Scritto da © Marco valdo - Ven, 19/02/2016 - 23:12
Tutto quello che avviene è misurato dal silenzio, una misura di tempo, di distanza, di qualità.
zut zut zut, il pensiero è onomatopeico, l'unico suono immaginato, ronzio di cervici; lei sente che qualcosa accade, un accidente, forsanche un incidente, uno scontro.
sbam slam, gli occhi cercano dettagli, lui è una sfinge che non ricorda le soluzioni, il silenzio si colma di meccanismi, adesso sono semplicemente muti, il silenzio è uno spazio angusto tra ronzii, scatti, icone di suoni, lei si cerca con le mani, in modo eclatante, volutamente, il collo dietro l'orecchio, l'anulare fra il pollice e l'indice, misura.
il tessuto fruscia di accavallamenti, scosciate, strusciate, rumore privato, ognuno si prende il suo, per via della distanza, ovvero si immagina una immedesimazione, lui è taffetà chè struscia, la sua lingua è brivido che fa attrito, lei è un qualche tipo di cineseria sgualcita che si aggroviglia ai peli, il silenzio adesso è un grosso ingombro che scalda e opprime.
non si arriva ad un dunque, la distanza è anche miseria nera, fame di digiuni, cella di calce bianca, il tessuto non contiene il volume dei corpi, si appiccica alle intenzioni, si vivifica di velleità, un cavallo, un bocciolo, umido, il rumore dell'umido è un'idea lenta che cerca il basso, adesiva al percorso.
shhh shhh, siderale la distanza, il freddo che si sente e poco meno che un sibilo, che predispone all'abbandono, tracce, molecole di essere si disperdono, trovano alloggio, il segno di un possesso velleitario troneggia dove si appiccica.
il tempo termina il suo compito, lungo e mirante rimane il silenzio più inopportuno a fasciare turgori, a imbeccare sguardi,
zut zut zut, il pensiero è onomatopeico, l'unico suono immaginato, ronzio di cervici; lei sente che qualcosa accade, un accidente, forsanche un incidente, uno scontro.
sbam slam, gli occhi cercano dettagli, lui è una sfinge che non ricorda le soluzioni, il silenzio si colma di meccanismi, adesso sono semplicemente muti, il silenzio è uno spazio angusto tra ronzii, scatti, icone di suoni, lei si cerca con le mani, in modo eclatante, volutamente, il collo dietro l'orecchio, l'anulare fra il pollice e l'indice, misura.
il tessuto fruscia di accavallamenti, scosciate, strusciate, rumore privato, ognuno si prende il suo, per via della distanza, ovvero si immagina una immedesimazione, lui è taffetà chè struscia, la sua lingua è brivido che fa attrito, lei è un qualche tipo di cineseria sgualcita che si aggroviglia ai peli, il silenzio adesso è un grosso ingombro che scalda e opprime.
non si arriva ad un dunque, la distanza è anche miseria nera, fame di digiuni, cella di calce bianca, il tessuto non contiene il volume dei corpi, si appiccica alle intenzioni, si vivifica di velleità, un cavallo, un bocciolo, umido, il rumore dell'umido è un'idea lenta che cerca il basso, adesiva al percorso.
shhh shhh, siderale la distanza, il freddo che si sente e poco meno che un sibilo, che predispone all'abbandono, tracce, molecole di essere si disperdono, trovano alloggio, il segno di un possesso velleitario troneggia dove si appiccica.
il tempo termina il suo compito, lungo e mirante rimane il silenzio più inopportuno a fasciare turgori, a imbeccare sguardi,
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