Scritto da © nunzio campanelli - Ven, 14/09/2012 - 13:15
Il salone era immerso nell’oscurità. Solo una lampada illuminava una piccola zona del vasto ambiente, appoggiata sopra lo scrittoio dove era solito sistemarsi per scrivere. Aveva preso l’abitudine, o il vizio come direbbero i suoi amici, di alzarsi a quell’ora per meglio ricordare i sogni, sua primaria fonte d’ispirazione.
Non possedeva del vero talento, ma la sua infinita ostinazione insieme con l’alta capacità lavorativa gli consentiva di ottenere un discreto successo di vendite. Era un giallista, e i suoi libri si potevano trovare sugli scaffali delle migliori librerie. Quarantenne, scapolo, non si ricordavano di lui storie d’amore importanti, ma un susseguirsi di avventure della durata di qualche giorno, settimane al massimo. Misantropo ed egocentrico, non aveva un suo vero e proprio stile letterario. Durante un’intervista, a una giornalista che gli chiedeva spiegazioni su alcune sue abitudini di dubbia eleganza ed originalità, quale quella di bere assenzio e di girare sempre con un garofano verde (che faceva colorare apposta da un fioraio di fiducia) all’occhiello della giacca, rispose citando Oscar Wilde: -… devo arrivare al terzo livello, dove si vedono cose strane e meravigliose.-
Mentre attendeva i comodi del computer, ormai così vecchio che ogni accensione doveva costituire un piccolo dramma, tanti erano i bip e gli sfavillii emanati prima di dichiararsi pronto, lesse per l’ennesima volta la lettera del suo editore. Un amico, forse il più intimo della sua cerchia, con cui aveva diviso molte delle sue avventure. Un amico che però aveva l’abitudine, quando si trattava di affari, di affidarsi per le comunicazioni all’asettica mediazione dei messaggi cartacei. Gli aveva scritto una raccomandata. Un ultimatum, in buona sostanza. Gli aveva accordato altri sette giorni per la consegna del manoscritto. E quello che ancora doveva nascere era l’ultimo giorno.
Doveva ancora scrivere un intero racconto, quello dedicato al mese di settembre. Smise di pensare alle poche ore a disposizione cercando di raggiungere un accettabile livello di concentrazione.
Aveva deciso di scrivere una raccolta di dodici racconti, ognuno dedicato a un mese dell’anno, ispirati a fatti di sangue realmente accaduti e dei quali la stampa aveva ampiamente trattato. Gli venne l’idea un giorno in cui, leggendo un quotidiano, si era reso conto che determinati delitti seguivano una cadenza periodica, come se una mente superiore ne preordinasse la successione. Era chiaramente una speculazione intellettuale, un’ipotesi senza fondamento. Sufficiente, però, per consentirgli di mettere in cantiere il libro.
Aveva fatto molte ricerche sui delitti avvenuti nel mese di settembre, ma non aveva scovato nulla che potesse andar bene. Decise, a quel punto, di inventare; avrebbe pensato poi come far digerire la cosa all’editore.
Uno dei metodi che usava per concentrarsi consisteva nello scegliere un carattere della tastiera, premerlo a fondo e poi riempire il foglio bianco con quello stesso carattere. Quella mattina, dopo essere arrivato alla quarta pagina di punti interrogativi, decise di cambiare metodo. Diede uno sguardo alla posta elettronica, dove trovò una quantità di messaggi, per la maggior parte spam. Sapeva che doveva rivolgersi alla sua seconda fonte d’ispirazione, anche se ormai ne riceveva più disagio che beneficio. Prese da una vetrina una bottiglia piena di un liquido verde e un piccolo vassoio con l’occorrente e si dedicò alla preparazione dell’assenzio. A quell’ora era un toccasana per la sua inventiva e un colpo ben assestato alla sua salute. “Prima o poi smetto.” Pensava, consapevole che certamente un giorno avrebbe smesso.
Scacciò quel pensiero molesto mentre versava dell’acqua sopra la zolletta di zucchero impregnata di liquore, e subito una possibile traccia si manifestò nella sua mente. Raggiunse la scrivania, bevve un’ampia sorsata di liquore dal bicchiere che reggeva in mano, e iniziò subito a scrivere, calandosi completamente nella realtà virtuale prodotta dalla sua mente fino al punto di estraniarsi da quella reale.
Un forte colpo proveniente dalle camere al piano di sopra, come di un oggetto caduto a terra, risuonò nel salone senza essere udito. Così come furono ignorati i successivi scricchiolii del solaio e delle scale, e il debole rumore emesso della porta che si apriva lentamente per poi subito richiudersi. Non si accorse nemmeno della sagoma scura che si stava avvicinando.
