Scritto da © Pest Writer - Ven, 29/01/2016 - 11:54
Sento il bisogno di tornare brevemente sugli argomenti trattati nei miei ultimi due scritti a causa di alcuni commenti ricevuti, che mi hanno suggerito qualche integrazione e mi impongono qualche chiarimento.
Comincio con la questione delle statue nude coperte in occasione della recente visita del presidente iraniano Rohani. Ero stato pronto a difendere Renzi e Franceschini per questa vicenda, poi i due si sono tirati indietro, si sono dichiarati offesi ed irati dall’incidente, sostenendo di non saperne niente, e così mi trovo sollevato dall’imbarazzante compito di giustificare l’operato di questi due signori. Beh, meglio così.
Ma non è questo il motivo per cui sento la necessità di tornare sul caso, bensì l’osservazione, pienamente condivisibile e condivisa, che a scandalizzare non dovrebbero essere dei nudi in giro, ma le persecuzioni, gli eccidi, gli abusi commessi quotidianamente in Iran.
Sono d’accordo su questo, ma che si fa?
Ci si limita a salire in cattedra e pontificare sul fatto, magari approfittando dell’occasione per dare addosso al solito “governo ladro”? Moralmente ineccepibile, ma praticamente inutile. E, aggiungo, non solo sterile, ma anche squallido: facile sputare sentenze, condannare il condannabile, e poi tornare a farsi i fatti propri orgogliosi di aver dato il proprio contributo di idee. E le donne iraniane continuano ad essere lapidate, le condanne a morte eseguite, ed ogni dissenso punito con torture ed uccisioni.
Ricordo, qualche anno fa, in occasione delle olimpiadi in Cina, il caso Tibet. Allora mezzo mondo si indignò, protestò, condannò… poi, finito l’evento mediatico, tutti tornati ad occuparsi dei casi loro, magari in attesa di qualche altro evento per il quale indignarsi, protestare, condannare. Qualcuno, oggi, mi sa dire come vanno le cose fra quelle sperdute montagne?
Bene, allora cosa vogliamo fare? Qualcosa per aiutare le sfortunate popolazioni oppresse dell’Iran, o di qualsiasi altro paese, o sbandierare con orgoglio il nostro dissenso e poi tornare a discutere delle partite della Juventus?
Se la vostra scelta cade sulla seconda opzione, bene, penso di non avere altro da dirvi. Avete tutto il diritto di pensare e agire come credete, ed io non ho nessuna voglia né alcun titolo per stare qui a censurare le vostre decisioni.
Se invece ritenete opportuno che si faccia davvero qualcosa per risolvere il problema…
Come si fa a cambiare il comportamento di qualcuno, sia esso persona, società o nazione? Credo esistano solo due strade (se qualcuno ne ha in mente una terza, o una quarta, sono ansioso di imparare): o la forza, o il dialogo.
La forza? Bene, allora dichiariamo guerra ad un Iran appena sollevato da un pluriennale embargo, ammazziamo, se ci riusciamo, qualche milione di soldati (che magari la penserebbero pure come noi) comandati di andare al fronte, rovesciamo la dittatura criminale del paese, gestiamo alla meglio qualche decennio di atti terroristici da parte degli irriducibili del regime… insomma facciamo qualcosa! E strafottiamocene non solo dell’ennesima partita truccata della Vecchia Signora, ma anche dei nostri problemi sul posto di lavoro, delle esigenze della nostra famiglia, della nostra sanità malata, della delinquenza ormai padrona delle nostre strade, e di tanti altri problemi che conosciamo tutti benissimo e non è il caso di star qui ad elencare. E se qualche cattolico ha problemi di coscienza, convinciamo papa Francesco che in qualche caso la guerra “è cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza…”.
L’altra via percorribile è il dialogo. Il grillino Di Battista, tempo fa, aveva proposto di provare ad instaurarne uno persino con l’ISIS. Suggerimento condannato da tutti, anche se, a mio avviso, per la motivazione sbagliata. Il problema non è, credo, se sia giusto moralmente pensare di dialogare con criminali di quel genere. Torniamo allo sterile discorso di condannare l’Iran per quello che accade da quelle parti. Io credo che il vero dilemma sia costituito dalla fattibilità: è possibile discutere pacificamente con quella banda di scalmanati sanguinari? Se lo fosse, perché non farlo, se questo potesse portare ad una cessazione di tutti gli orrendi crimini di cui quell’organizzazione si sta macchiando, senza dover ricorrere alla forza, ad altre morti, ad altre distruzioni? Chiedetelo a papa Francesco, scommetto che sarebbe d’accordo anche lui.
Ora, abbiamo l’occasione del presidente di uno “stato canaglia” che viene a farci visita, desideroso di instaurare rapporti pacifici (commerciali? Va bene, anche commerciali, purché non bellici!) con l’occidente. Che si fa? Buttiamo nel cesso la possibilità di stabilire un dialogo con questi signori, perché sono dei fetenti, degli assassini, degli assatanati, o proviamo a vedere se può uscirne qualcosa di buono?
