Scritto da © Maria34 - Lun, 24/12/2012 - 09:31
Sotto un cielo livido, offuscato da nuvole capricciose, una marea silenziosa di persone simili a formichine operose scorre lungo i marciapiedi della città. Sono le prime luci del mattino di una giornata invernale come tante altre, non eccessivamente fredda e c’è d’augurarsi che, più tardi, il sole, aprendosi un varco fra le nubi, riesca a distendere i lineamenti contratti di alcuni volti troppo tesi.
Lungo la carreggiata scorre un fiume più rumoroso: automobili, motorette, furgoni, quasi tutti con destinazioni diverse, concordi nella fretta di raggiungere il proprio traguardo, gli uni ignorando gli altri, attenti soltanto a non scontrarsi.
In quel turbine un bambino cammina senza fretta sul marciapiede. Non s'azzarda a fermarsi perché quando ha sostato di fronte all'edicola, per osservare le copertine dei fumetti, la giornalaia ha brontolato: - Che cosa fai? Non vai a scuola?
Lui, vergognandosi come un disertore, ha sussurrato:- Faccio vacanza - e si è allontanato.
Non è tempo di vacanze scolastiche. La tregua natalizia è un pallido ricordo e le festività pasquali tardano ad annunciarsi. Camminando, incrocia altri ragazzi con gli zainetti rigonfi e pensa quasi con nostalgia al pulmino che, domattina alle otto, lo raccoglierà davanti al portone di casa, per scaricarlo di fronte alla scuola. Avrebbe potuto spiegare alla giornalaia che è convalescente da una malattia di stagione e sta semplicemente godendosi l'ultimo giorno di libertà, ma ha tenuto per sé la giustificazione. È solo, oggi. Papà e mamma sono impegnati nel negozio, dove tante persone entrano, scelgono e confrontano vari oggetti prima di fare acquisti, mettendo talvolta a dura prova la loro pazienza. La nonna, che abita all'altro capo della città, è a letto con l'influenza e dev'essere lasciata tranquilla.
- Hai otto anni, sai badare a te stesso, non è vero, Martino?- ha detto la mamma, prima di stampargli in fronte un grosso bacio al profumo di gelsomino. Che bello potersi accoccolare fra le sue braccia, ma papà aveva già messo in moto l'auto, il diesel faceva un rumore ostile e ammorbava l'aria.
Per consolarsi con un cornetto alla crema, entra in un bar. Si guarda attorno, imbarazzato. Troppe persone assillano la cassiera:
- Un caffè macchiato.
- Una coca e un panino.
- Per noi, due espressi.
Nessuno gli bada. Ridono, ingoiano, salutano e se ne vanno.
Meglio andare al parco. Sa come arrivarci, basta proseguire sul marciapiede fino allo spartitraffico, quindi attraversare la strada sulle strisce pedonali. Lo sanno fare anche i cani.
S'incanala fra la gente, piccolo fante in un battaglione di corazzieri. A un tratto si accorge che al suo fianco, senza fretta, cammina un uomo dalla pelle scura. Senza esitare, benché manchino due isolati all'ingresso del parco, Martino attraversa la strada. Deve badare a se stesso, come gli ha detto la mamma.
Al giovane nero non è sfuggito il disagio del bambino. Ha imparato a riconoscere certi lampi che attraversano gli occhi della gente quando lo osservano. In questa parte del mondo pare che il colore della sua pelle faccia orrore, e pensare che ha l'animo candido di un fanciullo.
Per darsi coraggio tocca con gesto istintivo il punto in cui, all'interno del giubbotto, ha cucito i documenti e il permesso di soggiorno. Rievoca nella memoria i volti amati dei parenti che vivono a molte miglia di distanza e il ricordo del missionario che, vent'anni addietro, lo raccolse nel folto della boscaglia, al petto di una donna morente e lo battezzò, dandogli nome Demetrio.
Era il nome di un santo, di quelli che fanno i miracoli se li invochi con fede, così dicevano. Qualcuno, però, doveva aver capito male e lui era sempre stato, per tutti, Detro. Soltanto dai documenti per l’espatrio ha scoperto di chiamarsi Demetrio. Come nome gli va bene ugualmente, benché egli si senta ancora Detro. Purtroppo per lui, in Italia quel nome ha un suono che significa "arretra, scostati". Quando si mette in coda davanti alla Questura per rinnovare i documenti, se la folla preme troppo contro le transenne, sente risuonare un comando: "indietro, indietro" e pare indirizzato a lui. Sarebbe meglio chiamarsi Annibale, potrebbe sognare di fendere la folla in groppa a un elefante, invece il nome stesso gli dice di farsi da parte, tanto se non si adegua sono gli altri a scansarsi, perfino i bambini.
Oggi non è arrivato in tempo all'appuntamento per l'ingaggio giornaliero. Colpa della sveglia che non ha suonato. Ieri sera si era scordato di caricarla.
Un giorno di lavoro perso significa intaccare il gruzzolo che consentirà a suo padre e ai fratellini di superare un‘altra estate di siccità. Loro non sanno quanto deve faticare e, se lo immaginassero, non potrebbero comprendere come possa rattristarsi tanto per una giornata libera.
Si è levato il vento ed è senza berretto. Rabbrividisce. Non si è ancora abituato a questo clima. Ha gli occhi arrossati quando giunge al parco e si abbandona sulla prima panchina che trova, lanciando uno sguardo distratto al bambino che la occupa da un lato.
Martino riconosce in lui il nero incontrato poco prima lungo il marciapiede e s'insospettisce. Smette di osservare due pettirossi che becchettano lungo la siepe di lauro e si tiene con le mani alla panchina, sulla difensiva.
Detro, ha chiuso la testa fra le mani, per isolarsi e proteggersi. Un gesto di simpatia verso quel ragazzino potrebbe costargli caro. Lo hanno messo in guardia i suoi compatrioti, gli hanno spiegato che parole come pedofilo hanno distrutto degl'innocenti. Chissà a cosa sta pensando quel ragazzino, magari se ne andasse, pensa. Intanto l’amarezza ha il sopravvento, sente sulle mani l'umidore delle lacrime che scendono dai suoi occhi, sovente feriti da altri occhi nei quali leggeva diffidenza, fastidio, a volte ostilità.
Martino ne approfitta per allontanarsi. Andrà a vedere se ci sono le anatre nel laghetto, forse riuscirà persino a sorprendere qualche scoiattolo che la nonna gli ha indicato un pomeriggio, mentre la loro coda saettava tra le fronde, sugli alti fusti degl'ippocastani.
Nell'aria fattasi scura si ode un brontolio di tuono. Incomincia a piovere. Gocce rade, poi sempre più fitte, costringono Martino a correre in cerca di un riparo. Non intende rischiare di ammalarsi un'altra volta, la convalescenza trascorsa in solitudine non è divertente e può rivelarsi pericolosa.
Detro accoglie la pioggia come la carezza di una mano amica. Si alza e, col viso rivolto verso il cielo, lascia che lacrime e pioggia si confondano in un unico rivolo mentre, con passo deciso, guadagna l'uscita del parco.
Un bambino solo e un uomo dalla pelle scura riattraversano la strada sotto lo stesso cielo.
Carla Caimo
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