Scritto da © lunasepolta - Sab, 06/03/2010 - 10:01
Come somiglia il tuo nome, al suo
nell’imperfetto addita a questo nulla che non accetterà d’esserci
ancora tra le adunanze e i suoni a barre. Non è servito tutto il nostro tempo
il frutto che cogliesti dai miei rami per macerarlo
nelle interdizioni
rabbioso, tu nei giacimenti consci
soltanto
del trambusto delle talpe
ex equo, noi, non lo siamo mai stati, ma forse
comparati dagli eventi, senza un'unica casa né dintorni
tu sempre fuori, io da sola dentro ai miei comandamenti
che puntuale spazzavi via, come un finimondo
dov’è finito il muscolo del cuore e chissà dove il pianto trattenuto
forse nei magazzini della fabbrica o dentro
una chitarra sulla bara, dove agli altari mutilava il viaggio la coda
di un cordoglio in uniforme
è solo un marzo che parte dalla punta dei piedi
da un androne senza tempo
con le teste all’insù, tutte a guardare gomitoli di tulle
di passaggio
le ballerine e il biondo dei capelli e sempre tu, a spegnere propensioni
“e poi ci provo a chiederti del freddo”
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