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In nome della normalità

La memoria di A. Iurilli DUhamel

"Esiste in ogni pazzo un genio incompreso le cui idee spaventano le persone e il cui delirio è l'unica soluzione allo strangolamento che la vita ha in serbo per lui"

Antonin Artaud, "Van Gogh, the Man Suicided by Society"

 

 

Non c’è parola che abbia mietuto più vittime della parola “ Normalità”; in suo nome i suoi detentori, si sono spessissimo arrogati il diritto di umiliare, saccheggiare, distruggere, eliminare e persino uccidere.

 

Se guardiamo alla natura, che rimane tuttora la nostra migliore insegnante, non troveremo mai un albero uguale ad un altro; persino tra le sue foglie non ne troveremo mai una che sia perfettamente identica ad un’altra, dunque l’unicità è l’elemento di base della vita su questo pianeta.

 

La natura appare provvista di una intima bontà che si traduce in un incessante ricerca di equilibrio, ma quando il problema dell’intima bontà viene portato sul terreno umano le questioni sono innumerevoli, specie alla luce delle immense calamità che l’uomo ha inflitto alla sua specie, oltre che all'intero pianeta.

 

Freud ha postulato un essere umano nato con un istinto di morte difficile da sradicare e una certa predisposizione nei confronti della violenza. Tuttavia questa interpretazione non tiene conto delle teorie del 'senso di se' secondo il quale in virtù di un sentimento che si chiama empatia, l’essere umano non può fare all’altro quello che non vorrebbe fosse fatto a se stesso.

 

Ma quando un bambino comincia a non percepire più gli autentici sentimenti dei propri genitori nei suoi confronti, e al contrario, si viene a trovare nella condizione di dover rispecchiare la loro immagine e ad essere costretto a sostenere il loro precario senso di identità, è a quel punto che inizia il processo di tradimento del Sè, che sostanzialmente  è una forma di adattamento alle dinamiche di potere familiare prima, e sociali dopo.

 

Il bambino comincia a percepirsi come fuori dall’Eden isolato da se stesso e dal resto del mondo sul piano emotivo. Viene totalmente a mancare il collegamento tra tra azioni e motivazioni, viene negata ogni dimensione di intimità e fiducia.

 

Quando perdiamo l’abilità di collegarci con il mondo interiore delle nostre emozioni, cominciamo a costruirci un falso Sè; ci modelliamo sulla base di una immagine accettabile da un punto di vista familiare e sociale, una immagine egosintonica che ha ben poco a che vedere con la nostra intima realtà.

 

La compulsività a soddisfare il copione inconscio prende il sopravvento sull'empatia, sulla capacità di essere radicati in noi stessi e identificati con le nostre emozioni, e a questo punto, cominciano  a prendere il sopravvento  distruttività e  sopraffazione: l'allucinante corsa verso controllo e potere.

 

Su questo pianeta l’essere umano sembra essere l’unico ente capace di perpetrare una distruzione fine a se stessa; Sigmund Freud attribuisce tale distruttività ad un a priori istinto di morte, ma molte altre teorie psicologiche mostrano una stretta correlazione tra il tradimento del Sé, il tradimento del corpo e il bisogno compulsivo di acquisizione di potere.

 

Viviamo in una cultura in cui furbizia, manipolazione e tradimento sono divenuti modi consueti di adattamento alla realtà, il paradosso è che molto spesso coloro che non riescono a sopportare la mancanza di valori umani sono considerati "fuori luogo", "disadattati", quelli che invece hanno tagliato le radici con il proprio Sé e quello collettivo sono considerati "normali", anzi: è proprio nelle mani di questo tipo di persone, che mettiamo le nostre vite e il nostro futuro. Le abbiamo regalmente insignite della capacità di relazionarsi in modo corretto con la realtà, ma questo cosiddetto adattamento alla realtà non è necessariamente un criterio di salute e di umanità.

