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Adozioni gay – appendice 2

Torno ancora, e spero per l’ultima volta, sul tema dell’omosessualità, in quanto il lettore del mio precedente scritto “Unioni civili e adozioni“ che si era detto offeso da quanto avevo scritto mi ha informato, su mia esplicita richiesta, su quale fosse stato il motivo di questo risentimento.  Poiché qualche centinaio di caratteri disponibili per la risposta sul sito in cui è avvenuto lo scambio di opinioni sono decisamente pochi, pubblico questo nuovo scritto.
Testualmente, “chiamare l'omosessualità una ‘malattia mentale’ è una delle più grandi offese che si possono fare a persone di questo tipo (perché alla fine è solo un tipo di persone, e niente di più)”. Con una conclusione: “Fidati che prima o poi si arriverà all'uguaglianza e agli stessi diritti. E' una cosa inevitabile”.
La mia prima reazione a questa osservazione è stata “ma chi me l’ha fatta fare ad imbarcarmi in un discorso simile?” Dell’argomento conosco poco o niente; sono, come ho già detto, leggermente omofobo, anche se non mi sognerei mai di negare il mio rispetto a quel “tipo di persona” solo perché è fatto così; e discutere di queste cose, per uno che la pensa come me, porta inevitabilmente ad opporre un qualche rifiuto a qualcuno, cosa che non è mai piacevole, né per chi lo riceve, né per chi lo fa.
Mi fa male sapere di aver offeso qualcuno, anche se involontariamente, e vorrei riparare. Intanto chiedendo scusa. Poi, spiegando perché mi sono preso la libertà di esprimermi in quel modo, sperando di non peggiorare le cose. Volendo, anche ritirando ciò che ho detto, ma sarebbe ipocrita, e comunque non risolverebbe il problema.
Nello scrivere quella frase, avevo cercato di evitare alla definizione qualsiasi significato offensivo, ma evidentemente non è bastato.
Chiaramente, in un’epoca in cui si è tenuti a chiamare “non vedenti” i ciechi, “non udenti” i sordi, e così via, dare del “malato” a qualcuno può risultare offensivo. Se ho sbagliato, è perché considero quella regola idiota, falsa, ed estremamente lesiva. Chi l’ha stabilita ha dato, così facendo, alla parola cieco, o sordo, un significato oltraggioso, e per questo da evitare. Ma uno che non ci vede, comunque lo chiami, sa benissimo di essere cieco. E, pertanto, in base a quella stupida regola, sarebbe tenuto a sentirsi una merda. A tale proposito, ammiro la giornalista del TG3 Mariella Venditti, che, con coraggio, infrange sistematicamente quella legge, e chiama tranquillamente “sorde” le persone che non ci sentono. Essere ciechi, o sordi,  non può e non deve essere considerato qualcosa di infamante. Io sono miope, ho la necessità di usare gli occhiali dall’età di quindici anni, e questa condizione mi impedisce di svolgere alcune attività, o me le complica, come, per esempio, semplicemente giocare a calcio o fare un bagno a mare; ma se qualcuno si azzardasse a chiamarmi “moderatamente vedente” gli sputerei in un occhio.
Ognuno di noi è fatto come è fatto, e comunque esso sia fatto merita rispetto, e non deve vergognarsi di niente… a meno che non abbia altre ragioni per le quali vergognarsi sarebbe lecito (essere un pedofilo, un rapinatore, un assassino, un sindacalista…). Ed il fatto di avere un handicap non significa doversi sminuire. Tutti abbiamo delle minorazioni: c’è chi è troppo basso per giocare a pallacanestro, c’è chi è troppo stonato per fare il cantante, c’è chi è troppo brutto per fare il rubacuori, chi è troppo idiota per fare l’avvocato, chi è troppo onesto per fare il politico. Ma il fatto di essere negati per un certo tipo di attività non significa che non si possa riuscire bene, e con grande successo, in altre. Chi non conosce Stephen Hawking? Dire che la natura si sia accanita contro di lui mi sembra un eufemismo. Eppure è uno dei più grandi scienziati esistenti al mondo, e gode a buon diritto di un’immensa ammirazione da parte di noi poveri normodotati.
Facendo una ricerca su Google con la parola malattia, in evidenza trovo questa definizione: “Anormale condizione dell'organismo (animale o vegetale), causata da alterazioni organiche o funzionali”.
Ora, io avevo basato il mio parere su questa considerazione: un omosessuale, fisicamente, non ha alcun tipo di problema. Lo prova il fatto che alcuni di loro abbiano generato dei figli. Quel comportamento, quindi, ha origini di natura mentale. E se un cervello lavora in maniera non coerente con il corpo che lo ospita credo sia lecito parlare di “anormale condizione… causata da alterazioni… funzionali”.
