Lirica di Vittorio Fioravanti
Quel porto è come una madre
che abbia smesso d'attendere i figli
e aspetti l'estremo momento
d'andarsene senza un abbraccio
E' una consunta candela nera
su un grumo di cera informe
una spenta lanterna
un faro che non rischiara
l'angolo di mare morto
E' la darsena abbandonata
ingombra di scafi sfasciati
di bracci ossidati e lamiere
di gru che han chinato ormai il becco
uccelli assurdi ad ali piegate
tra divelte rotaie e accatastati
container violati da tempo
Marinai che non navigano più
e portuali disoccupati
vagano come perse monete
sui saliscendi obliqui
di vicoli luridi d'antri
tra fosche penombre
di lampadine ingiallite
richiami osceni
e di mosche
C'è intorno odore di sperma
gettato via ai venti
giù da finestre socchiuse
con l'acqua sporca ed il volo
di bolle di bianchi saponi
via da catini slabbrati
come stanchi rimpianti
C'è sapore di vino sfuso
d'olio fritto e rifritto
di pesce smorto
Sopore intenso
d'ore trascorse invano
Poi d'improvviso
per brevi momenti forse
quel porto diviene l'uomo
che torna a casa inatteso
il viso sul bavero alzato
Ed è appena l'alito suo
a dar vita intorno
ché sa d'onde amare e lontane
di giovani e dolci mulatte
di città accese
su specchi ampi di mare
illuminati di lena e fervore
Marzo 2005
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