasciati abbracciare dai miei rami, avvicinati, sali …>.
Poteva essere un tempo illimitato quello che percepiva il tenente in sogno, ma non erano passati più di 20 minuti da che prese sonno. (matris)
“Immagino una musica
come di zefiro che azzurra
un tintinnio di campanelli
un paese e delle case …” (Manuela Verbasi)
Un grido lo risvegliò di soprassalto dal suo dormire disturbato, aprì gli occhi e vide le sfumate figure della staffetta che correvano a perdifiato giù per la china verso la loro postazione.
Ci mise poco a capire che qualcosa non andava nella loro corsa stremante. Le guardie erano già allertate e la truppa lentamente volgeva al risveglio. Nessuno parlava solo osservavano la corsa dei loro commilitoni che oramai aveva accorciato la distanza che li separava dall’ombra dei grandi rami del platano. Trafelati, si misero subito carponi davanti al tenente, che li interrogò circa la loro folle corsa.
<Signor tenente, abbiamo il nemico a un chilometro da qui; sono alla fattoria da dove siamo giunti correndo>, <quanti sono?>, domandò il tenente preoccupato e ancora balbettante per il repentino risveglio, <sicuramente un migliaio a 2 km di distanza, ma hanno un plotone a cavallo in avanscoperta a un km da qui e ci sono praticamente addosso>.
<Vi hanno visti>? Ribadì concitato il tenente, <no siamo corsi via strisciando per un pò poi oltre la china della collinetta ci siamo messi a correre a perdifiato>.
Il tenente restò per un attimo a pensare al da farsi, non poteva permettersi di andarsene da quel posto senza dover essere avvistato dalle vedette Austriache, era troppa la strada allo scoperto che dovevano percorrere, e le forze erano troppo impari per poter sostenere una difesa armata con la prospettiva di tener duro o vincere.
La sua reazione non poteva essere vincente, ci voleva altro.
D’un tratto chiamò i suoi uomini ad ascoltarlo ed impartì questi ordini;<Dovete lasciare i fucili a terra tra l’erba alta ed arrampicarvi tutti sull’albero, nascondendovi con cura tra i rami, non tenete oggetti che luccichino al sole per non lanciare messaggi visivi, fatelo subito e di corsa>.
D’un sol slancio i soldati lasciarono tra l’erba alta spade borracce e fucili e si arrampicarono tutti sull’albero.
Tra i grandi rami espansi all’aria calda di quella torrida estate, trovarono così posto tutti i cento fanti ed il tenente, nel più assoluto silenzio. Il tenente diede l’ordine di far muovere le foglie lentamente, come se fosse la brezza a farlo.
Dopo dieci minuti il plotone di cavalleggeri si avvicinò all’albero ma non così tanto da essergli addosso, nessuno dei cavalleggeri vide i fanti abbracciati ai possenti rami, e girarono verso est, lontano da loro.
A quel punto, i soldati scoppiarono tutti a ridere per lo scampato pericolo e ancora una volta lodarono il loro tenente per la saggia decisione di non aver favorito lo scontro letale.
Così fu.
<Papà è una storia meravigliosamente finita bene, sono contento che sia andata così>. Queste furono le ultime parole di Giovanni prima di arrivare alla locanda e chiedere subito un bel panino con il salame.
(matris)
<Hai voluto dirmi che c'è tuttora chi si fida della natura e sa ascoltarla nonostante si ritenga intelligente e quindi superiore?>
Sì... se vuoi diciamo pure così. Il secondo l'ho scritto io e titola: “Siamo proprio poverelli”.
E sì che ne abbiamo pure le prove lì stampate in giro per il mondo. Se non che in verità noi abitanti della migliore era, come vogliamo definirla, teniamo molto gli occhi chiusi e siamo un tot "pienotti" di noi stessi. Credo servirebbe un ridimensionamento.
Stonehenge?
Come hanno fatto ad erigere questo sito? E a trasportare grandissimi massi dalle cave più vicine? Cioè percorrendo almeno quaranta chilometri? Io direi semplicissimo ed anche dimostrando fine intelligenza ed una buona dose di sarcasmo. Avevano inventato la gru infatti, l'hanno usata e poi distrutta e fatto finta di non conoscerla in seguito. E dopo ci hanno riso sopra a crepapelle, immaginando e vedendo i poveri cretini che hanno o avrebbero pensato a chissà quali magie e fatiche assurde furono necessarie. Nemmeno abbiamo la portata di quanto hanno goduto della loro sagacia. Ed ancora oggi credo si stanno rivoltando nella tomba dalle risate... ogni qualvolta un eminente tonto di scienza... di nuovo si intestardisce a lanciare ipotesi certamente demenziali e comiche. Uno sballo. L'Everest?
Esistono uomini dei nostri tempi che affermano sicuri di averlo scalato per primi.
Ammettendo senza remore che privi degli sherpa non ci sarebbero riusciti.
E mai che venga in mente a questi sommi che ci sarà un motivo per cui questi "portatori"... non hanno problemi a quelle altitudini. Che sarebbe lampante... perché ci erano già andati attraverso le generazioni ed avevano quindi maturato adattamento genetico. Ovvio, ovvio. Quando siamo arrivati lassù non c'era nessuna bandiera piantata ribatteranno i sommi. Dimostrando con ciò che mai si sarebbero avventurati fin là... se prima non fossero state inventate le bandiere. Il che è tutto dire sullo spirito di certe persone. Che pena... sono talmente colmi di sé che non si rendono conto dell'immensità di iniziative e sfide personali che popolano il pianeta fin dai tempi dei tempi. Io non capisco l'arroganza del pensarla così. Uno parte da qua in aereo e vede il salto Angel nella foresta. Torna indietro con due foto e dice questo posto l'ho scoperto io. E pazienza se sopra e sotto ci sono migliaia di indigeni che fanno il bagno. Credo secondo lui il popolo intero non dovesse sapere del posto... Ma del genio che l'ha svelato. Veramente poverello direi. Io...
Io credo insomma che non sempre la popolazione intera della terra abbia agito per tornaconto personale. Anzi che parecchie volte degli individui non avessero nessun interesse a svelare quello di cui erano capaci. Ai nostri giorni, praticamente in ogni momento, invece, ognuno scopre, unico nell'universo, l'acqua calda di altri e tutti i suoi similari a dargli credito.
