Scritto da © Hjeronimus - Ven, 01/10/2010 - 20:29
Sono le sette e cinque di un venerdì qualsiasi dentro la scatola contraddittoria della vita. Che ce ne facciamo delle sette e cinque di sera di una giornata uguale alle altre, dentro la traiettoria, dentro la prospettiva di un essere che non ne prevede, che, cioè, ha forse una gittata, ma che una prospettiva, al massimo, deve espiantarla da se stesso, dalla propria carne, per credere davvero che esista?! ...
No, non sappiamo che farcene di quest’ora calante di ottobre, che sta per discendere nelle tenebre. Sappiamo quanto vale, conosciamo l’oro rilucente di quest’ora, come di ogni ora, ma non sappiamo che farcene, o come dis-farcene... Ogni cosa, ogni ora, ogni granello di essere è incomparabile, è meraviglia che non possiamo disadombrare. Eppure strazia il nostro hic et nunc, la nostra ineffabile presenza qui e ora col suo inammissibile, ineluttabile, raccapricciante cronometro, il suo martello a ritroso che ad ogni rintocco sottrae a te ciò che guadagna per sé. Perciò, a quest’ora di sera, di un venerdì di sera, non staremo qui a recriminare sulla vergogna irremissibile del vivere, né a cercare scuse per l’ignoto massacro che ci incombe sopra, no... ci adegueremo, resteremo qui, cauti, quieti, a osservare l’orologio infausto dell’essere scorrere calmo e dolce verso l’apocalisse.
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