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Regalo di Natale

 Un uomo scende dalla macchina con una specie di mazzo di fiori in mano. E’ guardingo, osserva se lo sto osservando, come se si vergognasse dei suoi fiori, come se fossero questi inadeguati alla sua assennata dignità. Mi accorgo, replicando al suo sguardo inquirente, che non di fiori si tratta, ma di una decorazione natalizia.
Di quelle specie di composizioni a scodella, con qualche rametto di abete, un paio di piccole pigne e qualcosa di rosso ancora che viene dal bosco, il pungitopo forse. Sopra, a spargisale, una spruzzata di argento lo rende un po’ più sontuoso e festivo. Forse non vuole che si spii un uomo grande e grosso come lui, con i capelli argentati e quello sguardo querulo e severo insieme, mentre si appresta ad un gesto così “gentile”, femmineo magari, pensa, come quello di porgere una decorazione natalizia ad alcuno. Ha un gesto furtivo, vuole nascondermi il suo piccolo omaggio natalizio. Non vuole che si ficchi il naso nel suo silenzioso gesto ossequiente, è cosa sua, dei suoi affetti. Gli altri non c’entrano. 
Men che meno c’entro io, che son là proprio per caso e non contemplo la minima ambizione intrigante nel cosmo ripudiato del Natale. Non solo le feste degli altri non mi riguardano e non le corrispondo, ma tengo fede al diritto individuale, per il quale ogni intimo sentire è sacrosanto, inviolabile, legittimo. No, non porto fede nei feticci delle “festività”; i totem, i simulacri di quel simbolismo spicciolo e a buon mercato mi mettono pena, e tutti quei lustrini, quelle luci colorate, quegli addobbi scintillanti li leggo come una malinconica insegna della tragica nullità di ogni santa cosa. No, non fa per me, hai visto bene nel mio sguardo, mio caro signore col regalino, nel mio sguardo che presumo indifferente e che magari è invece sprezzante, come il tuo gesto furtivo lascia intendere. E certo, in tal guisa, faccio cadere la mia tirata sul diritto e, mentre la assento nelle intenzioni, la dissento nel mio sguardo carico d’odio. Io dico che è triste tutto quel vostro marchingegno del baraccone natalizio; dico ch’esso non fa che marcare a sangue la disperazione che cerca di dissimulare e che, invece di scalfirla o addirittura di scongiurarla, la porta ostinatamente in auge, mostrando dolorosamente la nullità di quei luccicanti anatemi contro il dolore chiamati a debellare. Sono un miscredente, se volete, non ho santi in cielo cui innalzare decorazioni ed aureole scintillanti. Voi fate i vostri doni e siatene ripagati; me, lasciatemi con la mia miscredenza e non rimproveratemi coi vostri sguardi tristi se considero tristi le vostre festività.
Ma il tale adesso attraversa il cancello del cimitero e così mi piove in testa l’istantanea spiegazione del suo moto guardingo e furtivo e schivo. Forse lì c’era una donna, un congiunto, qualcuno di attaccato forte alle radici di costui. Chissà, forse andava davanti a una qualche pietra a deporre un fragile souvenir di altre ricorrenze, altri lontani Natali vissuti insieme in una tiepida armonia, adorna magari solo di fede ingenua, volendo, ma che, nel rievocarsi, ravviva sull’attimo la tenue luce di quella intimità smarrita.
E’ così. I morti avranno il loro regalo di Natale e noi per una volta deporremo il nostro disgusto verso la foga consumista di questo nostro tempo straziante, che proprio a Natale s’impingua, e verseremo un obolo di sentimento per la gentile e malinconica ispirazione di quel dispensatore di regali tristi.

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