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La Velata

Dall'alto dell'ultimo piano del Golden Palace Hotel di Torino, la donna guardò la massa di gente sudata che parecchi metri più in basso si dimenava per le strade della città. Erano circa le 10,30 di un lunedì di inizio di luglio, faceva caldo, non c'era un filo di vento. Provò una sensazione di disgusto nell'osservare quello spettacolo, come se stesse guardando dentro a un bidone pieno di anguille. Le parve di sentire l'odore di quegli individui arrivare fino al vetro della finestra della sua suite e minacciare l'aria condizionata e sterile che inondava la stanza. Si ritrasse con un brivido.
Durò solo un istante, poi tornò a concentrarsi sulla siringa che aveva in mano e sulla boccetta di testosterone appoggiata al lavandino. Infilò l'ago nel contenitore di vetro e con un gesto rapido aspirò con tutto il liquido in cui era disciolto l'ormone, dopodiché la posò sul pianale in marmo del bagno.
Si slacciò la vestaglia e guardò allo specchio il suo corpo nudo.
Contemplò la pelle liscia, i seni duri e il ciuffo di peluria che le cresceva sotto l'ombelico.
Era bella? Sì, era bella, maledettamente bella. Si sentiva eccitata e impaziente.
Si impose di attendere ancora qualche minuto prima di dar sfogo alle sue voglie: voleva permettere al desiderio di raggiungere quel limite sottile che lo separa dal dolore.
Quello era il suo momento preferito, l'attimo in cui tutto stava per compiersi.
E questa volta c'era anche un altro aspetto a rendere tutto più eccitante: non si era mai abbandonata al piacere nella sua città, il rischio era troppo alto. Di solito preferiva approfittare dei suoi frequenti viaggi di lavoro nei luoghi più esotici del mondo.
Era stato durante uno di quegli spostamenti, parecchi anni prima, nel Sud-Est asiatico, che aveva scoperto la sua vocazione e aveva compreso come metterla in pratica nel modo migliore. Aveva conosciuto altre donne come lei, e da loro aveva imparato molto. Soprattutto aveva capito di essere una persona speciale: in qualche modo le sembrava di essere l'incarnazione di un leggenda che si raccontava nel quartiere in cui era nata. Era consapevole che fosse solo una sua fantasia: non era una donna sciocca né tanto mento superstiziosa. Anzi, aveva una vasta cultura scientifica e un ottimo impiego in una multinazionale finanziaria. Ma una fantasia di tanto in tanto non poteva fare male: rendeva la vita più interessante.
La storia era quella di Barbara Beloselkij, una principessa russa arrivata a Torino a seguito del marito e morta a soli 28 anni. Il suo sposo, pazzo di dolore, aveva fatto realizzare una statua in memoria della moglie: una scultura che la raffigurava avvolta in un velo che le conferiva una bellezza meravigliosa e tremenda. Forse proprio l'amore folle del marito non permise alla sua anima di andarsene in pace, condannandola a vagare per le strade accanto a San Pietro in Vincoli, il cimitero in cui era stata sepolta, in cerca di ragazzi da adescare con la sua bellezza sovrannaturale. Gli uomini se ne innamoravano al primo sguardo e lei li conduceva fino alla propria tomba per poi farli sparire nel nulla.
È l'amore che ci trascina nel buio: anche per lei era successa la stessa cosa. Suo padre l'aveva amata come nessun altro aveva mai fatto. L'aveva amata troppo, nelle tenebre della sua infanzia.
Mentre il profumo dei panni profumati raccolti accanto al lavandino raggiungeva le sue narici, pensò una volta di più di essere molto simile alla Velata: anche il suo destino era legato a quello di molti uomini mai diventati tali, se non per un breve istante. Uomini adulti e uomini bambini. Padri e figli confusi in un sogno mattutino.
Per questo era una persona speciale: aveva il potere di creare gli uomini o distruggerli, traendone piacere. Lei era esattamente come la sfortunata principessa.
Indugiò con lo sguardo ancora per un istante sulle sue forme morbide anche se lievemente segnate dagli anni. Poi si riallacciò la vestaglia. Sorrise e chiuse gli occhi, respirò profondamente.
Infine, quando si sentì pronta, prese la siringa, uscì dal bagno e si diresse verso il letto.
