Scritto da © Maria34 - Mer, 05/09/2012 - 16:41
Silenzio… silenzio.. silenzio. Da quella sussurrata a quella urlata, questa è forse una delle parole più usate dai popoli civili. Nell’arco della nostra vita, quante volte abbiamo sentito o pronunciato questa parola. Ancora oggi, alcuni di noi giunti ormai nell’età dei “diversamente giovani”, siamo ancora ripresi da questa parola durante la nostra giornata. Anche qui al corso dell’UNI3, la docente Signora Maria, ci riprende più volte perché non si tiene a freno la lingua. Ma questa parola, ha sempre accompagnato i miei 71 anni di vita. Da quando ero piccolo e durante le serate buie a causa dell’oscuramento, i miei genitori stavano in silenzio nell’attesa spasmodica di qualche incursione aerea e mi zittivano come se qualche parola sussurrata potesse essere captata dai piloti degli aerei in volo.
Anche nel corso degli anni di studio, la si è sentita ripetere più volte dagli insegnanti per richiamare all’attenzione l’uditorio. Nel periodo militare, nella vastità degli spazi aeroportuali, la parola veniva urlata dai comandanti per farsi obbedire e alla sera, la tromba suonava il silenzio per invitare i militari a chiudere la loro giornata sia lavorativa che di svago.
Il silenzio è quest’atmosfera ormai difficile da raggiungere a causa dei rumori che ci avvolgono e ci impregnano nelle nostre attività quotidiane. Durante la giornata, sento la necessità di estraniarmi da tutti i rumori e stare con me stesso, con i miei pensieri e i miei ricordi di vita trascorsa. Poi, quando riesco a entrare in quella bolla che mi circonda, ecco che un rumore più forte mi fa sobbalzare, la bolla si rompe e mi trovo nuovamente circondato dai rumori. Mi ricordo un anno che ero al mare a trascorrere un breve periodo di vacanze senza la moglie ancora impegnata al lavoro. Ero con i miei genitori e la figlia ancora piccola. Mi alzavo al mattino presto, scendevo al mare, salivo su quella piccola barchetta che allora possedevo e andavo al largo dove la costa era solo più una striscia di terra lontana. Spegnevo il motore e a volte pescavo, a volte leggevo e lasciavo che la corrente mi facesse scarrocciare. Sentivo solo lo sciabordio delle ondine contro lo scafo. Mi pareva di essere solo sulla terra, e riavvolgevo gli anni trascorsi come una pellicola di un film in fase di montaggio. Nel silenzio, rivedevo i momenti belli e i momenti tristi che avevano costellato la mia vita come quella di tutti gli esseri umani, facevo progetti che il più delle volte poi non si avveravano ma che in quel particolare momento mi sembravano essenziali.
E’ proprio nel silenzio che l’animo dell’uomo raggiunge il suo apice. Quanti grandi uomini hanno espresso i loro sentimenti scrivendo opere estraniandosi dal mondo circostante. Durante le vacanze in montagna, nella notte non si sentono rumori, sento solo il ronzio nelle orecchie che cercano di captare fruscii lontani in quello che io chiamo “il rumore del silenzio”. Quel silenzio così forte che fa male all’udito ormai non più abituato a quei silenzi così prolungati. Ormai nelle città si è costretti a subire quel rumore di fondo incessante che non si ferma mai, neanche durante le ore notturne, è un ronzare continuo, sembra di essere vicino agli alveari delle api. Ma non è solo il rumore della civiltà, è anche quel cicaleccio continuo degli uomini che in ogni dove fanno sentire la loro voce. Ora che ci sono i telefoni portatili, l’uomo deve far sentire la propria voce agli altri e nelle strade, alcuni parlano ad alta voce incuranti dei passanti come se dovessero farsi sentire dai loro interlocutori, senza l’uso del telefono.
Cerchiamo di non farci sopraffare dal rumore, ricordiamo ai nostri figli che sono in aumento le malattie uditive dovute all’uso indiscriminato di apparecchi che sparano decibel nelle nostre orecchie. Illustri professori hanno dimostrato che il frequentare discoteche per diverse ore con il volume acustico al massimo, porta in pochi anni alla perdita dell’udito, purtroppo questa sta diventando una malattia del futuro, cerchiamo di salvarci almeno da questa calamità.
Quindi adesso, faccio silenzio anch’io.
Vasco Giuseppe
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