Ho sostenuto, in pratica, che un omosessuale è una “persona che non sta bene”, e credo che questo sia inconfutabile. Non sta bene perché non può soddisfare alcuni bisogni, come il desiderio di maternità da parte di un uomo o di paternità da parte di una donna, e perché deve vivere in un ambiente che non riesce a capire le sue esigenze e gli nega alcuni diritti. Ambiente di cui mi dolgo di far parte. Ma ritengo che non sia l’ambiente a proibire a chi fisicamente è un uomo di essere madre. E, torno a ripetere, questa situazione di malessere è di origine mentale, e non fisica.  A meno che non vogliamo stravolgere il concetto e dire che la mente è a posto mentre è il fisico ad essere sbagliato. Possiamo anche sostenere che non è la Terra a muoversi nell’universo, ma è l’universo a spostarsi rispetto ad essa, basta considerare un punto di riferimento solidale con il nostro pianeta. Ma risolveremmo qualcosa?
Una situazione più offensiva, a mio parere, per quel “tipo di persone”, è quella della “checca” presente in molti film comici. Un personaggio messo lì per far ridere, e non perché faccia qualcosa di divertente, ma semplicemente perché suggerisce quello che è parlando e gesticolando come una donna (ed una donna oca, per giunta). Forse non sono informato io, ma non sono a conoscenza di alcuna rimostranza in proposito da parte delle comunità gay. A me dà fastidio, sia per la mia più volte confessata omofobia, sia perché, ritenendo quella condizione fonte di un intenso dramma, è come se l’autore del film pretendesse di farmi ridere mostrandomi un cieco che inciampa e cade per non aver visto un ostacolo.
“Sulle unioni civili e le adozioni, l'Italia è in forte ritardo, quindi la legge dovrà farsi, giacché non si possono negare diritti, se questi non ostacolano quelli degli altri.” Altro commento ricevuto.
Non sono d’accordo sulla prima parte, sull’Italia in ritardo. Perché il fatto che una determinata legge sia stata fatta altrove non significa che sia una legge giusta, e che quindi vada necessariamente replicata anche qui da noi. Sono d’accordo sul perché: “non si possono negare diritti, se questi non ostacolano quelli degli altri”. Appunto: che questi diritti non intacchino quelli degli altri. In questo caso, i bambini.
“Fidati che prima o poi si arriverà all'uguaglianza e agli stessi diritti. E' una cosa inevitabile”.
Probabile. In una società diversa, però, più aperta. In fondo, rivoluzioni nei nostri costumi ne abbiamo registrate. Ricordo che una volta si censurava un film per un bacio troppo lungo (cosa che avviene ancora oggi in India), ed ora in TV mettono il bollino verde a film con scene di sesso, perché è solo la violenza quella che può nuocere ad un bambino.
Io, ripeto, sono un parruccone retrogrado, un nostalgico, e queste cose non le capisco, ma non ho voce in capitolo e non ho altra scelta che accettare questo andazzo. Se gli omosessuali vivono un disagio per la scarsa apertura mentale della nostra società, io ne vivo un altro esattamente per il motivo opposto. Gli intellettuali che nei decenni passati hanno voluto questa liberalizzazione di costumi definivano “ipocrita” il perbenismo di allora. Bene, io sono per l’ipocrisia. È l’ipocrisia, alla fine, che consente la pacifica convivenza fra gente che spesso si detesta. Quanti di noi salutano cordialmente, magari anche con uno scambio di bacetti sulle guance, qualcuno che si desidererebbe come minimo prendere a calci in culo? Senza ipocrisia, staremmo ad accoltellarci ogni santo giorno. Leggetevi qualche post su Facebook, se non ci credete.
Quindi, se oggi un bambino che arriva a scuola accompagnato da un papà ed un mammo sarà vittima predestinata di ogni sorta di angheria, domani probabilmente non farà notizia, e sarà accettato come uno qualunque. E questo sarà un bene. Non dal mio punto di vista, magari, da stolto oscurantista, ma oggettivamente sarà una cosa positiva, se i nostri costumi evolveranno in quella direzione.
Ma… domani.
Oggi, temo di no.
Comunque sia, Vincenzo, ti chiedo nuovamente scusa. Non era mia intenzione offendere nessuno. Posso anche ritirare quella definizione, di “malattia mentale”, non è un termine al quale io sia particolarmente affezionato, anche se non vedo come possa migliorare la situazione. E potrebbe anche essere che il malato mentale sia io, visto che il mio cervello non riesce a considerare l’omosessualità come una condizione di normalità.
 

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