<Dài, dài, mostrami il film.
Racconta, racconta. Forse un giorno tutto questo finirà comunque. Basta solamente che il tipo di turno stavolta scopra l'acqua bollente... E che ci laviamo insieme a lui e con lei la testa per dentro>. La testa per dentro. ( sid liscious )
<Eh però, da te me l'aspettavo, non per niente è toccato giusto a te fare questa esperienza di viaggio. Credo ti sia stata affidata in quanto praticamente tutti gli altri l'avrebbero rifiutata.>
Ora...
Ora pertanto tocca ancora a me!
E che è?
Madonna che spavento!
<Stai calmo si è solamente avvicinata la voce della nostra Penelope, e così facendo credo ci voglia pure svelare il suo mistero.>
<Tu oramai sei "disintossicato" e per cui capisci al volo, mio scrittore che ami “scavare il fondo delle cose”. Sì, ecco … Io sono la voce della Terra. E non è la prima volta che tento di farmi sentire da voi umani. In verità sapevo sempre a priori che i miei interventi sarebbero stati inutili. Basta seguire le vostre evoluzioni; non ascoltate nemmeno la coscienza, per capire!
Se non che stavolta le condizioni mi sembrano cambiate. Allora ho deciso di riprovarci e di conseguenza vi affido un messaggio, attraverso un balzo nel futuro. Un messaggio che ben ascoltato vi condurrà a vedere dove e come vi state imbottigliando. Vi darò la possibilità di affrancarvi da quel destino, che, senza una correzione decisa, state rischiando di non edificare più per lo sviluppo della vostra razza. Ricordate, io sono previdente ma pure preveggente ed il monito in questione, pur narrato in forma fantasmagorica, quando la vostra tecnologia arriverà a sostituirvi, (perché voi siete soggetti ad ammalarvi e morire, mentre lei no), non vi sarà più utile. Ripeto: il mio monito, ad un certo punto, non vi sarà più utile, pertanto, se fossi in voi, cercherei di farne tesoro. Non continuerei a fregarmene come state facendo ora!
Dài saggiamo la forza delle nostre azioni, l’intelletto non ci abbisogna sobri del nostro narcisismo dilagato nel crederci i migliori praticanti quotidiani di un lavoro sempre uguale. Non possiamo muoverci dal nostro posto di lavoro, non possiamo uscire a vedere né il giorno, la notte, le stelle, viviamo sempre reclusi in questi asettici sotterranei metallici, ogni via d’uscita c’è preclusa. Il mondo lo possiamo vedere solo guardando per dodici ore al giorno dentro la scatola magica od il generatore di colori, ma non sappiamo a cosa servano. La sola costante immagine che ci è proposta in ogni cambiamento di turno è un albero con le radici rivolte in alto ed i rami conficcati in un substrato di terra e dei tubi zigrinati che arrivano ad una consolle metallica piena di luci e pulsanti. La sola sigla che c’è data di riconoscere è riferita ad un acronimo C.U.11., ma non abbiamo idea a cosa si possa riferire. Non possiamo avere relazioni con le donne se non per procreare, ed attraverso l’uso continuo delle scatole magiche siamo costretti a turno a vivere forti emozioni veicolate da immagini velocissime e continue che ci passano davanti agli occhi. Noi siamo costretti a lavorare recandoci dalla camera da letto alla nostra postazione, ma quello che contraddistingue la nostra deficienza è la impossibilità di sapere cosa stiamo facendo, a cosa ancora stiamo lavorando e perché non possiamo mai vedere la luce del sole, questo non lo riusciamo a capire. Poi siamo relativamente in pochi su questa pedana mobile che ci costringe a guardare fissi dentro una scatola magica, non sappiamo il perché, ma sappiamo che la nostra esistenza è possibile solo per questo motivo, altrimenti saremmo annientati dalle macchine di guardia. < E’ tutto così meraviglioso Cyborg 2, tutto è così bello, non credi?> <Si, si, ne sono convinto anch’io Cyborg1, non avrei mai pensato che la metamorfo-technologia portasse a dei vantaggi così stratosferici, e pensare che fino a qualche anno fa avremmo liquidato anche l’ultima colonia di uomini che pensavamo così inutili e obsoleti>. < Sarebbe stato il nostro primo errore di valutazione dello sfruttamento delle risorse delle ultime colonie umane, ed è impensabile per noi Cyborg errare nelle valutazioni, siamo macchine perfette, non abbisogniamo di nulla, siamo autonomi autosufficienti dall’energia illimitata e durevole nei millenni, ma ciò che ci manca è la fantasia, la capacità di pensare sbagliato e le imperfezioni olfattive, gustative e tattili>. <Ci mancavano Cyborg1, ora non più.> <Grazie all’introduzione della tecnologia U11 ora possiamo anche sbagliare Cyborg 2, ed è uno spasso indicibile, possiamo perfino puzzare e riconoscere gli odori pestilenziali, toccare e sentire il caldo ed il freddo la scossa! E quant’altro l’uomo imperfetto riesce a sentire. E’ una grande conquista per la nostra gioia e per la nostra avanzatissima tecnologia>.