Stavamo parlando di fattibilità, ricordate? Con questa visita, il tentativo di instaurare un colloquio diventa FATTIBILE.
Dialogo, o guerra? O, se non proprio guerra, tensioni, atti di terrorismo, e l’ulteriore rafforzamento di un regime che, isolato, può continuare a fare ciò che vuole alle sue popolazioni, fregandosene dell’opinione degli altri paesi? Diavolo, anche un affare da diciassette miliardi potrebbe essere un argomento valido per indurre un regime ad essere più socievole e maggiormente sensibile ai giudizi esterni!
E se vuoi avviare un dialogo con qualcuno che viene a trovarti a casa tua, non fai l’intransigente, ma cerchi di essere conciliante, gentile, ospitale. Le discussioni e le recriminazioni in altre sedi, più opportune.
Gentili con un criminale? Ma ce lo siamo dimenticato il Nobel per la pace del 1994, a Peres, Rabin e Arafat? Di questi tre, non so chi avrebbe meritato di essere impiccato per primo, per i crimini commessi… ma se finalmente decidono di muoversi nel verso giusto, che si fa, li si manda a quel paese perché sono delle persone indegne? Beh, non è questo che ha deciso allora la comunità internazionale, e, pur se schifato, io sono d’accordo con questa scelta.
Il mondo è ben lontano dall’essere perfetto.
Se, quindi, decidiamo di essere concilianti, con la speranza di instaurare rapporti di tipo non conflittuale, che, magari, potrebbero anche “infettare” positivamente le istituzioni sociali di quel paese, tappiamoci il naso, e comportiamoci civilmente, educatamente, addirittura cordialmente. Ed evitiamo qualsiasi situazione che potrebbe imbarazzare, o persino offendere, il nostro ospite (magari, più in là, potremo anche pensare di andare assieme a vedere un film di Tinto Brass – pure quella viene definita arte, vero?). Anche se poi il mondo intero ride di noi. Lo fa già per tanti altri motivi, e questa, almeno, mi sembra una causa giusta.
Per quello che riguarda la questione delle adozioni gay, ho ricevuto un commento a proposito di un aspetto che non avevo considerato, sulla possibilità che un bambino con due genitori dello stesso sesso potesse essere destinato, inevitabilmente, a scuola o in strada, al ruolo di vittima di sfottò, torture, quando non di atti di vero bullismo.
La nostra società non è ancora preparata a questo genere di situazioni. Magari, potrà essere anche giusto che si adatti. Ma in attesa che questo avvenga, vogliamo trasferire anche su incolpevoli bambini quello che oggi è il dramma dei loro aspiranti genitori adottivi? Forse fra dieci, venti, cento anni l’omosessualità non sarà più vista come un’aberrazione, o una malattia come la vedo io. Vogliamo aspettare che prima si diffonda questa idea nuova, e poi andare oltre? O ce ne sbattiamo di tutto e tutti, e vogliamo comunque avere un figlio che, nella nostra attuale società, sarà condannato a molestie di ogni genere prima ancora che abbia un’età adeguata per poter capire? Cosa vogliamo tutelare, ed a spese di chi, il sacrosanto desiderio di una persona di avere un figlio che non può generare, o il diritto di un bambino di crescere in un ambiente che nell’ottica attuale viene definita “normale”?
Un altro lettore, inoltre, pur con molta educazione e garbo, si è detto offeso dal mio scritto, e sono ancora in attesa di sapere il perché. Evidentemente, devo aver sbagliato qualcosa. E se sono stato solo frainteso, come è mia convinzione, mi rimane comunque la colpa di non essere stato sufficientemente chiaro nell’esporre le mie idee.
Per questo motivo, anche in questa sede, desidero rinnovare la mia richiesta di scuse sia al lettore che ha esternato tale sentimento, sia a chiunque altro io possa aver inconsapevolmente offeso.
Il senso di quello scritto era solo la richiesta di adottare una soluzione coerente e sensata, e non frutto di compromesso atto a raccogliere in cabina qualche voto in più.
L’adozione di un bambino da parte di una coppia gay è accettabile o no? È compatibile con le naturali, inevitabili esigenze di un bambino?
Io non pretendo di rispondere ad una domanda del genere, anche se, ovviamente, ho le mie idee. Mi aspetto che lo faccia chi è stato delegato a questo compito. E che lo faccia secondo logica: se non esistono problemi, si conceda questa possibilità a tutte le coppie che lo richiedano; se invece si ritiene che esistano gravi controindicazioni, lo si impedisca a tutti, anche a chi possa “vantare” una genitura naturale, o magari se la possa procurare con un utero a noleggio.
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