Scritto da © ferdigiordano - Mer, 25/07/2012 - 13:19
Scrivere una pièce. Allestirla in modo avventizio. Fare prove, mandare testi a memoria. Disegnare e realizzare una scenografia sparagnina e povera con la latta dei barattoli da caffè, quattro lampade da centowatt a colori diversi, otto sperduti personaggi in cerca di rossori: insomma, tutto nasceva per lei.
E non era uno schianto.
Adesso mi sta davanti con un sorriso che a riva nemmeno la schiuma più candida regge in parità. Sembra uscita da quelle stesse due onde che ora si frangono gemelle, gambe sinuose ed altere di un libeccio teso e scarnificato.
Elegante nella sua camicia a collo lungo; sopra, un semplice tailleur con pantaloni color lattemiele. Avrebbe ingrassato chiunque. Non il suo filo di luna. Una luna giusta, di quelle a picco negli occhi, quando si tuffa la luce. Senza schianto alcuno, lo ripeto, non so se ho reso l’idea.
Mi chiedo, ora e qui, in quest’adesso di frustante similarità, come fossi, come ero. Però mi è davanti ancora; stupidamente mi avvicino ai capelli, che non attendo, e risento il profumo a mente.
Avevo scritto, avevo diretto, finalmente recitavo per lei. Insinuante io, altera lei. Non tanto del suo corpo, ricordo, quanto per quel sorriso che schiumava dal suo frangere a menadito la mia storia di sabbia sonora, lì dove accade il libeccio, di cui sopra - attenti -, come un rastrello, lascia le mani vuote se non tieni strette le dita così che lo sguardo si annida dal volo.
Ho aperto, proprio in questo luogo appartato da parole, tra la balaustra del se e l’improponibile pavimento dei ma, il baule del tempo: mi appare nitida benchè una folla l’avvolga.
Non sono suoi contemporanei, abitano me come ospiti incerti.
Non li saluta. Parlano lingue con espedienti gestuali.
Osserva ridendo la porta e fa per andare.
Ha un passo compresso, scivolato.
Si solleva a fatica la punta, sembra restare, poi il gesto rapido del braccio slancia l’avanpiede. Ha il busto diritto, che appunta i seni nell’aria. Corrode lo spazio con grazia e lo segna: danza mentre cammina.
So che è qui, so che ha una passione per restare, quasi anche lei avvinghiata rientri. La vita le è corsa incontro non appena mi ha lasciato la mano. La vita è un intricato andirivieni di soggiorni, di turismi aleatori, di stereotipi fu, era, non più: troppi verbi mancati che inseguono.
Lei no, lei stava sul palco del petto come in questa messinscena di parole il silenzio che la chiude.
»
- Blog di ferdigiordano
- 1453 letture