<Quest’oggi mi sono alzato di malumore, forse sono quegli impiastri energetici che ci propinano per il nostro potenziamento-sostentamento, Golan, che ne dici vuoi una pedata negli stinchi, mi farebbe star meglio>. <Taci Silvius, idiota, lo sai che oggi è il tuo turno per essere di cattivo umore, l’altra settimana lo dovevo fare io, e mangiare quella sbobba miserevole non mi allettava per niente, comunque stronzo lo eri anche prima di entrare a far parte del programma incazzati neri>. <Golan, amico caro, avrei una voglia di fracassarti la testa a calci, maledetta questa sedia che mi tiene incatenato>. < Vedi Silvius, è il mio turno di provare emozioni e pulsioni sessuali veritiere e non sai come me la sto godendo questa mia settimana. Ahahah, ora io faccio Rocco e tu fai Brocco ahahah>. <Maledetto Golan, verrà il giorno che mi libereranno da questa posizione che mi fa impazzire e quel giorno sarà la tua fine>. <Oh.. come godo nel vederti soffrire Silvius, Ahahah>. <Gli umani sono al loro posto Cyborg1, possiamo accendere il programma U11 tra 20 secondi, collegati alla consolle, per te comincia la fase godimento asessuato>. <Sono pronto Cyborg2, finalmente è il mio turno, non vedo l’ora di riempirmi i file di emozioni nuove, sembra che questo prototipo Golan sia magnifico nella trasmissione di pensiero, speriamo abbia dormito bene>. <Ecco ci siamo Cyborg1, per me invece una scarica di adrenalina pura è quello che ci vuole per cambiare. Silvius è il migliore della colonia degli umani. Ci ricolleghiamo tra dodici ore esatte, buon viaggio Cyborg1>. <Buon viaggio a te Cyborg2>. Zot. (matris)
Caspita il nostro ruolo sarà di fare i donatori di attività umanoidi per robot intendi dire? La risposta terrosa a questa domanda non si fa attendere: <Si. Dopo avervi assoggettati causa la vostra incipiente debolezza strutturale, che la struttura oramai stava compromessa grazie alle conseguenze sul fisico della vostra inventiva di... lasciamo perdere. Dopo di questo verranno a vedervi vivere dentro le gabbie in cui sarete conservati e piano piano carpiranno e realizzeranno in laboratorio tutte le prerogative di cui siete dotati.>
Ed una volta che avranno finito cosa se ne faranno di noi?
<Non ci arrivi da solo?>
Ah! Logico... zot!
Ed un consiglio ce l'hai un consiglio per questo ectoplasma d'uomo che vaga nel non senso del suo senso e non riesce a trovare un rimedio?
<Si, sicuro deve fare attenzione a se stesso. Fidandosi di lui. Dell'intelligenza e delle sue progressioni di logica... hai visto non ottiene risultato alcuno. Semmai peggiora la sua condizione. Deve cominciare a dubitare seriamente del fatto che l'evoluzione è stata completamente sbagliata per dire. Ammettere che il target era completamente errato. Che crescere di importanza autoctona non basta per superare la naturalezza della natura. Che vivere per cercare sempre comodità e vizi migliori non ha senso. Dato che lascia scoperto l'intimo e crea vuoti incolmabili moralmente. Che...
Le idee... si saziano del nostro pensiero e poi si addormentano sulle panchine della strada. Quanti dormitori! Diventiamo" letto" per non reggerci in piedi. Idee galeotte anche assassine, incertezze sul libero pensiero e si ruba il pensiero dell'altro. Forse è migliore? Non credo! E solo di un altro è non costa fatica. La fatica è una fine, meglio aspettare e vivere il riposo di ogni giorno. Quanti dubbi, anche i dubbi degli altri stancano ma non sappiamo farne a meno. La nostra ricerca mette in palio grossi rischi e la nostra condanna è una rotazione senza fine. Pensiamo a una luce, una stella, un uomo grande con una forte voce. Inchinarci al cielo è consolazione, rubare i colori della terra per dipingerci è volere nascondere quel che non vediamo. Forse un bimbo può fermare il dubbio e senza darsi risposte accoglierne il sorriso? Ogni mistero resta tale e strappargli le vesti e soltanto l'inganno di vedere. Meglio aspettare! forse il passaggio all'altra isola è un complotto, un giro di boa, un voler bere prima della sete? Direi di aprire le braccia e legarsi il cuore, tenerlo stretto dove non può scappare, aggiungere altri dubbi prima di tirarlo a sorte e stare attenti ai dadi che non abbiano lo stesso colore. ( raggiodiluna )
... Dovrebbe essere il suo credere base d'ora innanzi. Io ho provato a sollecitarvi continua la “voce terrosa”. Vi ho fatto vedere quanto posso essere dura o morbida. Spaventati e coccolati. Uccisi e fatti rinascere... e non è servito a niente. Addirittura gli unici timori che ho instillato in voi, li avete rivolti verso un altro: Dio. Che lui non c'entra niente e vi ha fatti e poi passati da gestire a me... senza nemmeno chiedere il permesso. Ho lottato contro questa situazione e sono salita varie volte sul suo cielo per protestare... senonché, non ho ottenuto risultato alcuno. E nemmeno mi ha voluto dire per quale motivo si ostina a tenervi. Così...
Smarrita, completamente sola , mi trovo in un labirinto e non riesco a trovare la via d'uscita. Mi giro e da ogni parte c’è una siepe, mi ostacola e non posso andare avanti. Torno indietro ed ecco ancora un’altra siepe. Eppure il percorso è uguale, mi sembra la stessa strada che ho fatto a ritroso. Una farfalla mi sfiora il viso, tento di afferrarla ma si allontana, la inseguo.
Eccomi ancora davanti a una nuova siepe, mi fermo... e la farfalla è sparita. Perché non riesco più ad uscire da questo inghippo, tutto è fermo e tutto ciò che è fermo vuole fermare me. Comincio a correre, avanti, torno ancora indietro, adesso ho proprio voglia di gridare. Avrò paura? Non voglio aver paura! Troverò la strada in questo labirinto! Ecco nuovamente la farfalla, adesso sono io a sfiorarla, mi ritrovo tra le dita la polvere che ricopre le sue ali e la farfalla volteggiando cade giù. Adesso morirà? Le ho tolto qualcosa di prezioso, il suo orientamento forse. La vedo barcollare vicino ai miei piedi, cerca di sollevarsi ma la sua ala ferita si piega sull’altra , con qualche sforzo, quasi un saltello, si rintana tra le foglie della siepe.
