Scritto da © Salvatore Pintus - Sab, 17/03/2018 - 05:32
Mi rivolgo perplesso
a solfeggiare la desolazione
degli indigeni dell’Amazzonia,
mentre adorno il mio capo
con le foreste di Enderby Island.
Rinfresco il corpo
con l’armonia delle cascate Detian,
accarezzandomi con l’ovatta
della brughiera di Stanton Moor.
Rifletto a piedi nudi
sull’erba brinosa del Central Park
e copro le mie ferree indecisioni
con i cespugli di lentisco e di terebinto
della macchia mediterranea,
epitome di aneliti ecologici.
Annuisco all’espressione icastica
della savana dello Sri Lanka,
dai brulicanti villaggi e dagli agili leopardi,
ne percepisco l’atmosfera speziata,
che invade le mie pieghe
più profonde e intense.
Piego le mie ginocchia
nel transetto della cattedrale di Amiens,
le braccia protese in comunione
con lo slancio verticale
dei grandi alberi architettonici,
la testa abbacinata dalle verdeggianti campagne piccarde
di Pierre l’Ermite e della sua crociata dei pezzenti.
.
Adagio le stanche membra
sul bianco letto del Nanga Parbat,
chiudendo gli occhi
per vedere, tra ombra e penombra,
quanto disto dall’anima bella del mondo.
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