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Matteo E Lo Scemo Del Paese (2/3)(Ovvero: Serve Benzina!)

Lo scemo dice: serve benzina.
Per far camminare una macchina, serve combustibile. Corrente, se la macchina è elettrica. Vento, se è un veicolo a vela. Buone gambe, se è un velocipede. Tutto il resto può migliorare la sicurezza, le prestazioni, l’efficienza. Ma per farla funzionare, andare avanti, serve il carburante.
L’Italia, che tipo di macchina è?
“… è una repubblica fondata sul lavoro”, recita il primo articolo della costituzione. Qualche tempo fa, l’onorevole Brunetta aveva proposto di riscriverlo, sostituendo il  termine “mercato” alla parola “lavoro”. Una proposta obbrobriosa, offensiva, squallida, e perfettamente sensata, perché la realtà è questa: il lavoro c’è se c’è mercato, a meno di non voler credere che una nazione possa andare avanti con attività di tipo hobbistico.
E qual è il carburante di una macchina tipo “mercato”?
I soldi.
Soldi. Che circolano. Che vengono spesi. Che escono da un portafogli e finiscono in una cassa. Che forniscono il motivo per produrre qualcosa, i fondi per farlo, e quindi la necessità di impiegare manodopera.
Riforme, investimenti, semplificazioni, legalità… sono tutti termini per esperti, con certamente la loro utilità, ma come accessori, come i sedili, lo sterzo, l’aria condizionata e lo stereo. Come l’intercooler.
Lo scemo ragiona in termini molto più elementari. Se ho i soldi per comprare qualcosa che mi serve, o semplicemente mi piace, la compro. Se no, non la compro. Punto.
Scoraggiante, nella sua banalità, vero?
Ma, nonostante sia un ragionamento da scemi, sono convinto che descriva perfettamente il meccanismo di cui stiamo parlando.
Il mercato, quello che nell’attuale sistema genera lavoro (nessuno qui vuole fare il comunista, vero?), si basa sullo scambio di merci e servizi. E poiché il baratto è uscito di moda da un pezzo, il processo, per funzionare, usa un misuratore di valore: il denaro. Se cedi un prodotto, in pratica, ricevi in cambio non un bene di valore corrispondente, ma un “titolo” rappresentante tale valore che ti permetterà di “acquistare” quel bene in un secondo tempo, cedendo detto titolo a qualcun altro che lo userà nello stesso modo con un altro fornitore, e così via. Beh, almeno, dovrebbe funzionare così. Funzionava così, prima dell’invenzione della finanza. Secondo questa, il denaro può essere usato come gli zecchini di Pinocchio: li pianti nel campo dei miracoli… ehm, volevo dire Wall Street (o similari), e aspetti che domani cresca un albero con tanti bei soldini appesi ai rami. Il bello (?) è che oggi mezzo mondo la pensa così, e una grossa fetta delle risorse monetarie viene seppellito in questo modo, a quasi totale ed esclusivo vantaggio di broker e banchieri dai compensi da favola.
Nonostante l’attuale crisi sia nata proprio dal malfunzionamento di questo meccanismo!
Ma torniamo a bomba.
Il mercato, quindi, dicevo, si basa sullo scambio fra beni e titoli (denaro), da parte di offerenti ed acquirenti. Ora, supponiamo che oggi ci siano disponibili, in offerta, beni per un valore di mille titoli. Sembra ovvio che, se da parte degli acquirenti c’è una disponibilità di almeno mille titoli, esiste la possibilità che i beni offerti vengano piazzati tutti. In questa ipotesi, gli offerenti faranno in modo di produrne altri. Chissà, magari anche qualcuno in più, se la previsione di poterli smerciare risulta abbastanza realistica. In ogni caso, finché venderò per mille, produrrò ancora almeno altro mille. Per ottenere ciò dovrò fare nuovi investimenti, e dare la possibilità a qualcuno di lavorare per realizzare quanto programmato. Mantenendo un preesistente rapporto lavorativo, e magari facendo ulteriori investimenti, ed assumendo altre persone, se si pensa di aumentare la produzione, dando per verosimile la prospettiva di piazzare la merce prodotta in quantità maggiori.
E questo vuol dire che gli investimenti si fanno, ed il lavoro si crea, se si riesce a vendere, non se si riesce a licenziare. Così come fare investimenti, e creare lavoro, senza un mercato capace di assorbire quanto prodotto, non è semplice utopia, è follia!