Non vedo più la farfalla ma avverto il suo dolore. Cosa faccio? La farfalla ferita è un problema ma anche il mio labirinto mi buca la testa, mi sento in un vortice e non riesco a trovare un’uscita. Se potessi volare! Planerei oltre la siepe superando gli ostacoli. E se oltre la siepe trovassi ancora ostacoli? Mio Dio! Torno dove ho lasciato la farfalla, la cerco, la prendo sul palmo della mia mano. Povera creatura, sta lottando con la sua ala ferita, cerca di scuotere l’altra, forse ce la fa, le dò una spinta, leggera, ecco muove anche l’altra, mi sfiora le dita ma non lascia la mia mano, ha paura anche lei. Che situazione parallela, trovare la strada per andare e il coraggio per volare. Perché mi sono fermata? Perché mi sono persa? Forse la siepe è il mio errore! Torno al centro del labirinto. Ecco adesso sento meglio il mio cuore, la farfalla mi solletica la mano, la lascio cadere! Riesce a non precipitare, riprende il volo, a quota più bassa e si allontana. Non sparisce, mi volteggia attorno, si dirige verso una nuova strada, parallela alla prima, che non avevo visto. Questa strada è diversa, non c’è siepe a sbarrarmi il cammino, sento un profumo , dei fiori, quanti fiori! Margherite, ciclamini, viole e tanto glicine sui vecchi muri. Corro, voglio arrivare subito,adesso ho fretta ! Il tempo nel mio labirinto aveva perso il tempo, non so neanche se ci sono stata veramente. La farfalla è l’unica cosa che vedo, mi ha guidato fuori e sono ‘’fuori’’. Vedo qualcuno che mi sta aspettando, sta in piedi con le braccia aperte, mi sorride. Avverto, nel suo sguardo, mille domande ma sono certa che mi abbraccerà senza chiedermi niente. ( raggiodiluna )
La siepe e la farfalla siete voi, se non hai intuito. Ostacolo e salto nello stesso tempo.>
...<Ed anche tutto questo va ad ingrossare le nostre convinzioni oramai simbiotiche ad una certa logica e progressività di pensiero. Dunque mio buon amico di crosta... <Te la senti di tirare un minimo di somme su questa incompiuta esperienza?> Uff... Non è così semplice. Mi ci vorrebbe del tempo per analizzare e focalizzare il tutto. Su due piedi mi viene poco.<Ci accontenteremo>. E quel poco sta molto influenzato dalla tua presenza. Mi hai mostrato quello che volevi... è la mia impressione. Chissà cos'altro c'è "sotto".<Diciamo che ti ho tracciato le linee guida di quello che... la mia lunga permanenza mi ha insegnato.>Allora ti dico le mie conclusioni parziali del momento se vuoi... però non mi sento di azzardare che sono oro colato. Questo sia ben chiaro... <Ascolto interessato.> La vita per fuori sulla terra è quella del dopo peccato originale. E quindi è abbandonata a sé stessa. priva di regole e "regolatori". Succeda quello che deve succedere, non potrà intaccare questa di dentro infatti. La prove sono tante ed evidenti. Sappiamo che qui non abbiamo bisogni corporei ad esempio. Si vive molto a lungo. Al punto che non mi hai narrato mai di nessun morto e gli unici che ha visto erano uomini o animali... che per le loro venture sono scesi. Nessuno qui è stressato. Nessuno si è mai chiesto che ruolo ho io nell'universo. Non esistono malattie. Non esistono discriminazioni fra l'uno e l'altro. Tutti non hanno niente eppure possiedono ciò che vogliono. Ognuno fa quel che desidera nel rispetto pure del singolo sassolino. E non si sognerebbe mai di scavare o costruire di sua iniziativa. L'opale ed il diamante valgono esattamente quanto la polvere. La vita insomma vive la sua vita non il corpo. Lui è solamente il mezzo che lei usa per deambulare ed è conscio del suo ruolo. E sempre lei sa bene in che maniera oliare e tenere ben funzionante il suo mezzo. Tante cose perciò. E tante differenze sostanziali col credere ed il vivere di lassù. Il parallelo mi sorge spontaneo di per cui: Il paradiso terrestre esiste ancora ed è dove stiamo ora. Gli uomini che stanno espulsi lo sono unicamente perché... La forza divina del nucleo li ha spinti fuori. Probabilmente avevano in qualche modo "mangiato la mela" come si dice. Ed io sono convinto ciò successe in quanto incominciarono, chissà con che parametri, a crearsi e voler imporre una loro indole indipendente. Solo che non capisco in che maniera può essere spuntata loro, in mezzo a tanta armonia e nessun dubbio, una trovata del genere. <Che ne dici di un banale incidente di percorso?> Che cavolo ti stai inventando adesso? Guarda che ti conosco e so che quando lanci metafore sei pericoloso. < Mah! A me il fatto che gli uomini siano senza coda... ha sempre fatto rabbrividire.> Spiegati meglio... per piacere. <La coda in qualsiasi essere e ce l'hanno praticamente tutti. Si anche li con appena un abbozzo... la coda non è solo un elemento estetico. Tutt'altro. Ella garantisce, oltre ad altre particolarità che ora tralasciamo di descrivere... garantisce l'equilibrio. Osserva la scimmia che corre sul ramo. Ed il ghepardo che fa lo stesso per la savana. Analizza la planata del corvo ed i movimenti dello squalo. Noterai che gli spostamenti delle loro code sono fondamentali per garantire nella maniera più assoluta una necessità: Mantenere l'equilibrio. E che la coda mantenga in equilibrio se non credi a me... l'hanno detto milioni e milioni di persone che studiano le particolarità. Lei garantisce fluidità del gesto e stabilità di comportamento e... E quando, ritornando all'uomo, viene a mancare l'equilibratore del corpo giocoforza a lungo andare... se ne va pure quello della mente. Cominciano cioè ad affiorare i dubbi... Perché lui può fare quello senza farsi male ed io no? Perché a lui si ed a me non è concesso? E qui abita il nostro discorso. Nel momento in cui hai rimostranze verso la vita... essendo solamente il suo tram... diventi rabbioso dato che ovviamente non hai opzioni per intervenire e da lì il passo... che fa sfogare frustrazioni verso il "pubblico" o decidere "almeno" di sostituire le lacune con soddisfazioni personali invasive... è immediato. Quasi si trattasse di un attore che ha da ridire sul copione durante lo spettacolo intendo. E sono l'equivalente dell'aver mangiato la mela rapportato a come fluiscono le dinamiche qua sotto... queste decisioni... assolutamente ed indubbiamente. E che possibilità di reazione ha avuto Il creatore al peccato di Eva? Semplicemente di espellere ed esporre alle intemperie e durezze chi l'ha fatto. Esattamente come ha agito il nucleo... che è il cuore del pianeta... e di conseguenza il dio del suo corpo celeste.> Gli animali di fuori... Sembrerebbero rendere vani questi ragionamenti... se permetti.<Probabilmente reagirono direttamente alle angherie subite... e la reazione si sa mai corregge il male semmai ne aggiunge, al che subirono stessa sorte del provocatore.> Sicché tu avvalleresti in toto la mia tesi? <In pieno e con zero dubbi al riguardo.> Dire... Dire che la tua incoscienza è dirompente sta una cosa da niente mio caro. E del fato che fece perdere la coda mi dici niente? <Te l'ho detto invece. Probabilmente fu un incidente. Un crollo improvviso. Una disattenzione nei pressi di un fiume di lava o altri fatti analoghi.> Però s'è sempre sentito dire che nel paradiso terrestre non c'erano pericoli per l'integrità personale. < Oh! bhé "pertanto" te dimmi dove sta scritto che Adamo avrebbe potuto saltare da un dirupo di trenta metri... senza nemmeno rompersi una gamba. Dimmelo e tornerò su con te. Non so se mi spiego: Tornerò su con te.> (Sid liscius)
