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Parabole

 Non sapeva come giustificare la sensazione che l'aveva presa se non ricorrendo ad improbabili metafore e lei, le metafore, le odiava.

Tant'è che già da giovane preferiva utilizzare quelle che adesso amava chiamare "storielle morali", "aneddoti potenziali" o addirittura "parabole", ma che sapeva essere pure e semplici invenzioni. Bugie, se proprio volete. Episodi inventati della propria vita che dovevano servire a giustificare, o meglio, a rendere comprensibile agli altri il suo malessere esistenziale.

Quella forse più clamorosa fu l'invenzione di un fidanzato morto, al quale lei aveva dato pure un nome, Gianni, ed un volto, che disegnava ossessivamente sulle proprie agende e quaderni. All'epoca era un'adolescente tormentata e, non sapendo spiegare da cosa fosse tormentata, aveva pensato che quella fosse una soluzione. Aveva creato una storia breve e credibile, a cui si atteneva con molto cautela, attenta a non cedere alla tentazione di arricchirla di particolari che poi avrebbe rischiato di dimenticare, cadendo in contraddizione. Così, quella storia era diventata la sua storia personale, che raccontava a chiunque avesse voglia di starla a sentire.

Poi, le capitò di incontrare una persona che sapeva avrebbe capito e gli confessò che Gianni non esisteva. Lui la guardò esterrefatto e disse: "Ma allora sei matta anche tu...".

Lei, inopinatamente, trovò quella risposta bellissima e piena di opportunità, per cui cambiò la propria versione di se stessa - e da "vedova" inconsolabile, diventò "matta". Era cosa che apriva notevoli orizzonti, c'era tutta una letteratura al riguardo, molto più pregna di significati di quanto non fosse la "semplice" perdita dello (inesistente) amato bene. E poi tra l'essere matta ed il fare la matta non c'era molta differenza e qualsiasi contraddizione era assorbita dalla definizione stessa. Finalmente, la descrizione della cosa era la cosa, cioè lei. E poi, siccome dalla pazzia si può guarire, quando si sentì pronta, guarì.

Ma adesso si ritrovava sull'orlo dei cinquant'anni e di nuovo in preda a pari tormento, seppure di diverso tenore. Non che sentisse ancora il bisogno di giustificarsi con gli altri, per questo: le persone che aveva vicino adesso, come quella prima che aveva incontrato, erano persone che lei riteneva in grado di capire senza bisogno di ricorrere a parabole, forse non tutte, ma sicuramente quelle che la interessavano veramente sì. Però un po', chissà perché, sentiva il bisogno di giustificarsi con se stessa. D'altronde certo non poteva inventare una storia di se stessa a suo proprio uso e consumo. Così si ritrovava nuda ed inerme di fronte al profondo disagio di esistere.

E magari forse il punto è che alla fine aveva capito che non c'era altro modo.

 

 

 

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