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Misterioso lutto

Eolo scodinzolava sul campo di grano giallo, sorvolandolo veloce creava mulinelli di spighe, quasi vive. Si avvertiva un leggero fruscìo, dai margini, il cozzare della seccia e dei chicchi maturi. Il fluire dell’aria umida non recava sollievo, che giugno preparava la campagna al solleone. Sulla via sterrata la bici a mano pesava trascinarla e ciò, in parte, giustificava la contrarietà al triste convenevole cui doveva approdare. Ma si deve fare. Lei lo chiese. Mai conosciuto, direttamente s’intende, il suo nome era stato sempre il più ricordato in casa, sempre associato a considerazioni positive, esemplificative ma, nulla di più. La fila di cipressi scuri, con la vetta ondeggiante quasi a pennellare le correnti d’aria, seguiva la via e induceva pensieri tristi più di quanto si avesse voglia.

Quaggiù in fondo al mondo, un senso di abbandono voleva giustificare l’evento mortuario, tutti in nero, l’espressione mesta seria dei maschi, anche giovani, quella delle donne tragicamente esposta, esibita. Accolto benvenuto con una brocca d’acqua fresca, un bicchiere cristallino, un bacile di smalto azzurro e bianco, un asciugamano di canapa, giallino, con frangia. Intanto qualcuno faceva strada borbottando: “quanto bene si son’ voluto con la su’ mamma, da ragazzi”, “non ha mai voluto sentire d’altre”, “le ha sentite le canzoni, le poesie che scrisse per lei ? le hanno pubblicate, sa ?” e lui, basito, dall’improvvisa rivelazione, preda di rabbia che temeva non poter controllare, incapace di accettare l’idea balbettò :“cosa…chi….quando…?”. ed ebbe pensieri irriguardosi, solo un attimo. Si lasciò condurre docilmente, annebbiato, incapace di alcunché, verso la camera allestita per la morte, e pur riluttante lo incalzarono alla bara. Seta cremisi, tulle bianco…odore di vecchio e d’incenso, fiori enormi come girasoli e rose purpuree. Non riusciva a guardare dentro e temporeggiava mandando gli occhi in giro per la stanza. “guardi… guardi com’è sereno”, incalzava la voce melensa di prima. E guardò. Un bellissimo viso di uomo maturo, austero, con rughe profonde: quasi cicatrici, che il biancore della morte , rendeva misteriose, fascinanti. Quasi dimentico sorprese un pensiero di apprezzamento e non si era accorto, subito, che qualcosa mancava, nel feretro. Così com’era acconcio non si notava. Le mani giunte, legate dal rosario, erano troppo vicine al viso, il tronco...corto, le scarpe di vernice nera, a metà della bara. Quello splendido viso eclissava una deformità come inespressa, non la percepivi se non stimavi le dimensioni del corpo. L’amore infantile della madre? Proruppe, commosso, irrefrenabile in un pianto a dirotto, pensando al dolcissimo sentimento che doveva, nonostante la realtà della vita, platonicamente condiviso, con quest’elfo, dal viso bellissimo e di tant'anima ricco.

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