La voce della Terra non perde mai il suo tono materno. Lei è madre sempre gravida di tutti i semi che porta in grembo. Partorisce ad ogni stagione, erba, fiori, piante e vegetali d’ogni specie. E ad ognuno dà il suo spazio e il suo nutrimento. E’ Madre Terra. Il suo monito allora, non è un rimprovero, ma un grido di dolore, rivolto alle creature che più ama. <Non basta ricordare o inventare, per quanto nella creazione convergano sempre parti di sé e stralci di fantasia. L’amore ricordato è sempre troppo vago, così ammansito dal tempo trascorso, che aggiusta il dolore e guidato dalle regole che provano a descriverlo. Quello inventato, non buca l’anima ma scivola via, leggiadro, sulla crosta, come sulla pelle, in una carezza perfetta. Il suo sorriso albeggia fondendosi col primo raggio di sole che sorge e arrossa le pendici. Io posso contemplare il vostro futuro e vi dico che la vostra certezza del futuro è niente. L’Amore puro si sta logorando nella routine, orientato verso un destino di mediocrità. Come si fa a vivere una vita vuota, piena di niente. Come è possibile per voi umani, non rendervi conto di avere mille passati ma nessun futuro, non vi resteranno che ricordi>. La domanda dei suoi occhi è la sorpresa del segreto sepolto nei millenni di storia del tempo sotterraneo. Storia di un amore segreto che mantenuto chiuso tra la passione materna e il silenzio. Una storia interpretata da uomini che fecero della ricerca della verità un destino; della memoria, una strada imprescindibile, e della lealtà, un culto che trascende il tempo, le distanze e la morte. Gli sguardi dei sassi serrati fra abbracci di radici umide e vive, rivelano e raccontano tutti i drammi della Storia. Di quell’amore sfiorato, e mai vissuto davvero. Scavano gli occhi della Terra, quotidianamente, un solco tra la memoria e il presente fatto di solitudine e di profonda tristezza. Ritrovare la storia, è rievocare, giorno dopo giorno, i passaggi di un passato nebuloso, apparentemente senza risposte, con la speranza e l’aspettativa che cambierà un giorno, la nostra visione delle cose. Per Madre Terra, finiremo per riscrivere il futuro, nel riverbero di ricordi mai definitivamente sepolti. Nel segreto di quegli occhi noto l’amalgama di toni e registri
di una frustrazione dignitosa e la disperazione di un vedovo sentire. Custodia coatta di un dolore che continua ad alimentarsi mantenendo viva, segregata, ma presente, la memoria, in un angolo sperduto di universo. Lento, inesorabile recupero che torna a riempire i contorni di un vuoto eloquente fatto di morte, di abbandoni e dell’amore sfumato lungo il percorso dell’umanità. La scrittura allora, non è solo la rievocazione di ricordi, ma rivivere situazioni totali, con le stesse emozioni e la stessa rabbia represse lungo lo scorrere del tempo. Si snoda sibillina tra diversi piani temporali, in un doloroso pellegrinaggio tra i ricordi. Il segreto dei suoi occhi si interroga sul coraggio o la codardia delle nostre scelte, sui rimpianti, sulle nostre passioni e sulla potenza della memoria che, sola, è in grado di cambiare il futuro. Un amore quello della Terra spesso finito ancora prima di sbocciare, senza nemmeno il tempo di vederlo sfiorire o morire, che subito l’attenzione s’indirizza verso creature nuove e diverse. Un sentimento nato e negato, mai vissuto. Un contenitore di emozioni la terra, che rimane nascosto dentro le mura di stanze buie e palazzi squadrati dai macigni. Prigioni che racchiudono l’ansia del vivere, in attesa di essere raccontata, attraverso la sua invidiabile, naturale ingegnosità e la forza febbrile della sua utopia. Immagini rivelatrici di Eros e Thanatos negli occhi di chi è ritratto. E’ il silenzioso amore, arenato nell'esilio.
E’ il viaggio soffuso di malinconia, dove spesso gli sguardi fanno intuire quello che le parole non riescono a dire. Sguardi rivelatori che raccontano i drammi della Storia. Un viaggio nelle trame complesse della memoria, serbatoio di tracce di vissuto indelebile, orme di passato, luci lontane, all'orizzonte. Un viaggio per molti solo fantastico, ma per altri, occasione per sentire il cuore striato di tenebra. Esso echeggia nella mente quando il dubbio assale e peggio se esso si trasforma nel sudario nero che dilaga dispiegandosi tra mente e cuore. Ciò che sta sotto scompare e si dissolve nel buio dell’incredulità indifferente. Se non c’è ombra di dubbio, non v’è ombra nell’amare qualcuno, né le cose del mondo. Ciò sia domanda e richiesta: un torneo di domande cui seguono caroselli di risposte, di fronte ad una realtà vivente. Il rischio si manifesta quando il dubbio si allarga e diventa scetticismo radicale. Gli estremi da evitare sono: non dubitare di niente e dubitare di tutto. Il labirinto di sé, fra il niente e il tutto p fatto di orme di vissuto e di luci d’orizzonte. <Ti proteggerò dalla rovina. Non temere> urla a gran voce la Terra mentre ci allontaniamo dallo sguardo angosciato di chi ci ama senza misura e senza chiedere nulla. < Ti proteggerò dalle bufere, dalle intemperie, da chi ti spezza le mani, mente scavi per cercarmi. Ti proteggerò dagli scorpioni del deserto, dalla lava dei vulcani, dalle sciarpe di filo spinato e dalle bestemmie che non hanno fiuto. Ti proteggerò dagli orizzonti senza tramonti, dal silenzio dei silenzi. Dal bitume dei senza senso ti proteggerò; anche dal vento che soffia caldo da queste parti. Per te lascerò d’essere forno e ti amerò fino ad amare anche il tuo inverno. Lascerò che sia la tua innocenza a colorare ogni mia indecenza. Perché l’ombra è scura se voi siete luce, non siete cristalli trasparenti su cui la luce si frange e si spezza in colori diversi e liberi>. Mi guardo intorno commosso dopo queste parole che giungono alle mie orecchie come un adagio lento e celestiale: una melodia sfuggita al tempo. < Sei la mia schiavitù, e la mia libertà> dico a mezza voce, certo di essere inteso, che le sue orecchie sono tutte le molecole di sali che mi circondano. I miei piedi ormai sono nudi nel vicolo sterrato. Ho consumato lo strato che mi separava dal pulsare del cuore della Madre.
