Scritto da © ferdigiordano - Mar, 05/06/2012 - 11:37
3. La solitudine è una forma riflessa
Nel vascello, tra qualche ora, tocca a Esch
il primo ingegnere di navigazione. Umano espandibile
a macchina. Il cuore è magnetico come un deposito
binario. Quindi, in lui, qualsiasi mappa ha un rovescio
corrispondente e netto. Un doppio supplente,
una controinformazione rampante ma silente, una guerriglia
di gesti inespressi che attendono l’innesco delle rotte.
Esch sostiene: “Sempre la regione del bene ha un confine
certo; e sicuro è l’ordine opposto, contiguo, sovrapposto
e solo in apparenza caotico: il male si esprime nella stessa quantità,
con le stesse movenze del bene. Persino lo supera qualitativamente.
Se calcoli l’uno, esprimi il valore dell’altro.” E mentre
queste parole evocano il tuo ultimo volto, Chris,
la tua esasperata speranza a cui non presenzierò,
mi sento rispondergli: “Esch, c’è un’area adeguata tra
la mappa e il suo rovescio in cui è la carta che
delinea la distanza tra le due facciate. Per quanto sottile,
lì compare il verso, la decisione del lato in cui stare.”
Chissà come mi pare di udire la sua bruciante risposta,
quando il tuo piccolo occhio, Chris, osserva la mia figura
bisognosa del profilo maestoso che le doni: “Dent,
che tu ci creda o no, su quella carta il pilota, e tu lo sei,
non può decidere il vento o la furia gravitazionale o
la distorsione magnetica: la bussola dell’oceano,
tra le stelle, non ha più valenza. Chi annega non muore
soltanto, diventa anche cibo per pesci.”
Noi non annegheremo, Esch, e non saremo
grasso di pesce, ma se le nostre cellule fossero
batteri per un nuovo universo?
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