Scritto da © ferdigiordano - Mar, 29/03/2011 - 16:17
Aveva due occhi che andavano al centro delle cose. Si dice “strabismo di Venere”, pur non essendo lei la dea. Guardava sempre nel mezzo come un occhio solo. In più, divinava il futuro senza alcuna preoccupazione del passato. Io ero il presente: non mi toccava.
Una donna che sembrava normale, avresti detto, con quel fascino delle persone incompiute che parlano di eventi incompresi, da sapere solo dopo che fossero accaduti, ma il giornale aveva bisogno di fondi. Denaro, e tanto sicuro.
Accavallava le gambe come un tornio a pedali sviluppa le curve all’argilla. Le mani accompagnano il saliscendi ruotante con la cura di una processione fino alla bocca del vaso. Lì, rapite da una forza invisibile, asportano l’acqua e la pelle ritrova freschezza nel palmo. Lei chiedeva di più: che almeno un dito restasse.
Ci credi che il dito, se non l’avessi retratto, rischiavo di perderlo? Tu scuoti la testa e sorridi, ma sapessi che aspetto mostrava divorata dal piglio del piacere recluso!
Esponeva la bocca come fanno le rose di maggio che ti portano alla prima estate, al primo nudo spontaneo nell’ombra dell’acqua. Rintracciava la fuga dei polsi ovunque li avessi appoggiati. Era in tutti i luoghi. Sì, come dio, ma solo in quella redazione.
Non pensi anche tu che la voglia di un corpo non si debba pagare a cambiali? Scuoti la testa ridendo, ma sapessi il bisogno dei tanti creditori dove situa i confini della mia purezza!
Poneva la gonna con grazia incresciosa ben oltre l’autoreggente. Un triangolo chiaro esponeva quella punta di freccia a contatto dell’acciaio più duro. Debordava i suoi lati schiantati sull’offeso metallo impenetrabile. Nessuna vergogna mostrava la pesca delle guance. Era grande la pesca. Era matura. Non le cadde mai.
Ci credi che la pesca mi morse? Se non muovi la testa e cancelli lo stupore dagli occhi, ti spiego perché, e come, da un frutto bacato si fa la mensa per tutti.
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