L’editore, che lo aveva cercato tutto il giorno, telefonandogli ripetutamente senza mai avere risposta, aveva infine deciso di andare a cercarlo a casa, una villetta fuori città che lui conosceva bene. Non faticò molto per entrare, sapeva dove cercare una copia delle chiavi, conservate nel garage per non dover sfondare la porta di casa in caso d’emergenza.
Giaceva riverso sullo scrittoio, la testa reclinata di lato e un coltello piantato sul petto. La mano destra era avvinghiata all’impugnatura del coltello, come se avesse tentato di estrarlo. A fianco c’era un bicchiere riempito a metà con un liquido verdastro, che subito riconobbe. Era uno dei vizi che li accumunava. Era stato proprio lui a offrirgli il primo bicchiere. Anni e anni fa. Sul monitor del pc si poteva leggere il suo ultimo racconto.
L’editore telefonò alla polizia, non prima però di aver inviato il file del racconto alla sua casella di posta elettronica. La tristezza di aver appena trovato il corpo di un suo amico si spense prontamente con l’eco della grancassa mediatica che si sarebbe prodotta non appena divulgata la notizia. E lui che aveva per le mani un inedito pronto da mandare a stampa.
Quando ritornò al lavoro, dopo aver esaurito le formalità al commissariato che gli occuparono buona parte della giornata, l’editore aprì subito il file del racconto, iniziandone la lettura, non prima di prepararsi un bicchiere d’assenzio.
“Il salone era immerso nell’oscurità. Solo una lampada illuminava una piccola zona del vasto ambiente, appoggiata sopra lo scrittoio che, come ogni mattina alle quattro lo attendeva. Iniziò subito a scrivere, calandosi completamente nella realtà virtuale prodotta dalla sua mente fino al punto di estraniarsi da quella reale.
Un forte colpo proveniente dalle camere al piano di sopra, come di un oggetto caduto a terra, risuonò nel salone senza essere udito. Così come furono ignorati i successivi scricchiolii del solaio e delle scale, e il debole rumore emesso della porta che si apriva lentamente per poi subito richiudersi. Non si accorse nemmeno della sagoma scura che si stava avvicinando.”
Svuotò completamente il bicchiere. Sentiva che qualcosa non girava per il verso giusto. Se ne preparò subito un altro.
“L’editore, che lo aveva cercato tutto il giorno, telefonandogli ripetutamente senza mai avere risposta, aveva infine deciso di andare a cercarlo a casa, una villetta fuori città che lui conosceva bene.”
Il secondo bicchiere fece ben presto la fine del primo.
“Non faticò molto per entrare, sapeva dove cercare una copia delle chiavi, conservate nel garage per non dover sfondare la porta di casa in caso d’emergenza.
Giaceva riverso sullo scrittoio, la testa reclinata di lato e un coltello piantato sul petto. La mano destra era avvinghiata all’impugnatura del coltello, come se avesse tentato di estrarlo. A fianco c’era un bicchiere riempito a metà con un liquido verdastro, che subito riconobbe. Era uno dei vizi che li accumunava. Era stato proprio lui a offrirgli il primo bicchiere. Anni e anni fa. Sul monitor del pc si poteva leggere il suo ultimo racconto.”
Si preparò velocemente un terzo e poi un quarto bicchiere d’assenzio.
Spaventato, ubriaco, si aggirava per la stanza inciampando nei mobili del suo ufficio. Dalle finestre entrava la luce del tramonto. Si affacciò. Le ombre del cielo si ammucchiavano fino a mostrare forme delle quali non conosceva l’esistenza. Si ricordò allora della frase di Oscar Wilde.
“Che differenza c’è tra un bicchiere di assenzio e un tramonto? Il primo stadio è quello del bevitore normale, il secondo quello in cui cominciate a vedere cose mostruose e crudeli ma, se perseverate, arriverete al terzo livello, quello in cui vedete le cose che volete, cose strane e meravigliose.”
In lui i tre stadi si erano fusi in uno, e non si rendeva conto di quello che gli stava succedendo. Com’era possibile che il suo amico avesse previsto con tanta precisione gli eventi di quella giornata, al punto di averli scritti.
Era così preso da quei pensieri che non udì il forte colpo proveniente dall’ufficio della segretaria, i successivi scricchiolii del pavimento, la porta in fondo alla stanza aprirsi lentamente e poi richiudersi, la sagoma scura avvicinarsi.
Cominciava a capire, provando sempre più orrore.
Si guardò le mani.
La lama penetrò a fondo nella sua carne, facendosi spazio tra polmoni e costole.
Ebbe il tempo per un ultimo allucinato pensiero.
Si rivide mentre sferrava il corpo mortale al suo amico, e poi scriveva al computer quella storia.
Ma chi è che lo stava uccidendo?
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