Scritto da © Nievdinessuno - Ven, 04/04/2014 - 14:32
Prendo un cappio, il più sterile,
lo concio col gesto
di come si afferra l'aria,
faccio tanti nodi
e lo stringo al collo,
è una sentenza al nulla
incaricata di sollevare
il padrone del mio destino
sull'annacquarsi del sangue
a dileguare, la sostanza
di cui mi cibavo...
Più in là
dirigo gli occhi
sulla fossa comune dei sogni,
migliaia spezzati,
ognuno ha la promessa distorta
di una cortina di fumo,
aleggia vicino al primo neurone.
Fingo qualcosa
di chi sente un battito
cristallizzato sul polso,
mi volto, non c'è nessuno
disposto a spiegarmi perché l'alito dell'amore
è disperso
su immagini senza pareti .
Appena ricordo.
E' la pietanza che danno ai martiri.
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