Anurak era completamente nudo e dormiva ancora grazie alla dose massiccia di clonazepam che gli aveva fatto assumere, disciolta in un succo di frutta.
Il sonnifero aveva agito rapidamente e con efficacia: effetto normale, soprattutto se somministrato a un bambino.
Quanti anni poteva avere Anurak?
Nove, dieci, non di più. Il tizio che glielo aveva portato non aveva detto niente, e lei non aveva voluto sapere altro che il nome. Anurak: comune, per chi proviene dalla zona di Bangkok.
C'era stata, da quelle parti, ricordava ancora la puzza di sudore e cipolla che regnava tra le strade.
Uno schifo.
Ma ricordava anche i nomi di tutti i bambini che aveva conosciuto nel corso degli anni: più o meno una ventina, complessivamente. Le facce invece le dimenticava subito dopo: per lei avevano tutti la stessa espressione innocente e niente di più. Questa volta però era successo qualcosa di diverso. Anurak l'aveva fatta sorridere: quando l'aveva vista così bella e con la pelle così chiara l'aveva chiamata Phi Nang Thani, come lo spirito-femmina della tradizione delle sue terre, il fantasma buono che vive sugli alberi di banane e che nelle notti di luna piena offre cibo e frutta ai mendicanti. Anurak l'aveva scambiata per lei e questo le aveva quasi fatto tenerezza.
Le era piaciuto, provare tenerezza, l'aveva eccitata. Forse era questo che cercava in quei suoi momenti di piacere: la tenerezza di cui il mondo ci priva.
Però il bambino si era sbagliato. Lei non era affatto un'apparizione benevola. Era la Velata, la donna meravigliosa che porta via gli uomini dal mondo. Chissà se tra gli spiriti del pantheon thailandese esisteva una figura simile. Di certo sì: la mitologia dell'amore tragico è uguale in tutto il mondo.
Ma adesso c'erano cose ben più importanti a cui pensare. Doveva portar via l'uomo che Anurk sarebbe diventato.
Si avvicinò al letto e si sedette sulle lenzuola di raso giallo chiaro.
Lasciò cadere la vestaglia lungo i fianchi e si distese nel letto, con la siringa ferma tra le dita. La avvicinò al pube del bambino. Indugiò qualche istante, percorsa da brividi.
Non era solo l'eccitazione a scuoterla, ma anche un certo timore: conosceva bene il pericolo che stava per affrontare. Normalmente un bambino può tollerare quattro o cinque iniezioni, prima che la sua vita fosse a rischio.
Ma a volte capitava che già la prima volta le cose precipitassero e l'organismo non riuscisse a reggere gli ormoni. E in quasi tutto finiva ancora prima di cominciare, una bella scocciatura. Tanti soldi e tanto tempo sprecati. Oltre alle ovvie complicazioni che un cadavere in una stanza d'albergo avrebbe comportato.
Si ricordò di una confidenza che alcuni anni prima le aveva fatto Rakel, una norvegese conosciuta durante un viaggio a Mtwapa, a pochi chilometri da Mombasa, in Kenia. Era stata lei a spiegarle quali erano le migliori sostanze per garantire un'erezione abnorme e duratura ai loro piccoli giocattoli e anche dove acquistarle. Quella piccola cittadina sulle coste keniote era una delle località più note per il turismo sessuale: uno straniero su cinque era lì per quel motivo. Quindi bisognava fare attenzione. Se la domanda supera l'offerta bisogna ricordarsi di non lesinare sulla qualità, soprattutto degli ormoni. Perché sostanze a buon mercato potevano essere porcherie tagliate male e si rischiavano controindicazioni spiacevoli e immediate. Così l'aveva accompagnata in una capanna con un ampio scantinato in cui una vecchia sdentata le aveva venduto una specie di beauty case in cui era contenuto tutto l'occorrente: un vero e proprio kit completo.
Ricordava ancora il sudore che le colava tra le scapole in quella cantina polverosa, con il pavimento di terra, gonfia dell'aria rovente dell'Africa. Era disgustata ma felice: quel viaggio era andato benissimo, grazie alle raccomandazione di Rakel.
Eppure, nonostante tutte le attenzioni che si potevano avere, un piccolo rischio restava inevitabile.
Scacciò quei pensieri e accarezzò la pelle di Anurak. Poi si decise: il momento era arrivato, non si doveva più aspettare. Sul suo volto si disegnò un sorriso tagliente e bellissimo.
"Ora vieni dalla mamma." disse, mentre faceva penetrare l'ago nel sottile strato di epidermide che avvolgeva i testicoli del bambino.