La mia carne brucia come la pelle al sole dell'estate. <Sei la mia patria tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi di smeraldo. Sei la mia nostalgia, di saperti inaccessibile, nel momento stesso in cui ti afferro e ti perdo>. Scorre il tempo senza un alito di vento. Scorre la notte umida ed afosa senza forma né colore, né voce se dicessi qualcosa, qualsiasi cosa che non sappia d’amaro! <Fammi sognare, ancora Madre, per tutte le attese che ho pianto> .
<Felicità, felicità, volete un po’ di felicità signore?> dice il giovane germoglio, accarezzandomi i piedi e guardandomi negli occhi.
<Giovinezza, volete un po’ di giovinezza?> dice la radice dal lato opposto della parete sassosa.
Al centro del pertugio, intanto, avanza un animale zoppo spingendo un malmesso carrettino, all’apparenza vuoto. Mi si avvicina scrollando polvere con un colpo di tosse e con voce roca dice:
<Tranquillità! Comprate un po’ di tranquillità, signore, è di buona qualità e vi garantisco che non avrete più problemi>. Lo pago con un sorriso. Poi m’incammino di nuovo.
<Felicità, giovinezza … Parole pesanti come piume di colibrì, sostanziose come un soffio di vento! Incantevoli menzogne, la vostra dimora è la notte; lievi, v’insinuate nei sogni ed approfittate della pesantezza delle palpebre per ingannare l'anima>. Non mi ero accorto di parlare a voce alta finché una voce rude si sovrappone alla mia. <Il problema è di avere palpebre e anima, e di questi tempi, mio caro signore, sono cose rare da trovare>. La voce del venditore di formiconi a cavallo di grilli talpa, interrompe il pensiero vocalizzato. Poi alza le spalle, con un gesto di rassegnazione, e si mette a pulire con un piccolo pennello alcuni sassolini colorati.
Incuriosito, anche il mio amico eremita e terroso scrittore si avvicina al banchetto, rimira per alcuni istanti i cavalieri lucidi d’acido formico, poi si gira verso il mercante:
<Sono davvero belli, ditemi il loro prezzo> dice, prendendo il portamonete dal borsino ormai anch’esso diventato rosso come il racconto di Rosso.
E l’altro, continuando a lustrare le capocchie nere, borbotta:
<Questi cavalieri sono magici e non hanno prezzo mio caro signore>.
<Su non fate il difficile, quanto alla magìa … Il tempo delle favole è ormai trascorso!> risponde l’eremita sorridendo.
Ma il venditore di formiconi si rabbuia in volto, poi guardandoci dritto negli occhi dice in tono di sfida:
< Voi non mi credete eh?! Beh, mi sento generoso e ve ne regalerò uno, in cambio, però, di una cosa>.
< Di cosa?>
< Della vostra anima.>
< Ah se è solo per questo considerate già concluso l'affare, dice rapido il terroso. Della mia anima non m’importa affatto> rispose, riponendo il portamonete nel borsino. Poi continuò.
<Ma ditemi, cosa hanno di speciale questi cavalieri?
Krostuzov, così aveva detto di chiamarsi il turpe animale zoppo, si avvicina all'orecchio dell’amico e gli sussurra:
<Dovete baciare sulle labbra il grillo talpa, poi dovete pronunciare le parole magiche EROMA-OIM e il cavaliere diventerà di carne e ossa come voi. Sarà al tuo servizio fin quando tu, caro scrittore eremita, lo vorrai.
<Mi sembra uno scambio accettabile> accondiscende lui un po’ turbato.
<Cosa scegliete, il cavaliere nero, rosso o quello azzurro?> disse Krostuzov fregandosi le mani.
L’amico eremita si avvicina al banchetto, guarda con attenzione l’esposizione delle formiche agitate in un turbinio di antenne, poi conferma:
<Prenderò quello azzurro>.
Krostuzov lo prende tra le punta delle dita ossute e prima di darglielo dice:
<Ricordatevi le parole magiche.
< Sì, certo, le ho bene in mente> risponde, prendendo grillo e formica.
Lungo il pertugio altri venditori si erano, intanto appostati. La sera sta calando e così anche gli ultimi venditori se ne scivolano dentro gli anfratti polverosi. Si attarda solo quello che vendeva collera. Sta gridando ad un cliente che non sembrava molto convinto della qualità della sua merce. Proseguiamo il cammino, senza dargli troppa importanza. Dopo qualche passo, il terroso si ferma. Punta un androne scavato a lato di una caverna e si dirige verso l’angolo più buio, dove uno scarafaggio grosso come un gatto color carbone, cercava di rintanarsi.
Prende il grillo con in groppa la formica, se la porta alle labbra e la bacia, poi pronuncia piano le parole magiche: EROMA-OIM.
