Scritto da © Bruno Amore - Dom, 25/04/2010 - 08:09
Quando il mattino della vita, dalle grandi vetrate degli occhi infantili mi faceva luce dentro e irrequieto curioso straniavo gli obblighi dati, avevo un fortilizio solitario dirupato, trovato nei molti viaggi fantasiosi tra i muri crollati d'un palazzo dalle bombe sventrato. Luogo pericoloso a vista per soli alieni a caccia di misteri, dove le erbacce caparbie, lentamente, riconquistavano spazi abbandonati, angoli riparati in cui la guazza bagnava semi dal vento trasportati. L'angolo più recondito ombroso, di giorno in giorno si faceva covo, una parvenza una scarna copia d'un habitat domestico più noto: un sedile e un desco di pietra scalcinati, inutile lume una bugia rotta, un vecchio chiodo infisso nel muro per appendere bastoni cianfrusaglie raccattate; una boccia crepata teca d'una lucertola viva alimentata e mosche giornalmente. Arredi patrimonio tesori del pirata che premeva nascermi nelle voglie di volare, andare via. Sulla breccia d'ingresso fissato come chiave di volta, i resti di un rapace impagliato acefalo, per spaurire terrorizzare - forse - gli intrusi. Senza rendermene conto, piano piano, tutto scivolava via tra i nuovi interessi legati alla crescita, di cui non ho più contezza ma, quella, la rocca segreta solitaria, è restata. Ha figliato. Ora lì c'è un palazzo di dieci piani.
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