Scritto da © Marco valdo - Mer, 03/02/2016 - 11:47
Sciabola le parole da sopra un gozzo tiroideo, privo di iodio, lucci splendenti guizzano, carpe nipponiche rosa spento corrono sotto le tinche e tu mi vuoi concreto; come posso, sono fuggibile come un raziocinante ebete, buono per tenere le palle alle feste.
Ma non parliamo di questo, parliamo del becco di gomma dura degli ornitorinchi
A cosa serve?
A spalare il limo nei fiumi?
Non gli potevano crescere delle unghie a paletta?
Eh, eh, no dimmi...
taci, mi guardi come si guarda un'ostrica nella tundra
“pirla”
non me l'hai detto, è comparso come un fumetto sulla tua acconciatura barocca, una ciocca si è scomposta, la riacconci stanca, mi sorridi di immotivata compassione, mi lisci quello che ritieni ancora recuperabile, ritratti, chiudendo la mano a pugno.
Balena un lampo bianco, claudico sullo sperone di uno scoglio, conchiglie schiuse, madreperla, l'esattezza delle forme, Iva sei partita, formaggio, foraggio...
Mi fermi con un manrovescio energumeno, litaniando buon senso, non sento, mi fischiano le trombe di Eustacchio, piangi.
Ti vengo incontro dicendoti
“non pensare più all'ornitorinco, certamente se la caverà benone”
dirotti lacrime, squagli rimmel
il panda quatto per quatto rumina il bambù
è finita, infagotti il tuo buon senso, mi gridi sconcerie da diporto, prendi il batticarne di gomma dura
SPLAT!
Contundente e incisivo è l'addio.
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