Scritto da © nunzio campanelli - Lun, 07/01/2013 - 18:01
“Dietro lo schermo delle parole non dette e delle cose non fatte ci si ripara dalla violenza della vita, ma si lasciano esposti tutti gli altri che non hanno rinunciato a reagire.” Quando Lucia ripensava al nonno non riusciva a fare a meno di ricordare quelle parole che tante volte gli aveva ripetuto finché rimase in vita. Era molto legata a quel vecchio, che per un periodo della sua vita, quando i suoi genitori si separarono, rappresentò l’unica persona alla quale potesse raccontare la propria disperazione sicura di essere compresa. Il giorno che il nonno morì lei aveva diciotto anni. Quando apprese la notizia dalla mamma, rimase impassibile senza denunciare nessun tipo di emozione, ma poi scomparve e non fu possibile rintracciarla per tre giorni. Nessuno seppe mai dove andò e cosa fece. Quando riapparve comunicò alla madre, già abbastanza nevrastenica per quella scomparsa, che sarebbe andata a vivere da sola nella casa del nonno, visto che le spettava come lascito testamentario insieme a una non irrisoria rendita derivante dall’affitto dei terreni che circondavano la casa.
Lucia non si era mai sposata e di storie con gli uomini ne aveva avute molte, ma nessuna che fosse riuscita a superare un anno di durata, tanto che ormai gli amici la prendevano in giro dicendo che per lei gli uomini erano come le marmellate che amava preparare con la frutta del suo podere: dopo dodici mesi, scadevano. Il giorno che compì quarant’anni, dopo aver messo alla porta l’ennesimo bambino travestito da uomo che si era insediato in casa sua, si rese conto che, probabilmente, le attese erano deluse perché facevano riferimento a un archetipo non più replicabile.
Stava guardando la fotografia del nonno in una cornice appoggiata sulla credenza, quando sentì una voce che la chiamava da fuori. Si affacciò alla finestra.
- Lucia?-
- Sì! –
- Sono il figlio di Laura. –
Laura. Da ogni angolo della sua memoria lontani ricordi si risvegliarono e sopraggiunsero ad affollarle la mente. Rimase lì a guardare quell’uomo che dopo un po’ si scosse, chiedendo se poteva salire in casa.
- Sì! –
Sorprendendosi per la prima volta a corto di parole di fronte a un uomo, cercando di levarsi la sorpresa dal viso, si affannò a scendere le scale per aprire la porta.
Il figlio di Laura era un uomo più giovane di lei, avrà avuto sui trentacinque anni, e dimostrava dal modo di fare e dai suoi silenzi interrotti solo da opportuni e circostanziati interventi di essere dotato di una certa dose di fascino. Lo fece accomodare davanti al camino e per un po’ rimasero zitti. Ognuno dei due aspettava che fosse l’altro a rompere il silenzio. Infine lui si decise.
- Laura è morta. –
Lucia rimase in silenzio. Solo, piegò lo sguardo verso un punto della casa, in modo da nascondere lo sguardo.
Nella penombra della sera che avanzava, i due, affiancati sul divano, erano come in attesa che si chiudesse quella parentesi che si era aperta nel momento in cui lei si era affacciata dalla finestra e si erano guardati in faccia.
Lucia chiuse l’ideale parentesi.
- Ha sofferto? -
- Sì. –
- Mi dispiace. –
Lui la guardò senza parlare.
- Ha detto niente di… -
Una busta chiusa comparsa nelle mani di lui rese superflua la domanda che stava ponendo. Lei la prese come soppesandola, la osservò a lungo sul fronte e sul retro. Era del tutto priva di iscrizioni, tranne il suo nome tracciato con inchiostro blu.
- Bene. - Disse lei.
- Bene. - Rispose l’altro.
- Ha sofferto a lungo anche mio nonno. –
- Dispiace anche a me. –
- Non solo per la malattia. Lei lo ha lasciato solo. –
- Credo dovresti leggere la lettera. –
Lucia l’appoggiò sul piccolo tavolino del salotto.
- Sì, lo penso anch’io. Ti fermi a cena? –
- Volentieri, se un uomo in giro per casa non ti dispiace. –
- No. Un uomo no. -
- Mi chiamo Luca. -
Per tutto il tempo di preparazione del cibo e durante il pasto la loro conversazione, senza rivelarsi mai banale restò comunque su un livello di attenzione per evitare di invadere il territorio entro il quale si poteva urtare la suscettibilità dell’altro. Dopo cena, seduti di nuovo sul divano ma più vicini, Lucia pensò alle parole del nonno.
- Perché mi hai portato la lettera di persona. Potevi spedirla.-
- Volevo conoscerti. –
- Tu non c’eri, quella volta. –
- Ero a casa degli zii. –
- Dopo la morte del nonno, sono andata da tua madre, per chiederle il motivo per cui lo aveva lasciato. Ho aspettato tre giorni, fuori di casa, ma tua madre non ha voluto dirmi niente. Non ha avuto nemmeno il coraggio di andare da lui prima della sua morte. Quanto l’ho odiata, Laura. –
- Senti, Lucia. Fai bene ad avere un’alta considerazione di tuo nonno. Ma anche lui era un uomo, e come tale ha fatto degli errori. Come mia madre. Sta a noi giudicarli? Io penso di no. –
Si alzò in piedi dicendo che era giunta l’ora di andarsene. Lucia, con fare premuroso, si lamentò della sua avventatezza.
- Sono stata davvero invadente, chiedendoti di fermarti qui. Non ho pensato a
chi ti aspetta a casa. –
- Non ti preoccupare. Non mi aspetta nessuno. –
Il successivo sguardo di Lucia lo fece sorridere.
- Perché? Mi chiedi perché? -
- Veramente stavo pensando che, se ora te ne vai, saresti il primo a farlo di sua volontà da quando abito in questa casa. –
- Bene. Mi piace essere primo. –
- Rimani Luca. Non te ne andare. –
Si guardarono a lungo cercando di dirsi tutte le parole che altri, prima di loro non si erano dette, e di fare quello che non era stato fatto.
Luca si avvicinò a Lucia, e insieme riaprirono quella parentesi che prima avevano dovuto chiudere.
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