Scritto da © Marco valdo - Dom, 11/09/2016 - 10:41
Un movimento artistico, lo schiaffo morale, la china nera del cattivo esempio, il verbo volgare traballa dì stentorea velleità. La misura ampia del gesto prende respiro, plateale e malconcio di misura, lo strumento è un mezzo di sostentamento, l'arte gli deriva da un posticcio rubato di straforo, appiccicato alla cute a mo di sbaglio.
Cattivo di volontà, il gesto fruga nelle tasche dei calzoni, ruba spiccioli d'intimità, lo strumento è un palo, che pensa al cazzo suo, singolare, a causa della sua monomania di guardone strabico, difetto corretto da grossi occhiali a specchio dell'anima dei morti mal menzionati. Asseconda il gesto per tornaconto, a lui dell'arte importa meno di una sega, vuole solo che il cazzo suo venga preso in carico, per questo lo dimostra nel turgore laterale della gamba sinistra.
Il gesto dal canto suo ignora lo strumento, non gli serve una sua incondizionata adesione, lui sempre significherà qualcosa, non è un cartello che indica la strada, è quello che è, tanto, agli occhi degli astanti, diverrà quello che essi cercano, lo strumento può continuare più del lecito a frugare nei calzoni, sotto le gonne, mantenendo dritto il diritto al cazzo suo, l'astante di turno per questo riterrà congruo il prezzo dell'entrata.
L'istrionico di più si confonde con l'essenziale del gesto, lo sporca d'intenzione, lo strumento ha il cazzo suo fuori dall'impermeabile, potrebbe essere scambiato lui per il gesto, lui, il cazzo suo. Il vero gesto così diverrebbe contorno, un mero indicativo di paesaggio, ma ancora così va bene, è quel che è, spiega quello che si vuole sia spiegato.
Lo strumento ormai e fuori controllo, il gesto per cui era impiegato è diventato un automatismo, il cazzo suo cerca di infilarsi in ogni affare che lo riguarda, anche solo per pochi istanti, gli astanti si spogliano delle vergogne, prendono il cazzo suo come strumento, lo strumento come gesto e il gesto per quello che è, quello che è diventato, quello che diventerà.
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