Al contrario, supponiamo (e magari si trattasse solo di una supposizione) che quei mille titoli non siano nella disponibilità dei potenziali acquirenti. È abbastanza ovvio prevedere che, in questa circostanza, solo parte del prodotto riuscirà ad essere piazzato, a prescindere dalla volontà e dalle necessità di chi dovrebbe acquistare. Diamo qualche numero per esempio. Diciamo, resta invenduta una quantità di prodotto corrispondente a cento titoli. Se l’offerente vede che è riuscito a piazzare merce per novecento, eviterà di offrire nuovamente una quantità corrispondente a mille. Offrirà, al massimo, novecento. E poiché cento li ha già in giacenza, produrrà per ottocento. Per produrre ottocento, avrà la necessità di investire meno che per produrre mille, e avrà bisogno di manodopera minore. Altro che assumere, quindi! Piuttosto, licenziare. Magari, senza i vincoli dell’art.18. Il guaio è, però, che il lavoratore che produce quel bene, tipicamente, fa parte anche della categoria dei potenziali acquirenti di quello e di altri beni. Categoria che, perdendo reddito, perde anche disponibilità, e quindi capacità di acquistare. Così in giro ci saranno meno dei novecento titoli del giorno precedente. Di conseguenza, anche dopo aver ridotto la produzione, altri beni resteranno invenduti. Il che richiederà un’ulteriore riduzione della produzione, quindi di investimenti e di lavoro. Una reazione a catena che anche lo scemo del paese è capace di indovinare a cosa porterà.
Qualche lettore obietterà che questa lezione, fra l’altro, forse, anche un po’ confusa, me la potevo risparmiare. Sappiamo tutti come funziona il mercato.
Già, tutti.
Tranne l’Europa, il presidente del Consiglio, il presidente di Confindustria, i sindacati, ministri, sottosegretari, segretari di partito... Neppure Draghi sembra tanto ragguagliato sulla questione. Tutti meccanici super-esperti e super-informati. Nessuno capace di dire che serve benzina per far andare avanti la macchina, tutti a caccia di soluzioni fantasiose destinate a non risolvere niente. Tutti a spacciare per causa i possibili effetti. Maggiori investimenti e maggiori assunzioni possono essere l’effetto della ripresa, non la causa. Investire di più, assumere altra gente, e produrre beni che il mercato non è in grado di assorbire non è soluzione, è suicidio.
Serve benzina.
Servono soldi. Da trovare da qualche parte, e rendere disponibili sul mercato, lato acquirenti.
Altri tipi di intervento sono inutili, alcuni persino dannosi.
Bisogna riempire il serbatoio.
Già.
Ma come?
Stamparne a volontà e buttarli per strada? Impossibile, diventerebbero carta straccia, azzerando anche il valore di quelli buoni. .
Quindi?
Secondo lo scemo del paese (che in questo momento sarei io, ma dubito di essere il solo a pensarla così), la risposta consiste nel ridistribuire in maniera più equa, più giusta, e più efficiente, la ricchezza disponibile. Pare che oggi, in Italia, il dieci per cento della popolazione possegga quanto posseduto dal restante novanta. Questo significa che il cinquanta per cento delle ricchezze disponibili deve servire, oltre a foraggiare uno Stato sempre più ingordo, costoso ed inefficiente, a far marciare l’economia per circa sessanta milioni di persone, mentre l’altro cinquanta per cento può soltanto far ingrassare le banche (preferibilmente estere). Perché uno che percepisce stipendi milionari difficilmente riesce a spendere tutto quello che incassa (in questo caso, sarebbe un benemerito contribuente nel funzionamento della “macchina mercato”), e per forza di cose deve rivolgersi a qualche istituto di credito che gli tenga al caldo i suoi beneamati eurucci. O pensiamo di conservare un po’ di milioncini sotto il mattone o nel materasso?
Ora, ci sono persone che quei milioni, persino quei miliardi, se li guadagnano producendo e piazzando beni per quegli importi. Possiamo parlare di Bill Gates, Mark Zuckerberg, Julia Roberts, Bruce Springsteen, Stephen King, Silvio Berlusconi (perdonatemi, ma è il primo nome italiano che mi viene in mente), Giorgio Armani, Zucchero… Tutta gente che vive di mercato, e che sottostà alle sue regole. Che, quando va bene, possono renderti miliardario, ma se va storto ti portano a dormire sotto i ponti. In un sistema comunista (ben funzionante) le cose potrebbero andare un po’ meglio, a mio (dello scemo del paese) modesto avviso, ma credo che di comunismo, oggi, si voglia parlare solo nelle favole per bambini, assieme ad orchi, streghe ed uomini neri.
