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Non si debba più vendicare il profeta

Torno su un argomento che avevo già trattato poco più di un paio d’anni fa, nell’articolo “Scherza coi fanti…”, a proposito di vignette satiriche su Maometto. Allora le definivo “stronzate” di “idioti irresponsabili” ed “incoscienti affaristi”.
Oggi, alcuni di questi signori sono morti. Assassinati, proprio per quel motivo. E, per questo, definiti “eroi” da Hollande.
Mi dispiace, ovviamente. Davanti alla morte, si alzano le mani, e molte considerazioni passano in secondo piano. Ma ancora una volta pare che una voce si alzi unanime, invocando il diritto alla libertà di stampa e di espressione, e condannando l’efferata violenza compiuta. E per questo sento l’esigenza di tornare sul tema.
Sulla condanna per le uccisioni c’è poco da fare, non credo si possa dissentire.
Quello su cui dissento è il criminale, irresponsabile e folle coro di invocazioni della libertà di satira, su cui ricordo si era espresso persino il presidente Obama, e su cui oggi sembrano concordare tutti.
Non intendo qui proporre alcuna forma di censura su questa piacevole espressione dell’umano intelletto. La snaturerebbe. Ma vorrei fare un paio di precisazioni sul concetto di “libertà”.
Non è farina del mio sacco: la libertà, per essere tale, deve comunque sottostare ad alcune regole. Altrimenti, è anarchia, caos. E la prima regola mi pare sia quella di non ledere, in alcun modo, la libertà altrui. Leggi  scritte e non, in un paese libero e democratico, proibiscono anche di ledere integrità fisiche e/o materiali del prossimo, per cui anche in un regime di libertà mi è proibito spezzare le gambe al mio insopportabile vicino di casa, o impadronirmi del suo portafogli.
Conclusione: libertà non significa poter fare tutto quello che si vuole.
Libertà di espressione, o, in questo caso, di satira, non significa poter scherzare come meglio si crede su qualsiasi argomento. E questo non vuol dire censura, ma regolamentazione. O, più precisamente, autoregolamentazione, perché, come detto prima, imporre dei limiti alla satira equivarrebbe ad ucciderla.
Ma limiti devono esserci, e devono essere imposti non dall’esterno (leggi “istituzioni”, se non addirittura dal “potere”), o dalle minacce, dalla paura, ma dalla sensibilità e dal senso di responsabilità di chi la pratica.
Non credo di sostenere alcunché di eretico, con questo, né di contraddirmi. Anche perché il principio che sto enunciando viene tipicamente applicato, anche se, forse, inconsapevolmente, in tantissimi casi. In maniera del tutto naturale.
L’Italia, proprio in queste ore, sta piangendo la scomparsa di uno dei sui musicisti più amati ed apprezzati, Pino Daniele. Poco tempo fa, ha pianto una scomparsa simile, quella di Mango. Qualcuno ha notizia di qualche vignetta, caricatura, parodia o satira in proposito? Immagino di no.
PERCHÉ NON SI SCHERZA SU QUESTE COSE.
Non credo di avere mai visto o letto qualche battuta sulla cecità di Andrea Bocelli o di Ray Charles. O sulla menomazione di Giusy Versace, o sulle condizioni fisiche di Stephen Hawking. O sulla morte del piccolo Cocò a Cassano, di Loris, di Yara…
NON SI SCHERZA SU QUESTE COSE.
In base a quale legge o norma?
Buonsenso. Sensibilità. Rispetto. Posso continuare con altri sostantivi simili. Tutti concordi nell’affermare che se non si scherza su questo non è per paura, o per imposizione. Non ci si scherza sopra perché proprio non viene la voglia di farlo, né di leggerlo o assistervi.
In questo contesto trovo persino irritante la delicatezza usata verso alcuni tipi di infermità o professioni, per cui un sordo viene definito “non udente”, un cieco “non vedente”, un disabile “diversamente abile”. Perché, secondo qualcuno, le parole sordo, cieco, disabile devono avere per forza un significato offensivo. Come la parola “spazzino”, che va sostituita con “operatore ecologico”. Io trovo queste manifestazioni di bon ton semplicemente ipocrite, ma sono universalmente accettate e sono tenuto ad adeguarmi. E chi non lo fa, come la Mariella Venditti del TG3 suscita antipatia (a me no, io l’apprezzo molto per questo).
NON SI SCHERZA SU QUESTE COSE.
Perché dobbiamo sentirci autorizzati a scherzare liberamente sulla fede di gente che ha dimostrato di vivere la propria religiosità in un modo che a noi occidentali è totalmente sconosciuto?
Non sto dicendo di smettere di scherzare su certi argomenti per paura. Di incidenti, ritorsioni, attentati. Assassini. Non lo dico, ma penso che, per una persona responsabile e ragionevole, dovrebbe essere sufficiente. Sapendo a cosa è possibile andare incontro, sarebbe plausibile evitarlo già solo per questo. Fregarsene, è paragonabile ad accendere dei fuochi d’artificio in casa, magari davanti a dei bambini, infischiandosene della loro pericolosità, perché sono comunque uno spettacolo bello e divertente a cui assistere. Per cui sarebbero degli illiberali oscurantisti tutti quei sindaci che li hanno proibiti in occasione delle ultime feste.
Ma io non parlo di paura, che potrebbe essere definita da qualcuno che non la pensa come me come una resa ad una prevaricazione (purtroppo, la storia e la cronaca insegnano che ce n’è un sacco di questo parere).
Io parlo di rispetto. Verso una fede religiosa, e verso la libertà ed il diritto di viverla come si crede.
Non si rispettano gli islamici chiedendo di togliere il crocefisso dalle scuole. Così, semmai, si calpesta il diritto di altri fedeli di dotarsi di un simbolo cui sono attaccati.  Gli islamici, ed in generale quelli che professano altre religioni, si rispettano rispettando il loro dio, e rispettando il loro modo di vivere e praticare il proprio credo.
Io non sono credente, anche se non riesco a professarmi ateo. In entrambi i casi, è questione di fede, ed io non ho questo dono. Eppure, probabilmente per effetto di quello che si è cercato di inculcarmi in passato, avverto un forte fastidio quando sento pronunciare una bestemmia (bestemmia che, se non sbaglio, sarebbe addirittura perseguibile secondo le leggi italiane). E, tecnicamente, sarebbero bestemmie anche la presa in giro, con battute o vignette, di santi, madonne e così via.
Bene, come può sentirsi uno che consacra la propria esistenza ad una divinità in cui crede ciecamente, vederla bestemmiata apertamente mediante pubblicazione e diffusione di vignette, barzellette o altro?
Come ti sentiresti tu, lettore, se, in nome della libertà di espressione,  qualcuno si divertisse, e su questo ci guadagnasse anche sopra, a sostenere pubblicamente che tua madre è (o, peggio, era) una puttana?
Magari, non arriveresti a sgozzarlo, o a sparargli con un kalashnikov. Ma, potendo, non gradiresti offrirgli almeno una robusta e consistente rottura di ossa?
Nel pieno rispetto della libertà di opinione, ovviamente.
Il vero problema, quindi, non è tale libertà. Il vero problema è capire quali argomenti sono meritevoli di essere colpiti dalla satira, e quali no.
Per una semplice questione di educazione e rispetto.
 
 

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