 

Assai raramente ci chiediamo che valore hanno i sentimenti in un mondo che privilegia il tornaconto dei pochi a scapito dei più, in cui la natura è costantemente saccheggiata, dove tutto oramai ha un prezzo. Siamo giunti a rigettare il nostro Sé a favore di una vita all'insegna dell'acquisizione di potere, dove i sentimenti di rivalsa diventano il nostro pane quotidiano e persino l’amore si tinge di dolore costante; un Sè dissociato non si rende conto della sua sottomissione e collaborazione e in virtù di ciò è facile  convincersi che persino il dolore inflittoci da bambini dai nostri genitori è un atto d'amore.

 

Proprio attraverso questo genere di confusione, di questo 'particolare' tipo di amore paternalistico, che vengono poste le basi di potere e controllo sulle persone. Quando la manipolazione diviene la modalità più consueta di rapportarsi l’un l’altro, il modo con cui una persona appare ha più valore della sua interiorità, le parole e soprattutto le promesse diventano più importanti dei gesti e dei fatti, fino a che non attiveremo una relazione intima e duratura non potremo accorgercene. Siamo purtroppo  totalmente mediati e sedotti dalla vista a discapito di tutti gli altri sensi che potrebbero darci indicazioni ben più specifiche su chi abbiamo di fronte e chi veramente siamo; dietro facce sorridenti spesso vengono celati i peggiori propositi.

 

Lo sviluppo umano può prendere due strade: una mediata da una vita interiore in grado di preservare una ferma connessione con il mondo esteriore, ed un’altra diretta dall’esterno, assecondata dalla rinuncia della percezione del proprio mondo interiore. Se la modalità esterna riconosce solo obbedienza e conformismo non prestando più orecchio al dolore interno, il risultato finale sarà un comportamento esplosivo distruttivo. La biforcazione tra la modalità interiore e quella esteriore ci chiarisce non solo due diversi tipi di organizzazione del Sé, ma ci illustra due stati dell'essere autoannullanti: Il potere e l’amore.

 

Ci sono due diverse forme di insanità; una che è divenuta un modo consueto di vivere ed un’altra che è il sintomo di protesta nei confronti di un mondo e di un modo di vivere divenuto insopportabilmente doloroso. Nel nostro tipo di cultura, il primo è considerato realismo, il secondo patologia. Secondo questa visione uno psicopatico è una persona realista che sa ben tirare l’acqua al suo mulino; uno schizofrenico è un disgraziato che ha perso il controllo sulla sua vita.

 

Il mondo dell’arte, per fortuna, può tuttora costituire una possibilità di salvezza quando ci mette in contatto con artisti che non hanno smarrito la loro connessione con i bisogni umani e le loro motivazioni; pur andando contro la corrente dell’omologante conformismo sono ancora in grado di parlare una lingua che è in grado di considerare la globalità dell’esperienza umana nella sua totalità e profondità.

 

La tendenza attuale è quella di limitare o eliminare l’apporto umano, la naturalezza del suo esistere a favore di un atteggiamento epurato mentale, schizoide, nascosto dietro la maschera della salute, della normalità e della perfezione. In realtà questa tendenza ci conduce verso l’eliminazione totale della nostra umanità a favore di idee vuote, devitalizzate; di categorie e compartimenti che servono ad aumentare ulteriormente i dubbi sulle nostre identità e i nostri sentimenti indebolendoci.

 

Ne consegue una ulteriore perdita, dal momento che neghiamo che l’essenza della nostra unita ed integrità giace nei nostri sentimenti e nella voce del nostro cuore. La lingua del cuore si muove dall’intimo bisogno di calore e amore che vorremmo dare e ricevere, la nostra civilizzazione ci ha resi ansiosi e vergognosi ogni qualvolta ci troviamo in una posizione di vulnerabilità.

 

Il linguaggio della “realtà” ci promette un alleggerimento dal peso dei nostri bisogni spingendoci a tradire e negare le nostre intime percezioni ecco perché il linguaggio del cuore è l’unica via d’uscita: la nostra integrita non può essere raggiunta grazie all’acquiescienza ad una realtà di compromesso tesa all’accumulo costante di  superiorità, controllo e potere, ma grazie allo sviluppo della nostra capacità di provare compassione e  di sperimentare dolore e gioia.

 

 

 

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