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Unioni civili e adozioni.

La chiamano “Stepchild Adoption”. Rigorosamente in inglese. Beh, si sa, questo idioma è ormai diventato come il classico burro dell’ultimo tango a Parigi. Qualsiasi cosa vuoi propinare, dagli un nome nella lingua di Albione, e nessuno si lamenta.
Come raccontava, se non ricordo male, Beppe Grillo in un suo vecchio sketch, una volta l’italiano medio entrava in un bar ed ordinava sottovoce, quasi vergognandosi, una gazzosa; hanno chiamato quella bibita Sprite, le hanno triplicato il prezzo, ed ora lo stesso italiano di prima ordina al bancone “una Sprite”, ad alta voce e tronfio d’orgoglio.
Ma non c’è bisogno di andare così lontano. Basti pensare al più recente Job Act: un provvedimento che ha cancellato il concetto di precarietà (cancellando, di fatto, il suo contrario, cioè quello di stabilità) e viene oggi sbandierato come artefice di questa modesta ripresa italiana, fingendo di ignorare che la vera mossa buona è stata quella di immettere qualche decina di miliardi sul mercato con gli ottanta euro in busta paga offerti a chi aveva già un minimo di capacità di spesa. Se si immettessero altri liquidi, allo stesso modo, o con lo stipendio di cittadinanza propagandato dai grillini, l’Italia si farebbe un baffo di Germania e Giappone. E i soldi ci sono! Solo devono essere sprecati in privilegi assurdi e criminali, come pensioni e stipendi d’oro (e intento oro vero, non i millecinquecento euro indicati dall’Annunziata per dimostrare ai gonzi che non serviva a nulla, ed era pure ingiusto, pensare di tagliare quegli importi).
Ma torniamo a bomba.
Questa Stepchild Adoption riguarda il discorso delle unioni civili, e prevederebbe la possibilità di una coppia gay di adottare l’eventuale figlio di uno dei due. Un nome elegante, di stile, per uno dei soliti pasticciacci all’italiana che vorrebbe accontentare tutti ed invece non accontenta nessuno, e denota l’incapacità della nostra classe dirigente di prendere una decisione chiara e coerente. Più che altro, per cercare di non perdere quella che ormai sembra una consistente fetta di elettorato.
La questione nasce dalla richiesta delle coppie omosessuali di poter adottare dei bambini. La prima osservazione che si leva è che un bambino deve crescere in una famiglia “normale”, ed avere come genitori, veri o putativi, un uomo ed una donna. Perciò niente adozione.
Però…
… se il bambino è figlio di uno dei due, qualcosa si può fare…
Dov’è la coerenza, la logica, in un simile ragionamento?
Un bambino può crescere tranquillamente in una famiglia in cui i genitori sono due uomini, o due donne? Sì, o no?
Se la risposta è sì, perché negare questa possibilità alle altre coppie?
Se la risposta è no, perché consentire questo abominio, e costringere un povero bambino, già disgraziato di suo, a vivere in una “famiglia” anomala? Perché è figlio ad uno dei due? Beh, accidenti, in quanti casi i servizi sociali sottraggono figli ad entrambi i genitori naturali, se questi non sono in grado di provvedere degnamente a loro?
Ringrazio il cielo di non essere tenuto io a rispondere a queste domande. Non saprei davvero cosa dire.
Confesso (come peraltro ho già fatto in un mio precedente articolo) di essere un po’ omofobo. Non per razzismo, non ho nulla contro i gay, ma non mi piace la spettacolarità che molte di queste persone danno alla loro condizione. Per questo motivo, mi fa schifo il “Gay Pride”, e il disgustoso esibizionismo tipico di questa manifestazione. Come mi mette comunque in imbarazzo assistere anche alle effusioni pubbliche di coppie eterosessuali. Chiamatemi pure parruccone borghese e retrogrado, ma io penso che la sessualità sia un aspetto estremamente intimo della nostra esistenza, e pertanto andrebbe evitata qualsiasi esternazione che ne faccia parte. “È una normale componente della nostra vita”, come sostenevano gli intellettuali sostenitori della liberalizzazione dei costumi negli anni sessanta e settanta, di cui è assurdo vergognarsi? Certo, come lo sono l’orinare e il defecare, atti che però vengono regolarmente condannati se compiuti in pubblico. Mi vengono in mente, in proposito, alcune foto viste su Facebook, che ritraevano immigrati di colore che lo facevano per strada, per mostrare che razza di bestie ci stavamo mettendo in casa.
