Scritto da © Hjeronimus - Mar, 22/02/2011 - 18:52
Facciamo così. C’è un paesaggio, lirico, trasognato, attraversato da- e sprofondato in- una calma voluttuosa che invita, che alletta ad una sorta di deliquio preistorico, tutto nature. In lontananza una macchia di palmizi reclina dolcemente lunghi fogliami a fendere le increspature esilissime di acque come vetri celesti, che si screziano rapide per ricomporsi
subito con la celeste volta onde cui sembrano districarsi. C’è qualcosa di creaturale, di germinale in questo disegno vulnerabile, tracciato con la matita dell’inconscio sui papiri dei desideri inappagati, sull’umida carta della saudade…
Così, hic et nunc, squarci improvvisi strappano i fogli; così mutano i paesaggi e vi si precipita dentro l’immagine irrequieta, incolmabile, insanabile di un'altra preistoria, stavolta coeva. Il massmedia vomita figure e vi si discerne il sangue, il dolore, la macchina implacabile della storia che non fa sconti, che non guarda in faccia nessuno e frusta i sogni di chiunque. Il primo paesaggio, fatto di cristallerie fantasmatiche, o magari ectoplasmiche, si disintegra e in suo luogo se ne installa uno più crudo che stabilisce spietatamente il suo ordine delle cose. Perciò dobbiamo sapere cosa rientra in questo suo tal ordine. Dobbiamo conoscere il tenore del suo suggello sul libro bianco dell’accadere- e vedere le notizie, le stragi, le ingiustizie… E così siamo stanchi, sempre di più… e vorremmo spegnere questo disastro e cercare ancora, in fondo in fondo al nostro inconscio, quella costa aprica su cui distendere la nostra sofferenza sotto l’ombra calma dei suoi palmizi…
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