In casi del genere, non c’è alcuna possibilità di intervenire. Né, dopotutto, alcun motivo. Al limite, potrebbe essere giusto tassare in maniera congrua redditi sfacciatamente stellari, perché non è moralmente giusto che una famiglia debba campare con ottocento euro al mese, e qualcuno abbia la fortuna, oltre alle capacità, di guadagnare quella cifra in un paio d’ore. Capacità derivanti a loro volta da una fortuna che non tutti hanno avuto: anche io sto cercando da una vita di fare lo scrittore, ma nonostante i miei sforzi non sarò mai uno Stephen King, perché non ho il suo talento. E poiché non mi risulta che King abbia seguito corsi di scrittura particolari, ai quali altrimenti correrei subito ad iscrivermi, a qualunque costo, l’unica spiegazione che mi viene in mente è che lui, alla nascita, abbia avuto un culo che a me è mancato, venendo al mondo dotato di quel dono. Ma qui si innesca un discorso, quello delle tasse, che al momento è meglio evitare. Non mettiamo troppa carne sul fuoco.
Ah, una breve nota che c’entra poco o niente con l’argomento... o forse è perfettamente in tema? Nell’elenco di milionari di cui sopra, ho volutamente evitato di mettere il nome di un calciatore, a mio avviso una stortura mondiale offensiva della miseria… al pari dei compensi di personaggi come Marchionne o Montezemolo, come tanti altri manager di lusso strapagati in maniera inverosimile comunque vadano le cose (non mi risulta che il presidente della Volkswagen prenda più del celeberrimo pulloverato).
Attenti, però, anche in un sistema capitalistico, quello fondato sul mercato, la regola funzionante è: tu produci un bene che vale cento, e dalla sua cessione incassi cento. Non puoi incassare cento, e produrre zero. Non puoi incassare mille, e causare perdite per centomila. E poi sarebbe assurda la mia storiella!
Questa regola è applicata rigorosamente nel caso di nomi come quelli che ho fatto prima (dei quali, come canta Morandi, solo uno su mille ce la fa), mentre è elusa anche troppo spesso nel caso di individui che non producono direttamente qualcosa, ma che a vario titolo gestiscono e guidano le aziende che lo fanno, di cui non sono proprietari, ma semplici impiegati (di lusso). Perlopiù nel settore pubblico, ma talvolta anche in quello privato. E questo non può che portare al fallimento del sistema. Credo ne sappiamo qualcosa, vero?
Ora, il problema grosso, quello vero, quello che blocca la soluzione della crisi, impedendo alla macchina di tornare a muoversi, è che una ragguardevole fetta dei soldi che servono sono reperibili principalmente da una fonte: le tasche dei meccanici incaricati di rimettere in moto la macchina Italia.
Sfido che propongono solo di intervenire su valvole, punterie e carburatori!
Dalla tua tasca, Matteo. Da quella del presidente Giorgio Napolitano. Da quelle di manager superpagati e superpremiati a prescindere dai risultati delle loro gestioni, che tu e i tuoi colleghi politici scegliete fra i vostri amici e piazzate alla guida di strutture che potrebbero produrre ricchezza e invece causano (all’intera comunità) perdite per cifre astronomiche, o di enti che servono esclusivamente a sperperare denaro pubblico… e lì il lavoro viene svolto in maniera più che egregia. Dalle tasche di parlamentari, consiglieri, sindacalisti, pagati mille volte più di quello che riescono a produrre. Pagati e strapagati anche quando provocano danni, sperperi e perdite evidenti persino agli occhi dello scemo del paese… ma invisibili agli occhi dei dottoroni che hanno in mano le sorti del Paese.
Hollande, in Francia, appena insediatosi, ha ridotto del 30% lo stipendio suo e dei suoi ministri (che già prendevano meno di un semplice parlamentare italiano, pur guidando un paese ben più grande dell’Italia). Certo, come gesto può essere considerato poco più che simbolico, ma un provvedimento del genere in Italia avrebbe se non altro offerto alla classe politica un po’ di credibilità agli occhi di una popolazione messa in ginocchio da tagli, tasse e sacrifici vari, e costretta ad assistere invece allo spettacolo di un parlamento che non solo non si riduce di un centesimo compensi e privilegi, ma pare arrivi addirittura ad aumentare lo stipendio del capo dello stato… che, giustamente, si mette in allarme quando ti metti a farneticare di tagli alla politica.
Già, credibilità.
In cambio di bei soldoni.
Ma siamo ammattiti?
Tanto, a chi altri devono votare?
Specie ora che s’è bruciato pure Grillo!
(continua)
 

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