Per quanto detto, non mi sognerei mai di condannare qualcuno perché ha gusti sessuali diversi dai miei. Ma che abbia almeno la decenza di non sbattermelo in faccia. Così come mi darebbe fastidio anche una persona “normale” che mi descrivesse i rapporti intimi che intrattiene con sua moglie.
Un altro punto su cui non sono d’accordo è considerare “normale” la condizione di omosessualità. Un’altra concessione offerta dai soliti politicanti in cambio di qualche voto in occasioni elettorali, e riconosciuta dai soliti intellettuali in grado di vedere il vestito invisibile dell’imperatore.
L’omosessualità NON è normalità. Certo non fa del soggetto un appestato, un alieno o un animale, è e rimarrà sempre un essere umano, ma non un “normale” essere umano. Se così non fosse, non sarebbero costretti a chiedere una legge che gli consenta di ottenere in adozione il prodotto di relazioni eterosessuali. Avrebbero a disposizione i “loro” prodotti.
Io penso (ma è solo una mia opinione personale, non dichiaro niente) che tale condizione sia di malattia mentale. Intendiamoci, non sto parlando di pazzia. Anche la depressione è una malattia mentale. Lo stress. E chi è stressato non è matto. Al contrario, se fosse matto probabilmente non sarebbe stressato. Considerato che una persona gay è fisicamente identica ad una etero, e l’unica differenza è di tipo comportamentale, credo di essere autorizzato a ritenere esatta la mia diagnosi.
Non vogliamo chiamarla malattia? Fate come volete. Ma io continuo a pensarla così.
Ed una persona malata non si odia. La si rispetta, magari anche più di una sana, e si cerca di alleviare il suo stato di malessere. E non la si considera “non normale”. Semplicemente, portatore di qualche handicap. Che può fare tutto quello che può fare una persona sana, tranne quelle cose impedite dal suo problema. Non è crudeltà, o “diversofobia”, quella che mi costringe  a negare ad un cieco la possibilità di partecipare ad una gara di tiro a segno. O ad un sordo di far parte della giuria del Festival di Sanremo. Io stesso soffro di alcuni handicap: sono alto un metro e sessanta, e mi viene, se non impedito, almeno sconsigliato di giocare a pallacanestro; sono brutto, e mo’ pure vecchio, quindi non posso fare il latin lover; e visto che sono ancora come sono, e ormai sono decenni che ci provo, nonostante i miei sforzi non riesco a diventare uno scrittore di successo.
Tutti abbiamo qualche limite. Persone malate, e persone sane.
Se tu non puoi avere figli… non puoi averne.
Anche se, negli esempi di prima… ho dovuto omettere che se non hai le gambe non puoi partecipare a delle corse, perché esistono esempi del tutto contrari, tipo il famoso Pistorius, al quale veniva addirittura proibito di correre con i normodotati perché avvantaggiato dalle sue protesi.
E se ad adottare un bambino fosse un portatore di handicap (omosessualità) dotato di protesi efficaci, quali l’amore ed il rispetto, per un bene tanto desiderato ed a lui/lei negato, che al contrario manca in tanti casi in famiglie normodotate (eterosessuali)? Non mi riferisco solo a genitori drogati o alcolizzati, in questo caso intervengono i servizi sociali, ma anche, in famiglie “rispettabili”, a madri e padri distratti interessati solo alla loro carriera, al proprio successo in ambito lavorativo, ad accumulare ricchezze… o ad intrecciare normali rapporti etero ma al di fuori del loro legame? O, al contrario, in famiglie miserabili il cui primo impegno è portare un pezzo di pane a tavola, e se per farlo devo lavorare come cameriera dodici ore al giorno ‘sto benedetto figlio da qualche parte devo pure parcheggiarlo?
Non è facile, ripeto, decidere in merito, e ringrazio di nuovo il cielo di non dover essere io a farlo.
Quello che spero è che si prenda una decisione coerente, logica, e non dipendente da calcoli elettorali. Una decisione molto lontana dalla Stepchild Adoption. Non importa se con un nome italiano, ad esempio “per tutti” o “per nessuno”. Purché seria, e non dannosa per nessuno, figli, ed aspiranti genitori.
 

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