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Ogni dubbio - quarta parte -

Mentre le tenevo ancora la mano premuta sulla bocca.
“Allora hai capito bene…Ti lascio se mi assicuri che non emetterai un fiato e mi spiegherai tutto”. Con gli occhi, che in quel momento avevano assunto una venatura di tristezza, mi diede nuovamente un assenso confortante. Lasciando lentamente la presa, mi scostai e con un movimento elastico m’alzai in piedi. Ma si sa che il mondo femminile è quanto mai strano, possiede un’imprevedibilità che ha mille sfaccettature…E così, non appena Olga fu in posizione eretta, cominciò ad urlare in lingua cirillica frasi che non avevano nulla di buono.
- Olga…Non puoi farmi questo – le sbraitai addosso. A quegli urli la porta del magazzino si spalancò subito e, in pochi secondi, gli energumeni si presentarono nel luogo con aria quanto mai adirata. Non potevo certo farmi catturare ancora, anche perché in quell’occasione non sarebbero certo andati giù leggeri, quindi, guardandomi attorno, intravidi vicino ad una cassa di legno, che distava da dove mi trovavo solo tre o quattro metri, una sbarra di ferro. Senza mai staccare gli occhi da quei due elefanti in costante avvicinamento, m’affrettai proprio in quella direzione pensando che quel pezzo di ferro potesse ritornarmi utile nella difesa. Con una velocità che mi sorprese non poco afferrai quell’arnese metallico,  cominciai a farlo roteare come fosse una lama affilatissima e assunsi un’espressione torva. Avevo una paura sfottuta, ma questo loro non dovevano saperlo….Anzi, non appena li vidi sopraggiungere, gli scaraventai addosso un’energia che li lasciò piuttosto disorientati. Rallentarono la corsa e si bloccarono a solo due metri dalla mia posizione, poi, guardandosi in faccia, fecero un risolino irritante…Mi stavano prendendo in giro
- Cazzo ridete…Siete solo degli orsi russi…- e mostrando tutta la mia rabbia cercai di posizionarmi al meglio. Stringevo la sbarra con forza e gli occhi erano fissi su quei bruti. Mi auguravo che non fossero armati altrimenti ero spacciato. Il più alto e completamente calvo si spostò di mezzo metro a sinistra e così facendo allargò lo spazio che dovevo controllare. Erano in due e questo mi dava molte preoccupazioni. Non potevo pensare, dovevo agire. All’improvviso, facendo due sbalzi in avanti, mi gettai a terra eseguendo una mezza capriola e, nel momento in cui riacquistai l’equilibrio, librai la mia lama con forza. Il colpo che sferrai andò a colpire senza troppa violenza il ginocchio del russo più smilzo, che, per quanto debole fosse, sortii l’effetto desiderato. Egli, infatti, colto di sorpresa da quel mio attacco repentino, si piegò in avanti per il dolore e, lamentandosi con grugniti incomprensibili, cercò d’estrarre qualcosa dalla tasca dei pantaloni. Non potevo permetteglielo, chissà cosa avrebbe tirato fuori. Respirai profondamente, alzai il braccio in tutta la sua ampiezza e, guardandolo lì piegato, affondai il colpo nei pressi della nuca. Non appena la spranga colpii il bersaglio, dalla zona cominciò ad uscire sangue e dopo qualche secondo il suo corpo s’accasciò a terra come un sacco di patate. Era morto…Non lo sapevo e non potevo certo accertarmene, anche perché l’altro stava grugnendo con veemenza avvicinandosi. Mi girai di scatto e me lo trovai proprio davanti. I suoi occhi cerulei dardeggiavano come lampi d’intensità feroce, aveva il viso trafficato di cicatrici e i baffi che facevano da cornice a labbra sottili erano folti e neri come la pece. Caracollando e buttandosi in avanti sferrò un fendente che pareva un treno lanciato sulle rotaie a tutta velocità, la mia fortuna fu quella d’evitarlo appena in tempo, ma nonostante questa mia mossa il pugno mi raggiunse di striscio all’altezza dell’orecchio destro. Provai subito una fitta lancinante sopra l’occhio di riferimento, mi piegai istintivamente e, lanciando un gemito soffocato, caricai il braccio con cui tenevo la barra. Sollevando lievemente il capo, compresi che il russo stava preparandosi per lanciare un nuovo colpo e questa volta sarebbe stato più preciso e mi avrebbe massacrato. Con questa certezza, quindi, portai con forza il mio colpo, che s’andò ad infrangere nel suo costato. Dopo aver ricevuto quel colpo, lui, girandosi verso la porta, sobbalzò lievemente e guardandomi sorrise beffardamente. Esterrefatto, indietreggiai di qualche passo e ritornai in posizione eretta. Lo guardai fisso negli occhi ed ebbi un momento di panico, ma vedendo che rimaneva fermo e non contrattaccava, decisi di perseguire nel mio disegno. Scattai verso di lui e non appena gli fui vicino lo colpii nuovamente tra la spalla e il collo. A quel colpo micidiale, cadde a terra senza emetter un lamento…[ continua ]

 

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