Mary aveva mani piccolissime, come una bambina. D’altronde anche Mary era piccola, col suo metro e mezzo di altezza l’avresti scambiata facilmente per una dodicenne. Solo un seno decisamente fuori proporzione tradiva il suo esser donna. Capelli nero corvino incorniciavano un viso dall’espressione perennemente seria, severa, sottolineata da labbra rosso acceso naturale. Gli occhi neri, profondi ti agganciavano al primo sguardo per non mollarti più. Si lamentava spesso del suo essere piccola, tascabile, ma era orgogliosissima delle sue mani. Possedevano un’abilità rara, sapevano adeguarsi velocemente a qualsiasi attività manuale lei decidesse intraprendere, erano la sua vera e unica fortuna. Era nata in un paesino sperduto della Lucania, Rabatana di Tursi, abbarbicato su una collina rocciosa e mezzo diroccato. Paese fantasma, quasi disabitato che tra le bellezze naturali e le rarità architettoniche nascondeva la ferita profonda di quelle terre: la povertà e molto spesso l’ignoranza, sua figlia prediletta. Non fatevi ingannare dal nome decisamente “yankee” della nostra eroina, l’aveva chiamata così sua madre in memoria di un soldato americano conosciuto alla fine dell’ultima guerra, chissà come sperdutosi tra quelle rocce aspre e meravigliose che circondano Matera.
Mary si lavò le mani, delicatamente ma accuratamente, in profondità, come un chirurgo. Le asciugò con pignoleria e si infilò i guanti di lattice. Già, perché Mary faceva l’infermiera in una piccola clinica privata di Milano dove si era trasferita una decina di anni orsono. Strofinò col batuffolo imbevuto di disinfettante la natica del paziente disteso sul letto e si accinse ad iniettare la solita dose di calmante prescritta dalla cartella medica. Fece molta attenzione, poiché di carne ve n’era molto poca, e le ossa la facevano da padrone su quel corpo di ottantenne. La clinica dove svolgeva le sue mansioni era più che altro un piccolo gerontocomio, in realtà ospitava anziani a lunga degenza o malati terminali. Posto non certo allegro, ma Mary aveva innata la caratteristica propria della gente della sua terra, la tenacia e la dedizione seria e completa al lavoro, qualsiasi esso fosse, faticoso, noioso, pericoloso o meno.
Era molto apprezzata per quella sua abilità manuale e ormai era richiesta come assistente da molti dottori e chirurghi del plesso ospedaliero. Bucò con mano lieve ed esperta la pelle del paziente il quale sorrideva beatamente, non si era accorto di nulla. Era quella la specialità di Mary, l’abilità e la leggerezza del tocco delle sue mani, oppure la forza e la determinata precisione delle stesse ove ve ne fosse la necessità. Sfregò energicamente col batuffolo di cotone, sorrise distaccata all’anziano, ed uscì dalla stanza sfilandosi i guanti. Si diresse subito verso gli spogliatoi del personale, aveva finito il suo turno e si accingeva a rientrare a casa, dove l’aspettavano le incombenze domestiche giornaliere, comuni a tutti i single.
“Eh, sì…single” – pensava assorta Mary mentre attendeva la metropolitana seduta su una panchina d’attesa - “single…” ripeteva mentalmente in maniera quasi ossessiva e non si era accorta che nel frattempo un treno era già passato e lei distrattamente aveva perso quella corsa, completamente immersa nei suoi pensieri. L’arrivo della corsa successiva la risvegliò da quella specie di trance in cui era sprofondata e salì con piglio deciso sulla prima carrozza disponibile. Non aveva posta molta attenzione ne cura nella scelta della vettura, era salita così, d’istinto senza accertarsi se fosse piena o meno. In realtà era semivuota, cosa che a Mary non dispiacque affatto. Si sedette con calma accanto ad una donna di colore e, sgomberando la mente dai pensieri che l’avevano assillata pocanzi, si accinse al seppur breve viaggio. Si guardò intorno, dapprima distrattamente, una coppia di giovani seduta poco distante catturò la sua attenzione. Era una coppia di ragazzi come ve ne sono molti attualmente.
Lui sui diciotto’anni, capello nero corvino con frangia proiettata sugli occhi a nascondere chissà quali timidezze o lampi di vivacità degli occhi e viso moderatamente offeso da acne giovanile, vestiva la divisa d’ordinanza: jeans extra extra extra large portati regolarmente sotto l’inguine a mostrare biancheria intima che una volta aveva vissuto periodi di bianco splendore e maglietta in sintonia la cui taglia avrebbe potuto essere tranquillamente utilizzata come tenda canadese in un campeggio. Lei, minuta, dall’apparente età di sedici anni, aveva un viso pulito, da bambina.
Gli occhi pesantemente bistrati lampeggiavano di furbizia e malizia decisamente non consone all’età. Anche lei inguainata in un paio di Jeans sdruciti e portati a vita bassa come comanda la moda attuale a mostrare il classico tatuaggio incastonato tra le natiche che occhieggiava dall’elastico della biancheria intima. Un tanga probabilmente indossato a dispetto del parere materno. Maglietta extra extra extra small ad evidenziare un ombelico sottolineato dal luccichio di un brillantino. Un particolare attrasse l’attenzione di Mary, il seno della ragazza. Decisamente sviluppato, armonioso, ma di dimensioni tali da apparire quasi non proporzionato al resto del corpo.