Il dolore fu tremendo e neppure il sonnifero si rivelò sufficiente: un urlo risuonò nell'ultimo piano dello Golden Palace Hotel e solo le corde che lo tenevano immobilizzato al letto evitarono che Anurak fuggisse dalla stanza, in preda a un dolore folle.
In quel momento un cameriere che stava lucidando i pavimenti del corridoio quel grido disumano e ne fu sconvolto. Sollevò la testa, impaurito e indugiò con le orecchie tese, ma non sentì altro. Rimase indeciso su cosa fare per alcuni istanti, si guardò intorno: non c'era nessuno oltre a lui. Poi si ricordò che gli avevano detto non fare caso a quello che capitava nella suite 613. Scrollò le spalle e riprese a lavorare con la lucidatrice. C'era ancora parecchio lavoro da fare quel lunedì.

 
 
Nota.
 
L'argomento toccato nel racconto è molto delicato e credo sia necessario un chiarimento che precisi le ragioni di questo scritto.
Il turismo sessuale è una piaga di proporzioni e disumanità inaudite: è il terzo traffico illegale per ordine d’importanza, dopo droga e armi, a livello mondiale. Quello minorile occupa una larga parte della problematica e ne rappresenta l'aspetto più tremendo.
La declinazione femminile di questo flagello è di certo meno conosciuta e virulenta rispetto al fenomeno nel suo complesso. Ma esiste, ed è decisamente più terribile di come io ho cercato di raccontarla: le turiste vengono dalla Germania, dalla Svizzera, anche dall’Italia, e incontrano i ragazzini in ville private, alberghi o appartamenti affittati apposta, per soddisfare i propri appetiti nelle modalità che ho descritto. Poi ritornano alle loro vite borghesi come se nulla fosse accaduto. Ho scelto questa angolazione del problema non per una questione di genere ma perché, e ne sono convinto, la grande forza del noir è quella di poter raccontare le storture dell'anima nella loro più nuda verità: narrando gli aspetti più estremi e meno noti di una vicenda, di una problematica, può nascere una riflessione potente.
Per questo le scene descritte sono tanto crude, oltre che vere e documentate, e possono risultare sgradevoli: non per il piacere del dolore fine a se stesso ma per la necessità di raccontare ciò che è vero.
Per approfondire la questione rimando a:
 
Ministero delle pari opportunità, osservatorio pedofilia
http://www.osservatoriopedofilia.gov.it/dpo/it/turismo_sessuale.wp;jsessionid=CCF3C726ECFC67ADA79B176FF7C8F1E4.dpo1
Ricerca della criminologa Simona Ruffini, sulla pedofilia femminile http://www.themiscrime.com/sites/default/files/pedofilia_femminile.pdf
Inchiesta di Matteo Fraschini Koffi uscita sul Corriere Magazine, settembre 2008 http://www.matteofraschinikoffi.com/index.php?option=com_content&task=view&id=30&Itemid=2
 
 

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