Lirica di Vittorio Fioravanti
Siamo il seme disperso
frammenti d'una diaspora estesa
Siamo gli scampati oltre il muro
dell'orto franatoci intorno
Razza bastarda
fuggiamo da sempre
lungo i sentieri più incerti
delle patrie scelte soffrendo
sui biglietti d'un viaggio
ormai senza ritorno
Sopravviviamo
forti del dolce coraggio
d'una donna incontrata
quasi per caso
appena all'angolo di un'ora
della nostra vita
Sopravviviamo
forti anche dei figli
del nostro esilio
Razza testarda
ci cerchiamo con gli occhi
l'alito d'aglio
le stanche mani sporche
ripulite ogni sera
e quelle poche parole restate
Siamo un'Italia antica
copia sbiadita d'una fotografia
l'ombra del campanile
che attraversa a tentoni la piazza
lungo le stesse pietre
le foglie frementi sull'albero
di una strada di periferia
l'acqua rossa dell'unico fosso
Siamo in quel grido allo stadio
la stessa gente
Siamo un'Italia remota
l'eco di quel violento '45
Siamo i reduci dei due fronti
la rivincita d'una guerra persa
Qui siamo l'emigrazione
le rimesse e i risparmi
l'eco di quel grido allo stadio
un'immagine fatta e disfatta
d'arduo lavoro e di sacrifici
di scontri e nemici
Siamo un volto rassegnato
uno sguardo rivolto al buio
dell'integrazione
C'è una voglia in noi
crescente come la spuma
d'una calda mareggiata
morbida come il volo lento
d'un gabbiano steso nel vento
le ali aperte
sul fragore della risacca
C'è in noi violento
il rimpianto di quelle scogliere
nostalgie di filari di viti
di tristi ulivi contorti
di case bianche di gesso
d'una preghiera resa in coro
nel segno della croce
nel lancio d'un pallone di cuoio
calciato al centro dell'oratorio
e c'è il sapore delle domeniche
e la tua giovane voce
il tuo pianto Mamma
Sangue mediterraneo
ci abbracciamo in incontri
concertati per crederci uniti
strette di mano
tra i brindisi accesi e le risa
la pasta ancora fumante
bandiere spente
e un canto assonnato
un sospiro d'assurdo
E in fondo al salone
col tricolore appeso
intanto
di lá della vetrata aperta
oltre la vallata e i monti
al di là di tutta quell'acqua
che ci divide dal passato
c'è un'Italia diversa
cosí cambiata
vibrante e moderna
perversa nei suoi nuovi costumi
quasi straniera
che oramai ci ignora
Caracas, gennaio 1996
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