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Flebile Segnale

 
 
 
 
FLEBILE SEGNALE
 
 
C’era sempre quella frenesia di sedersi e trovarsi l’uno di fronte all’altra, dopo anni, ancora così, agitatamente frenetici e seriamente coinvolti, c’era un’alchimia che con il tempo non voleva saperne di far sublimare, né via cavo, né via etere.
 
Arrivò prima lei, canottierina appena abbozzata e slip minimali, tanto per tenerlo sulle spine, altre spine le controllò a dovere per evitare invece il tracollo della batteria proprio sul più bello, la casa era silente e tutti al loro posto, il loro giusto posto. Arrivò anche lui, lei bruciava dalla voglia di vederlo, lui sullo schermo aveva una carica ancora maggiore su di lei, sicuramente data dall’averlo ma senza potere carnalmente possederlo, mentre solo qualche giorno prima, insieme sulla metro del ritorno, lo stava possedendo con occhi mani e olfatto, ma non poteva averlo, non come voleva lei, per un discorso di buon senso e per rispetto dei pendolari sognanti o sonnolenti accalcati intorno a loro.
 
«Ehi? Mi vedi?»
 
«Uhm... ciao bel maschione!!» sorrise al limite della paresi,  «No… ti sento bene, ma non vedo nulla»
 
«Ancora quella cavolo di cam da due soldi, mi ripetevo ogni volta che dovevo regalartene una come si deve, magari che ti riprendesse anche in 3D, sai che spettacolo??»
 
Lui fece finta di sorridere, lei fece finta di non ascoltare. «Senti signorino so tutto, vedi che anche la tua deve essere scaduta, visto che non vedo nulla pure io. Vuoi provare a comprarmi anche uno schermo nuovo??». Altro sorriso da crampi alle orecchie, «Dai proviamo a spegnere e riaccendere, intanto vado a vedere di sopra se tutto ok…»
 
«Ok bella ragazza, faccio un giro anch’io, tra due minuti ti rivoglio qui, dai che devo dirti una cosa»
 
Lei sperò che dovesse fargli vedere una cosa, ma notò un’inflessione della voce che non le piacque, una piccola scarica elettrica le attraversò tutto il corpo, si alzò, spense il computer e andò al piano di sopra a controllare che tutto fosse come l’aveva lasciato. Passi felpati, e luci spente, pensò distrattamente a quanto le riuscissero bene i passi felpati, aprì piano la porta della sua camera da letto, luce appena accennata e rumore di sonno sereno. Bene.
 
Rimase stupita quando trovò nel lettone, accoccolato vicino al marito, il suo piccolo rospetto, cinque anni di bambino semplicemente inarrivabile, in bellezza, simpatia e testardaggine. Non era mai riuscita a tenerselo nel lettone, stava pochi minuti poi chiedeva di andarsene, lui aveva la sua cameretta e se ne stava comodo nel suo letto, tra giocattoli e pensieri da grande. Splendido.
 
Quella notte, evidentemente, aveva deciso di cominciare a fare anche il bambino affettuoso. Ne inspirò il profumo, diede una carezza virtuale al marito e scese a incontrare l’altro, il marito complementare, come lo pensava lei, quello che rempiva le anse lasciate libere dal lui dormiente.
 
«Ehi? Mi vedi?»
 
«No...»
 
«C'è poco segnale, appena appena, ma ti sento, però»
 
«Come ieri... poco segnale, connessione lentissima, provo a scriverti, vediamo se almeno il testo ti arriva. Non possiamo parlare, c’è il rischio che svegliamo qualcuno»
 
Una frase buttata lì, parole a caso per verificare se almeno a parole potessero viaggiare con la mente e col corpo, facendo a meno delle immagini.
 
«Allora?» Sussurrò lui.
 
«Dormono. Ti è arrivato nulla?» Le venne un groppo alla gola, inspiegabilmente, ansia e instabilita’ globale le morsero il corpo intero. Erano meglio le scariche dell’eccitazione.
 
«No, il segnale è bassissimo, pero’ ci sentiamo bene, ma non ti vedo, e non leggo ciò che scrivi»
 
«Spegniamo ancora e riaccendiamo, dai, vedrai che e’ questione del server, web pocket, segnale banda, modem... Santoddio dove sei?» Tremava.
 
«Ehi... Piccola, calmati. Avvicinati, calmati, ascoltami»
 
«Sì. Si sto bene, ora però voglio andare su, portare a letto il mostriciattolo e provare a dormire» Si sentiva l’odore del panico che saliva, «Ci riproviamo domani dai. Domani funzionerà, domani, ok?» Piangeva.
 
«Shhhh…, avvicinati, calmati, ascoltami» Prese tempo e respiro, si avvicinò allo schermo che irradiava solo celeste, lo prese delicatamente tra le mani come a carezzare la testa di lei.  « Lo sai, lo sappiamo, lo sappiamo bene vero? Dobbiamo farcene una ragione, lasciare che le cose vadano come devono naturalmente andare, cos’altro possiamo chiedere a questi schermi o questi tasti?»
 
«Ma ieri ti vedevo...» Paura mista a lacrime, il contrasto tra lo stato agorafobico che stava vivendo, ma in uno spazio costretto e di fronte a uno schermo vuoto e soffocante.
 
«No piccola, ieri era lo stesso, solo un po’ piu intenso» Il segnale ora sempre piu’ flebile e traballante.
 
«Ti sento male, sta sparendo il segnale»
 
«Ascoltami. Eravamo insieme, sulla stessa metro, poi tutto è finito, tutto in un momento, ricordi?»
 
«No, no. L’avevamo persa per un secondo, quella macchinetta cretina che non mi ridava il biglietto. Quel biglietto ci ha salvato. Sei tu che devi ricordare... L’avevamo vista partire, ci aveva chiuso le porte in faccia»
 
«Eravamo insieme, sulla stessa metro, il buio, l'esplosione, poi tutto è finito in un momento, non abbiamo sentito nulla, ricordi? Ascoltami...»
 
«Sta... sparendo anche l’ultima tacca. Riproviamo domani?» Non sentiva più, non ascoltava, non voleva ragionare, in un vortice d’inconsistenza totale. Sentì dei rumori di sopra, il piccolo stava smaniando, salì le scale quasi volando, in tempo per vedere il padre abbracciarlo, le lacrime e il suo viso devastato raccontavano più di una tragedia sulla metro, raccontavano l'incolmabile vuoto del dopo.
 
 
 
«Papà quando torna la mamma?»
 
«La mamma è qui, amore, è… è come se fosse qui con noi. Vieni qui ora, vieni vicino a me.»
 
 
 
FINE
 
 
 
 
 
 

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