Pensavo che le mie parole potessero da te essere contenute, protette, come da una mano con il palmo in alto che si dischiude a culla,
credevo che il mio sentire ti giungesse, anche se sussurrato, forte, ma tu ne hai fatto un urlo, non era dolore il mio, il male che si travasa dalle pareti al centro e ti paralizza cuore muscoli e cervello, era piuttosto avvertire il suono della minuscola goccia, era accorgersi del vivo delle vene, era dare parola a ciò che parola non ha.
Si scava per gallerie buie non per amore di caverna ma per desiderio di luce, perché la luce si dà a chi affiora in superficie da cunicoli, è un capogiro l'azzurro, dolce ebbrezza solo se ci si arriva dall'ombra.
Così ti ho dato parole in quell'attimo esatto che precede la "rivelazione", mi sono fermata appena un passo prima, quello successivo avrebbe dovuto essere il tuo, il movimento che mancava per completare la danza. Ti sei fermato un momento prima anche tu, così irrigiditi dentro questa sospensione, non ci siamo capiti
Vedi, ho scritto rivelazione a lettere minuscole, per me è rivelazione anche un calzino rivoltato o un sorriso che si affacci timido di lato. Tu cerchi invece la RIVELAZIONE, tutta a lettere maiuscole, quella che può respirare solo dentro una chiesa o al cospetto di un Dio o di Madre Natura, al punto che mi suona estranea e adesso sono le mie mani ad essere troppo piccole, poco comprensive per poterti fare da culla. E ora sono io che non riesco ad afferrare, in questa luce calma che vai cercando, un senso.
Ci siamo traditi per questione di parole o di mani troppo povere per saper accogliere, ci siamo feriti di taglio, uno di quei solchi sottili, una di quelle incisioni così profonde ... io che non posso essere contenuta dal tuo sentire, tu che non puoi esserlo dal mio.
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