Scritto da © Piero Lo Iacono - Dom, 21/11/2010 - 16:42
(*non si consiglia la lettura perche' trattasi di una poesia lunga da rubarvi un po' di tempo ma se.....)
Come gli anfibi e gli anuri
sono il Giano bifronte
dalle due nature:
branchie e polmoni.
Come il rospo passo il giorno
nascosto sotto il sasso non smosso,
nel legname di muschio putrefatto,
perché son brutto e la luce aborro.
Sono il geco sui muri a secco
delle pietraie e delle rocche,
che fa uova bianche dal guscio duro,
e cammino a testa ingiù sui soffitti più lisci
con le mie dita adesive
adattandomi al calore
della parete dove mi trovo.
Sono il pipistrello, ali nere,
vittima della superstizione
di portare malanni e sventure,
ed esco al crepuscolo, vespertilio,
per i voli di caccia,
e riposo ai piedi appeso,
ammantellato nelle grotte,
negli abituri, negli habitat
che abitualmente abbandonate.
E sono il camaleonte
che prima di inghiottire la mantide
devo liberarmi a fatica
delle sue chele
ficcate nella mia lingua.
Sono il flamingo
che nasconde la testa sotto l’ala
credendo che il cacciatore non lo veda
(come dicono faccia lo struzzo nella sabbia).
Sono il coniglio che la tana
imbottisco dei peli del mio ventre
e i miei escrementi reingerisco.
Sono la zanzara zizzante che zufola e ronza
nella speranza che le diano un altro giorno.
Sono la pigra lucertola
che dal letargo all’estivazione
potrei non leccare
neppure una goccia di brina sulla foglia,
fino a quando non si imbalsama come sfinge al sole
per la rituale termoregolazione.
Sono il corallo delle madrepore,
colonie di roccia vivente che va morendo
lasciando il suo scheletro calcareo,
come la muta dei serpenti,
nelle concrezioni e le infiorescenze degli atolli a galla,
negli alberelli ramificati dei giardini sottomarini,
nel più spanto e solenne monumento funerario.
Sono il gabbiano e il cormorano
che gli occhi amano beccare
e svernano, anche in Sicilia,
con pasti a base di pesce.
Sono la gru
che vola per lunghi viaggi
senza mangiare e bere.
Sono tutti i volatili che collaudano il volo
e hanno le ali al posto dei piedi.
I trampolieri di passo senza precisa destinazione.
Gli aironi dal collo a esse.
Il rondone che passa tutta la vita in volo.
O l’upupa insettivora dall’arrivo furtivo
che predilige le larve e le pupe d’insetti.
Il barbagianni e la poiana
dei casolari diroccati e anfratti,
ghiotti di topi e di serpi.
Sono il gufo che adotta per nido
la tana dello scoiattolo.
Il picchio che batte col becco
il legno dei tronchi e dei rami morti
per cibarsi e la casa scavarsi.
E sono una voliera di
pettirossi e pettazzurri,
capinere e capirosse,
voltapietre, strillozzi e codirossi
che in volo cantando si nutrono
di necton e aeroplancton.
Il canto mai dimenticano
col quale si esprimono:
gorgheggi virtuosi,
garruli rondò,
dolci melopee,
turbinosi caroselli,
gazzarre flautate di gola e di coda.
La risata sonora del picchio verde.
Il nitrito di cavallo del nibbio.
Lo zip-zap del verdone dalla coda forcuta.
I trilli del chiurlo come di macchina da cucire.
Le stonature dello storno
quando imita la voce degli altri uccelli.
E sono l’operosa formica, la provvida ape.
Il solerte castoro
che la diga si fabbrica
di tronchi rosicchiati
per tenere alto il livello del fiume
sopra la sua tana protetta.
E sono il cane che vede di più attraverso l’olfatto.
E abbaia. Natura infantile. Anziché parlare.
Sono il ramarro, il più bello dei sauri,
dorso verde e gola azzurra,
dalla coda lunga due volte il corpo.
Ho i riflessi bronzei del coleottero.
La livrea alluminio delle cimici.
Poi da qui guardo malinconico i cigni,
casti cirri, berciare raucamente.
E vorrei essere uno di loro, anche nero…
Non importa purché cigno!
Ma quanti animali è un uomo solo?
Quanti animali sono?
Che diavolo d’angelo
è questo torbido ibrido
che nomino io? A volte tu?
5-1997
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