Niente! Non succede nulla. Riprova con un bacio più appassionato, scandendo con più decisione le parole. Ed ecco che, per incanto, gli animali escono dal torpore da cui sembravano trattenuti , scivolano dalle sue mani e si librano in un volo avvolto da una luce vivissima. L’androne, il pertugio e finanche la caverna s’illuminano a giorno. Noi ci tappiamo gli occhi, accecati dal bagliore intenso e quando li riapriamo rimaniamo senza fiato. Davanti, immobile, un cavallo bianco dal portamento fiero. Poi alziamo lo sguardo lentamente e vediamo un cavaliere completamente avvolto in un mantello azzurro come il cielo.
La domanda nasce spontanea sulla labbra di entrambi: < Sei della sostanza dei sogni o ...hai la consistenza delle cose?>chiediamo in un sussurro ad una sola voce.
< Ho la consistenza dei sogni e la sostanza della carne> risponde con un sorriso il cavaliere azzurro.
<Qual è il tuo nome?>
<Joshua è il mio nome>.
Detto questo, si avvicina e, con fare lieve, cinge al fianco il terroso amico, soffia sul suo volto che finalmente senza polvere e rischiarato dalla luce mi appare nelle sembianze di una giovane donna dai capelli rossi. In un attimo la solleva leggera come un'ombra e la issa davanti a lui. Poi con un movimento rapido tende leggermente le redini e il cavallo bianco si libra in volo, scomparendo fra le nubi di polvere che lo scalpitare del cavallo avevano sollevato.
Un bambino appoggiato al davanzale della finestra della casa, posta proprio davanti all’albero, si stropiccia gli occhi nel vedere quella strana macchia scura che esce da sotto quel tronco rugoso. Lo segue con gli occhi increduli mentre taglia in due una pallida luna. La fanciulla non avverte alcun timore, anzi si sente sicura a tal punto che con la mano scosta un lembo del mantello. Quel che vede sono due occhi color del mare, un mare invernale, con onde spumeggianti che solo il maestrale sa dare. Senza dire nulla il cavaliere lascia le redini, libera i capelli neri al vento, la prende tra le braccia e la bacia.
Cavalcano tra le stelle tutta la notte e solo al primo albeggiare, dopo aver squarciato una nube bianca, la donna eremita vede in lontananza una valle verde circondata da alte montagne.
Quando dopo pochi istanti Lobo, questo era il nome del cavallo, scende veloce, la signora scorge, incuneati tra le rocce, i bastioni di una fortezza.
Lobo si posa in una piccola radura. L’aria è calma ma gelida e una luce chiarissima dà agli alberi delle forme bizzarre. Si incamminano per uno stretto sentiero. Lobo, dietro di loro, rompe il silenzio con il rumore sordo e cadenzato degli zoccoli.
La fortezza, passo dopo passo, appare sempre più grande; cento e più feritoie abitano la grigia facciata di pietra. Occhi maligni o custodi vigili, chissà!
Arrivati sotto la gran porta di legno della fortezza, Joshua le sussurra:
<Qui può entrare solo chi ha un nome. Qual è il tuo? <Io non ho nome. Offrimene uno e, qualunque esso sia, sarà da me indossato con amore. Risponde lei con decisione.
<Gea sarà il tuo nome>.
A quel suono Lobo nitrisce forte con il muso al cielo e anche i bastioni per un attimo tremano.
Joshua la solleva come un fuscello e ne proferisceì il nome ad alta voce; la grande porta, come per incanto, si apre.
Gea posa la testa sul petto del cavaliere, chiude gli occhi e ascolta il battito del suo cuore che, come una ninna nanna, la cullava. Dopo alcuni istanti, che le sembrano infiniti, il mantello di Joshua si solleva, leggero come un sipario. Lei apre gli occhi.
Una luce, azzurra e sottile, che colava dall’alto, le inonda il volto. Guarda su. Stelle d’oro, incastonate nel soffitto, spruzzano lame di luce, mentre minute scintille, silenziose, si rincorrono, sfiorando ogni cosa.
I suoi occhi stupiti interrogano quelli di Joshua.
<Seguimi> le dice e, dopo averla teneramente sciolta dal suo abbraccio, le prende la mano.
Stanza dopo stanza, la luce filtra sempre più rada, tanto che le cose, perdendo forma e colore, assomigliano ad ombre.
Finalmente Joshua si arresta davanti ad una porta, sormontata da un’ architrave tondeggiante dalle venature bluastre, che pare palpitare,
Davanti ad essa c’è, acquattato, un gatto nero: quando vede Joshua, miagola una nota acuta e rizza il pelo prima di fuggir via.
<Non allarmarti, è Nembo, il gatto dalle mille vite. E’un buon guardiano, è lui che vigila sulla fortezza>. Poi apre la porta.
Agli occhi di Gea appare una stanza rotonda, senza finestre e con le pareti damascate di rosso. Al centro un grande tavolo di legno, con due sedie a capotavola, ricoperto da una tovaglia di fine lino bianco. Al centro c’è un candelabro d’argento con candele accese che irradiano una tenue luce gialla. Bicchieri di cristallo brillano impenitenti. Una fumante zuppiera di porcellana sembra una regina e, vicino, a farle da damigelle, due tazze bianche come la neve. La donna cerca con lo sguardo il cavaliere; lo vede intento a riempire una tazza. Lo fissa per alcuni minuti, come incantata. E’ presa dalla sensazione di trovarsi dinanzi all’amore tante volte immaginato di notte, ad occhi chiusi. Così non è sorpresa che tutto in quella stanza le sembrasse familiare, quasi avesse scelto lei stessa ogni oggetto prezioso e avesse allestito quel magico banchetto di propria volontà. Le pare, anzi, che il meraviglioso tepore che avvolgeva ogni cosa provenisse dal suo stesso corpo.
-<Siediti, amore mio>. Le dice Joshua, porgendole il liquido denso e fumante.
Mentre una musica d’archi e un profumo misterioso conquistano l’aria, Gea prende la tazza.
< Ho già visto tutto questo in sogno> sussurra, mentre le sue guance si tingono di rosso e il cuore le bussa forte al petto, tanto da toglierle il respiro.
Anche quella sera, Krostuzov svuota il suo banco di lavoro. Sistema spazzola, spatole e cera sul fondo terroso di una grossa sporta di tela. Sopra, delicatamente, adagia i grillici cavalieri sormontati da formiche soporose, poi si avvia verso la sua vecchia tana. Quando arriva all'androne, un miagolio lo accoglie. <Oh Nembo, mio buon amico, hai fatto buona caccia>, gli dice, fregandosi le mani. <Ecco un’altra anima perduta in un sogno>.
