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L'enigma del colabrodo.

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Domanda: come si fa ad avere un colabrodo pieno d’acqua?
Risposta: beh, facile, basta versarcela dentro.
No?
Come? Sono un idiota?
Può essere. Ma non aspettatevi che lo ammetta.
 
Faccio semmai un’altra domanda: se degli idioti (o forse no, ma che si comportano da idioti, magari per mascherare qualcos’altro) vengono eletti in parlamento, e a guidare un paese, le persone che li hanno votati come stanno a capacità cerebrali? E… a proposito… voi andate a votare, di solito?
 
Lo ammetto, l’inizio di questo scritto non è molto garbato. Ma pecca di eleganza il problema che intende affrontare, così l’incipit non può non risentirne.
 
Facciamo pace, e torniamo al colabrodo. Così, non sarebbe intelligente la mia soluzione, quella di versarci acqua dentro.
E in effetti non lo è.
Potrei, volendo, peggiorare le cose suggerendo che, se di acqua se ne versa tantissima e abbastanza velocemente, il colabrodo si riempie. E questo è vero. Ma poiché la domanda chiedeva di avere un colabrodo pieno, e non di riuscire in qualche modo a riempirlo, presumibilmente per breve tempo, anche stavolta la risposta è sbagliata. E dannosa, perché fa sprecare tanta acqua per nulla. A meno di non stare continuamente (come purtroppo si è fatto e continua a farsi… ma sto per arrivarci) a versare altro liquido compensando quello che continua a perdersi attraverso i fori, cosa impraticabile perché, di acqua, non ce n’è una quantità infinita.
 
Suppongo, ora, che il mio lettore ne abbia abbastanza di questo insulso discorso su acqua e colabrodo, e stia per cercarsi qualcos’altro da leggere, così smetto subito con l’allegoria e passo alla questione vera.
 
La nostra economia fa acqua da tutte le parti. Come un vero colabrodo, perde un’enormità di liquidi (intendo, stavolta, moneta sonante) in sprechi assurdi che sono sotto gli occhi di tutti. I nostri, occhi, e quelli dei governanti che abbiamo eletto (parlo in prima persona plurale per una questione stilistica. In realtà, non voto da vent’anni, e dubito che possa tornare a farlo in tempi brevi), che però fingono di non vedere. E per mantenere tali sprechi continuiamo a indebitarci fino all’inverosimile. Così il presidente del consiglio farnetica di riforme, investimenti e garanzie (già, lui le chiama così), Squinzi lo appoggia, contento di avere finalmente mano libera nei licenziamenti, Draghi, e adesso quello Juncker, promettono o mettono in campo immense quantità di acqua… pardon, soldi, tutti concentrati nello sforzo di riempire, e tener pieno, un colabrodo versandoci continuamente dentro altro liquido…
 
E poi l’idiota sarei io.
 
Riprendendo un concetto che ho già esposto in un mio recente scritto (http://blog54.altervista.org/matteo-e-lo-scemo-del-paese-ovvero-serve-be...), in un sistema economico che funzioni ad ogni bene prodotto e immesso sul mercato deve corrispondere un costo monetario proporzionale al valore intrinseco nel bene stesso. Non puoi mettere in vendita un uovo a mille euro, perché in questo caso l’uovo rimane invenduto, né una Maserati al prezzo di un euro perché, dalla sua vendita, non ricaveresti abbastanza per costruirne e offrirne altre.
Discorso analogo per le prestazioni lavorative, o servizi: se con la tua opera produci cento, e vieni pagato, più o meno, cento, è possibile che la tua attività possa continuare per un tempo indeterminato. Se il resto del sistema funziona allo stesso modo, perlomeno. Se vieni pagato per mille, e produci zero, o addirittura provochi perdite, quel “mille” è perso, volatilizzato (tipicamente in qualche banca svizzera), e sottratto al mercato. Mercato che, venendo a mancare di fondi, perde capacità di acquisto. Questo spinge verso una diminuzione della produzione, e quindi verso un aumento della disoccupazione, perché, se una cosa non deve essere più prodotta, la tua opera non serve. Né per produrla, né per venderla.
 
