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L'ultima scena

Gira tra i banconi del mercato delle erbe con infinita pazienza, nulla sfugge al controllo dei suoi sensi affilati. Una costa di sedano gli appare di un verde troppo acceso, toglie una carota di eccessiva grandezza, si sofferma in contemplazione di alcuni asparagi.
Fulvio Staffieri, proprietario del famosissimo ristorante detto “Al Cuciniere”, cuoco di eccelsa perizia e d’infame cocciutaggine, maestro nell’arte culinaria e terrore d’ogni vivandiere, famoso per le sue eccelse pietanze quanto per i feroci rimproveri ai suoi lavoranti, oggi sembra perdersi dietro pensieri d’altra fattura.  Meditazioni  sospese solo al cospetto d’uno stoccafisso puzzolente.
  • La bagnatura dello stocco s’ha da fare con acqua corrente  con sovente ricambio per almeno sette od otto giorni.  Vigliacco d’un pescivendolo, non hai la grazia per vendere simili tesori. –
Chiama a sé il proprio aiutante per affidargli l’incarico di ritirare la merce. Uscendo dal mercato, invece di salire sull’auto decide di fare una passeggiata.  
Prende una strada in leggera salita, poi svolta a sinistra.  La pendenza aumenta  ma il grande orologio che sovrasta la facciata del teatro occhieggia dalla cima della rampa reclamandone l’attenzione e  arriva alla piazza centrale senza rendersi conto del proprio affaticamento.
I suoi piedi inciampano più volte sulle pietre affioranti dall’acciottolato di via degli Orefici,  gli occhi sbavano lacrime che evaporano lasciando scie di sale sulla pelle, il respiro inizia a farsi prepotente. Si appoggia  alla parete di mattoni di un palazzo per  concedersi un po’ di riposo. In un bar poco distante  qualcuno ha messo delle sedie lungo la via.
Seduto all’aperto, sorseggia un caffè riscaldandosi sotto i deboli raggi del sole invernale.  Gli occhi chiusi, il capo reclinato indietro, abbandona i pensieri lasciando che si disperdano per i reconditi angoli della propria mente.
Dopo un tempo indefinito, una vibrazione dell’aria cattura la sua attenzione. Aprendo gli occhi vede un gruppo di piccioni  intenti nel sorvolo di severe architetture medioevali, per posarsi infine sulle raffinate forme rinascimentali del palazzo della signoria. Come folgorato da quella visione, pensa a voce alta.
  • Davanti ai nostri occhi, nell’interminabile susseguirsi delle generazioni, schiere di volatili ci hanno sempre rivelato la verità. -
Un vecchio seduto a breve distanza comincia a fissarlo reputandolo meritevole di  attenzione.
Avvicinandosi al vegliardo lo guarda con la faccia meravigliata di chi si sorprende che non abbia ancora capito.
  • Ma noi, così impegnati, così… stronzi, mi perdoni ma il termine giusto è questo, potevamo rendercene conto? Ma sì, ma sì, li guardi, non hanno remore né complessi. La fanno ovunque, persino sul palazzo di Francesco di Giorgio. Abbiamo dedicato interi tomi alla descrizione della magnificenza delle nostre architetture, tutto il mondo raggiunge la nostra penisola per ammirare l’opera del genio italico, e loro ci cacano sopra.   Per un piccione i palazzi, i monumenti, le piazze di questo paese non sono altro che latrine. Un semplice, comodo, immenso vespasiano.-
Accorgendosi che la sua esternazione non deve aver fatto una grande impressione sull’anziano avventore, che invece mostra con fare minaccioso il proprio bastone da passeggio, riprende con decisione il cammino.
Ripercorrendo a ritroso la via si sorprende a pensare se sia davvero  giusto rendere così prezioso tutto quello che facciamo per credere che la nostra vita sia veramente  importante.
 
Sceso dall’automobile non si concede nemmeno il tempo di raggiungere la porta che inizia a chiamare i suoi aiutanti. Questi lo raggiungono con sollecitudine, ma non così in fretta da  evitare le sue lamentele.
  • E non fatevi sempre cercare, per favore!  Lasciate quello che state facendo, rimettete tutto a posto e andate a casa. Oggi il ristorante è chiuso.-
  • Ma…, maestro! –
Fulvio Staffieri fulmina con lo sguardo la minuta ragazza che sembra voler contestare i suoi ordini. Nel riconoscere il dolce viso di una giovane cuoca i suoi lineamenti si ammorbidiscono, e l’ombra di un sorriso si delinea in mezzo a tanta severità.
  • Dimmi cara. –
  • Maestro, è impossibile. Come facciamo con tutte le prenotazioni di questa sera… no, è impossibile. –
  • Di più. Direi inaudito!-
Una rauca voce sgraziata si era interposta nel delicato colloquio tra i due. Fulvio Staffieri, riconoscendola in quella dell’odiato vice capocuoco, un grado che tra l’altro l’untuoso individuo si concedeva solo in sua assenza, riacquista la ferocità dei suoi lineamenti.
  • Andatevene tutti. Via! –
Sapendo che non avrebbe ammesso ulteriori eccezioni ai suoi ordini, in pochi minuti si dileguano. Rimasto solo, raggiunge la cucina dopo aver prelevato un libro dalla sua biblioteca. Nel silenzio irreale di quel luogo altrimenti uso a una fervente attività, seduto in un angolo a confondersi con pentole e stoviglie, Fulvio Staffieri inizia a sfogliare il suo libro, ripetendo a voce alta ciò che i suoi occhi catturano da quelle antiche pagine.
Le prime ombre della sera scendono leste ad avvolgere il ristorante in un’oscurità che preoccupa i primi titubanti avventori. Le luci esterne sono tutte spente, mentre dall’interno filtra un chiarore tremolante. I primi ad entrare nella sala trovano i tavoli apparecchiati alla perfezione. Al loro centro dei candelabri a tre braccia moltiplicano all’infinito le ombre proiettate sulle pareti e sul pavimento, donando un’illusorietà di vita a un ambiente freddo e tetro. Ogni posto è stato contrassegnato da un biglietto con un nome, e nei piatti sono state appoggiate delle fette di pane abbrustolito. Una bottiglia di vino rosso e alcune ampolline di olio di oliva completano la dotazione di ogni tavolo. Una ventina di persone si siedono. Gli altri, trovando quella messa in scena una trovata di cattivo gusto, se ne vanno.
 In attesa che quello che considerano uno scherzo finisca, i pochi commensali rimasti dopo poco sentono come un ronzio, seguito dalla voce registrata del loro Chef preferito diffondersi nella sala tramite alcuni altoparlanti.
  • Signore, signori, vi chiedo di scusarmi. Questa sera mangerete l’ultimo pasto che io abbia cucinato. Avevo deciso di prepararvi piatti di antico sapore, poi, però, ho capito qualcosa di fondamentale per la vita di ogni persona. Pertanto mangerete pane e olio. Che cosa ho capito? Non posso dirvelo, ma… voi, mangiate pure. Sono sicuro che riuscirete a comprendermi. Vi saluto, cari amici. Questa è la mia ultima cena. Anzi, l’ultima… scena.
 

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