pops and paps, 1953 - ursula schultze-bluhm
boh
... Ho sogni da gatto. Salto sul palcoscenico notturno, rischiarato soltanto dalla rotondità quasi perfetta della luna e mi sbizzarrisco con una serie di propositi che consegno alla sacralità della notte. La verità è che l’anima rock mi spinge alla performance artistica, dove donarmi alla sola folgorante impresa di strafare nei pezzi della mia unica e sacrilega follia. E pensieri da gatto. Soffiosi e graffiosi, pieni della presunzione felina d’essere al centro d’ogni sequenza e disastro. Sanguinolenti segni di un colpire veloce, di lingua risposa, d’unghia frenetica. Individuando tutte le vittime predestinate e tante altre ancora. E pelo di gatto, che diventa irto ai nemici e facile alle buone mani delle carezze che pretendo. Morbidezza da rotocalco, fantasia da grande sognatore. E come gatto muovo le coscienziose verità a mio uso e consumo, proponendo tutta le giusta pietà e tutte le più ingiuste falsità. Ma sono nato per muovermi nella notte delle bugie, dove tutto diventa ambiguo, tutto ha sembianze e niente è veramente quel che sembra. Perciò mi affido a tutti i sensi oltre ai cinque consueti, che è risaputo un gatto ha tutto oltre.
Vite, amori, sogni, morti, appunto sensi. Tutto è di più, uno sprofondare nel gorgo dell’esagerazione, un volare nel vortice di un cielo che non conosce pace, ma sempre si rinnova e rinasce. Così mi distolgo dalle conclusioni della domenica e mi rivolgo al canto migliore che conosco. Tony Allen suona per me tamburi straordinari. Immagino le sue dita muoversi come il diavolo nelle concertazioni delle lingue del fuoco d’inferno. Afferro i colpi e me li avvolgo addosso, come un vestito musicale, un concerto di suoni che dilatano i pori e gonfiano il cuore. E noi gatti ne sappiamo molto di cuore. Seduti in bilico su una strettissima staccionata, usiamo ringraziare, a modo nostro, per la precisione del nostro Diogatto, che tanto benignamente ci ha concesso i giorni dell’amore ed i giorni della meditazione. Una novità esistenziale di buon risultato. Comunque eccomi qui, nel laccio delle consuete stordenti giornate, a muovermi nel pieno delle condizioni meteo, inebriandomi degli aliti delle periferie, dove scorrono a fiumi le incertezze dell’era moderna. Gioco con una fantasia da vecchio saggio, centrifugando i rumori di una bottiglia di stanco brandy che se ne rotola lungo il selciato. È un punto fondamentale, serve a richiamare gli amichevoli frombolieri della pirateria gattesca, quei tipacci che concorrono ogni volta alla grandiosità del premio dell’amicizia. Troveremo della buona birra, fresca al punto giusto, e canteremo antiche canzoni di lotta e di sogni mai avverati. Sarà una serata dove le delusioni si riscatteranno ed avranno un ruolo di primo piano, perché riusciremo a nobilitarle, senza perciò sentirle come un peso immenso sulle nostre spalle. Ma naturalmente più di qualcuno si chiederà dove mettiamo tutta quella birra e qualcuno si spingerà a formulare una domanda molto impegnativa, che più o meno ha questo significato: ma se vi sentite dei gatti e se avete, per vostra stessa ammissione, pensieri e sogni di gatti, beh, com’è che vi fate di birra? La risposta neanche sarebbe tanto difficile, in fondo forse il sentirci è perfino proporzionale a quello che ingeriamo. Però non è giornata né di spiegazioni né di polemiche. Ho solo bisogno di passare il segno e di costruirmi tante buone azioni di malvagità, che la mia malvagità è quella di dar caos alle robe del gironzolare, di scottare la percezione del todo mundo e di pattinare, veloce e in bello stile, lungo le strade dello smarrimento più completo. Una specie di viaggio senza fine, con un inizio scoppiettante di falò e fiesta, tra le pietre di un vecchio rudere, alla luce di una luna mai veramente scadente e di stelle ancora buone da toccare, tutte cose che a noi similgatti piacciono per via del nostro incallito, anacronistico lato sentimentale. Ma siamo fatti così. Io più di tutti, che difendo questi sogni con tutta la ferocia, a denti affilati, a unghie cattivissime, a colpi di pelo morbido, a forfora di gatto. Eh eh ...
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