Ora, sappiamo benissimo che il mercato Italia ha una continua emorragia di fondi, sprecati in spese folli e ingiustificate, come un immenso parco macchine (blu), stipendi favolosi a politici, manager o anche semplici impiegati (famoso il caso del barbiere di Montecitorio) che non producono un millesimo di quello che percepiscono, finanziamenti ad enti assolutamente inutili, e a risanare pagando con denaro pubblico le perdite astronomiche prodotte da dirigenti e amministratori incapaci (nella migliore delle ipotesi) che si godono comunque super-buonuscite e super-vitalizi senza pagare un centesimo dei danni che hanno prodotto (fanno scuola i casi Alitalia e, più recentemente, Roma), e spesso passando a rovinare altre strutture con sorprendenti, incomprensibili, assurde nuove nomine… o rielezioni. E sto parlando solo di fatti alla luce del sole. Se a questo aggiungiamo le perdite dovute alla corruzione… anche se mi chiedo: gli sperperi che ho elencato, quelli “alla luce del sole”… potrebbero o no essere incorporati anch’essi nella voce corruzione? Io un’idea, in proposito, l’avrei. Comunque sia, con tutta questa miriade di buchi, come si fa a pretendere che il contenitore sia, e rimanga, pieno?
Versando sempre altra acqua? Continuando a indebitarci vendendo titoli che di soli interessi ci costano quanto paghiamo di IRPEF ogni anno, tant’è che ogni servizio (trasporti, sanità, istruzione, spazzatura…) lo dobbiamo pagare a parte, ed in modo sempre più salato?
 
Esiste anche il problema evasione. Delle tasse intendo, ovviamente. Che a queste condizioni diventa, a mio avviso, un atto di legittima difesa per chi può permettersi di praticarla. Cosa che, purtroppo, non mi è concessa essendo io un lavoratore dipendente. Non considero lodevole lo sforzo dichiarato da Renzi nel cercare di stanare e punire questi “furbi”, che a suo modo di vedere non dovranno più esistere. Beh, anche a mio modo di vedere, in realtà. Ma non prima di aver sistemato tutte le perdite di cui ho parlato prima. Perché se è giusto, persino bello, come sosteneva la buonanima di Padoa-Schioppa, pagare le tasse per avere i servizi di cui una società civile non può fare a meno (ma, appunto, pagarle per questo, non per altro), non è giusto che i soldi che ho guadagnato con il sudore della mia fronte vengano sperperati nell’elargire, per esempio, un signor stipendio ad un Razzi, che per sua stessa ammissione di sudore non ne versa una goccia, e non produce la minima frazione di quanto riscuote, o la buonuscita di un manager che ha portato Alitalia al fallimento e lo stipendio dello stesso che, immagino, sarà poi stato messo a gestire e rovinare qualche altro ente. Come non è giusto che, per cieca disposizione di santa Fornero da Torino, io debba aspettare altri sette anni per poter andare in pensione (quando ormai stavo contando i giorni che mancavano a quell’agognato traguardo – avevo già adocchiato una panchina nel parco che è un vero bijou), per consentire, sempre per esempio, allo stato di versare lauti vitalizi a Frigerio, Pillitteri, De Michelis, Dell’Utri, il mitico De Lorenzo, e all’INPS di pagare ogni mese le cifre che corrisponde a gente come Bonanni ed Epifani. Già era una stortura che questi ultimi fossero arrivati a percepire uno stipendio spropositato, frutto di aumenti (moltiplicazioni!) salariali inconcepibili nel giro pochi anni (mentre il mio, anche con il loro consenso, è bloccato da quattro anni, e si vocifera che verrà bloccato per altri sei) da due strutture che avrebbero dovuto proteggere i miei interessi, e non i loro, ma immagino che quelle retribuzioni fossero pagate da quei fessacchiotti di iscritti CISL e CGIL, per cui non ho motivo di muovere alcun appunto su questo. Contenti loro! Solo che queste regalie, una volta che detti signori sono passati a miglior vita (intendo quella da pensionati), si sono trasformati in importi che devo pagare io, di tasca mia, e con pesanti sacrifici, e la cosa mi provoca una leggera irritazione.
 
E, con tutto questo, c’è gente che dà la colpa della nostra situazione economica all’euro, e alla Merkel. Da non credere!
 
Bene, torniamo alla domanda originale: come si fa ad avere un colabrodo pieno d’acqua?
Risposta: beh, facile, basta versarcela dentro.
 
Dopo aver tappato tutti i buchi.
 
 

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