Con grazia, raccoglie tra le zampe del gatto la statuina di un cavaliere azzurro e quella di una signora dallo sguardo innamorato.
Sono bloccato dallo stupore, incredulo d’aver assistito all’epilogo di un sogno. Davanti ai miei occhi stupefatti, il padrone di Gea e dei suoi sogni ripone gli altri sogni ancora nei loro embrioni, sotto forma di grilli talpe e formiche nere. Li ripone uno accanto all’altro nella sua borsa, poi, fischiettando l’aria d’opera,”Terra mia”, si sporge verso la strada già silenziosa. Gira un sasso a mo’ di portone, e alza lo sguardo verso di me, sorridendo. (fabirob)
Questa intera creazione è essenzialmente soggettiva, e il sogno è il teatro dove il sognatore è allo stesso tempo sia la scena, l'attore, il suggeritore, il direttore di scena, il manager, l'autore, il pubblico e il critico.
Vi sono uomini i quali credono che, coi limiti della percezione dei sensi, siano posti anche i limiti di ogni altra cognizione. Se ponessero attenzione a come essi diventino coscienti di quei limiti, scoprirebbero in questa coscienza anche le facoltà per varcare i limiti. Il pesce nuota al limite dell'acqua; deve ritrarsene, perché gli mancano gli organi fisici per vivere fuori dell'acqua. L'uomo arriva al limite della percezione dei sensi; può riconoscere che, lungo la via fin lì, ha acquistato forze dell'anima per vivere animicamente (o meglio spiritualmente) nell'elemento che non è abbracciato dalla percezione dei sensi. La verità segreta del mondo è che tutte le cose sussistano per sempre e non muoiano, ma si sottraggano per un po’ alla vista e in seguito vi facciano ritorno. Niente muore; gli uomini si fingono morti e si sottopongono a finti funerali e a dolenti necrologi, mentre loro stanno là, a guardare dalla finestra, belli sani e a posto, foggiati in qualche nuova forma.
Tutti gli aspetti del comportamento umano, riflettono il desiderio di cogliere la realtà essenziale del mondo e le origini delle cose, il "centro", il punto di inizio assoluto quando furono creati gli uomini e il mondo. Nel linguaggio simbolico, questo punto è l'ombelico del mondo, l'uovo divino. Esso viene spesso immaginato come asse verticale o asse cosmico che, situato al centro dell'universo, attraversa il cielo, la terra e il mondo sotterraneo. L'immagine di un asse cosmico è antichissima, pare che risalga al IV o III millennio avanti Cristo, e diffusa in tutto il mondo sotto forma di pilastro, o palo, o albero di montagna. L'albero cosmico, simbolo del mondo, è mediatore tra le profondità della terra e le altezze dei cieli. C'è però un altro rapporto tra il mondo e l'albero: il legno. Legno per fare il fuoco, per riscaldare e quindi associato al fumo che sale verso il cielo, ma anche legno come materia prima per l'artigiano, legato alla conoscenza teorica e pratica e quindi alla Saggezza. Esiste infatti una omonimia completa tra il sostantivo "scienza" e il sostantivo "legno" in tutte le lingue celtiche, mentre nella tradizione ebraica si trova un rapporto tra l'albero e la parola.
L'albero della vita è piantato nel centro del giardino e lì, si realizza la Parola. “Egli prenderà anche dell'albero della Vita, ne mangerà e vivrà in eterno." E' attraverso l'albero quindi che si deve realizzare il mondo che verrà; e nutrirsi dell'albero significa assorbire la sostanza del mondo e la conoscenza assoluta. La totalità della simbologia cristiana ruota attorno a quel simbolo fondamentale che è la croce; il palo esprime la verticalità, l'albero che si innalza dalla terra verso il cielo (e in certe rappresentazioni della crocifissione Cristo non è inchiodato su una croce, ma su un albero). Sia l'albero cosmico che la croce sono simboli universali: nelle leggende orientali infatti, la croce è la scala sulla quale le anime degli uomini salgono verso Dio.
L'energia vitale dell'albero è associata anche ai poteri femminili della creazione, nella maggior parte delle tradizioni; per estensione, è associato alla terra (principio femminile) e al cosmo, poiché, come l'albero, il cosmo si rigenera incessantemente ed è sorgente inesauribile di vita, la quale include tutte le cose in una dinamica creatrice.
“…..Mi sono svegliato stamattina. Nulla di strano capita quasi tutti i giorni. Ho annusato l'aria che tirava e in quell’azione percepivo qualcosa di strano. Mi sentivo sotto sopra. I piedi in alto e la testa per il suolo. Guardavo il soffitto della camera e lo trovavo intrigante. Mal posizionato. E sì che stanotte non avevo sognato molto. Anzi pensavo di essermi limitato. Ho tirato su la tapparella. E fuori era buio pesto. Non c'erano nemmeno i lampioni che illuminano sempre la notte. Ci sono rimasto male. Ho allungato la mano oltre la finestra aperta e l'aria era... terra”.
.......
<Babbo, babbo, babboooooo. Svegliati che facciamo tardi, non ti ricordi che mi devi accompagnare a scuola?>
<Sì, sì certo, ohh scusami>. Esco con la piccola. Prendo l’auto quasi meccanicamente. La strada oggi, mi si presenta più libera del solito. Dal finestrino guardo gli alberi alti, verdi e rigogliosi sfilare via veloci, in direzione contraria. Li osservo con maggior attenzione. Sono tutti capovolti. Con le radici in su, come dita di mani tese verso il cielo. Un tuffo in gola e di colpo mi sento parte viva di un tutto che mi comprende. Mi sento meno solo … sono più completo. Sono felice anche se faccio tardi al lavoro. (fabirob)
“O giovane che fantastichi di esser negletto dagli Dei, sappi che se diventi peggiore dovrai trasmigrare poi nelle anime peggiori, e che se invece migliorerai, andrai con le migliori, e che a ogni successione di vita e di morte agirai e soffrirai come si conviene agisca e soffra per tua parte e per simile mano. Perché questa infatti è la giustizia del cielo." - Platone -
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