Istintivamente le mani si posarono sul suo, carezzandolo quasi lascivamente, con un gesto incontrollato che la sorprese. Non aveva pensato minimamente ad una cosa simile…ma lo sguardo tra il divertito ed incuriosito della donna che aveva a fianco la richiamò alla realtà. Si ricompose arrossendo e si immerse nuovamente nei suoi pensieri. L’avvenimento l’aveva scossa, di solito lei, così controllata e professionale, poneva molta attenzione ai gesti e ai movimenti. La vista del seno di quella ragazzina aveva scatenato in lei una ridda di ricordi e si era rivista bambina nel suo paese natio quando giocava coi coetanei e veniva spesso derisa per le dimensioni del suo seno, raffrontate con quelle delle mani. I commenti, si sa tra bambini sanno essere feroci e Mary ne aveva sofferto molto.
Poi era cresciuta e aveva imparato ad apprezzare quelle sue caratteristiche fisiche che le avevano permesso da un lato una professione gratificante, dall’altro una decisa attrazione verso di lei da parte degli uomini. “Gli uomini…”, pensò Mary e immediatamente rivide come in un film spezzoni di rapporti nati e conclusi subitaneamente, sesso e niente amore, ragioni e torti, partenze e ritorni, insomma il diario condensato in pochi minuti di una vita da single. Un brusco movimento la proiettò contro la spalla della donna di colore seduta accanto a lei, la quale le sorrise mostrando una fila di perle bianchissime che splendevano in contrasto con il colore del viso. Mary si scusò, sorrise a sua volta e si accorse che il treno era arrivato a destinazione, era la sua fermata: Rogoredo.
Uscì sveltamente evitando le porte che si stavano chiudendo e dandosi della stupida si avviò verso l’uscita della metropolitana. Entrò nel bar-tabacchi presso l’uscita, ordinò un caffè e acquistò un pacchetto di sigarette. Fumava pochissimo, ma una sigaretta ogni tanto le dava un senso di sicurezza e pareva le si schiarissero le idee. Si incamminò verso l’uscita accendendosi una Marlboro Light e si avviò speditamente verso casa.
Il vecchio palazzo anni ’50 ormai in disfacimento la inghiottì in un lampo e mentre quella impicciona della portinaia la salutava affettando un sorriso sdentato, si infilò bofonchiando una risposta nell’ascensore che si mosse sferragliando come un vecchio treno. Ultimo piano, una mansardina da 850 Euro al mese, tre quarti del suo stipendio da infermiera, decrepita la sua parte, ma arredata dignitosamente e piena di tutte quelle piccole cose insignificanti ma particolari, spesso acquistate nei mercatini rionali o nei negozietti di articoli etnici.
Chiuse accuratamente la porta e si diresse verso il bagno, accendendo nel contempo un bastoncino di incenso alla vaniglia che sporgeva da un contenitore di finto ebano sul tavolinetto dell’ingresso. Si muoveva con cautela nei 45 metri quadri dell’appartamento, piccolo in verità, ma decisamente su misura per lei. Si spogliò e si soffermò a rimirare il suo corpo di donna così particolare, inusuale piccola statura, viso da eterna bambina, seno importante, poderoso ma ancora sodo, sicuramente attraente e le mani…sì, quelle piccole, straordinarie mani da bambina che avevano eccezionali qualità, erano la sua fortuna.
Si infilò sotto la doccia e si lasciò andare a pensieri, ricordi, desideri...il tepore e lo scro0scio dell’acqua la rilassavano completamente. Allungò la mano verso il portasapone per afferrare la saponetta, ma mancò la presa e afferrò invece la boccetta dello shampoo, stupita rifece il gesto, e anche stavolta la mano sembrava non ubbidirle, afferrando di nuovo la boccetta. Preoccupata e leggermente ironica verso se stessa pensò “sto invecchiando, non riesco a coordinare i movimenti più semplici..bah, sarò stanca…” stavolta la mano di Mary ubbidì e afferrò la saponetta.
Finita la doccia, canticchiando un po’ per farsi compagnia, un po’ per scacciare cattivi pensieri, indossando un accappatoio decisamente fuori taglia per lei, ma estremamente morbido, entrò in cucina e si accinse a preparare la cena. Aveva invitato un addetto alla mensa della clinica conosciuto a pranzo, mentre serviva al bancone del self- service. Un ragazzone sui trent’anni alto un metro e novanta con due mani che sembravano pale da forno per pizzaioli. Decise che avrebbe preparato degli ottimi spaghetti aglio olio e peperoncino, chissà…, e poi un caprese con mozzarella di bufala fatta arrivare dal paese e pomodorini freschi.
Rinfrancata dalla nuova allegria ritrovata e dal pensiero della cenetta imminente, prese una pentola dalla credenza. Movimento usuale che spesso aveva fatto, ovviamente, ma che quella sera divenne un campanello d’allarme. Sì, perché anche stavolta le mani non ubbidirono, si ostinarono per lunga pezza a descrivere movimenti assurdi, non rispondevano agli impulsi che il cervello di Mary mandava, pareva avessero vita propria, un loro cervello, una loro volontà. Mary si rabbuiò e si preoccupò notevolmente, le sue mani non avevano mai fatto così…si fece forza e preparò la cena ponendo la massima attenzione a tutti i movimenti che le sue mani andavano facendo, e controllandone la rispondenza.
Con animo irrequieto si vestì non facendo molto caso a ciò che indossava e accese la televisione, nell’attesa dell’incontro. Il pensiero ormai andava sempre più frequentemente agli avvenimenti poc’anzi accaduti e la preoccupazione cresceva. Il suono del campanello la distolse dalle sue angosce aprì la porta e si trovò dinanzi il metro e novanta di Gerry, ovvero Gerardo, parzialmente nascosto da un enorme mazzo di rose. <<Ciao, Mary sono in ritardo? Ho una fame. >>
Alla vista di Gerry, più che del mazzo di rose, Mary riacquistò di colpo serenità e, dimenticando le nubi che avevano attraversato la sua mente sino ad allora, rispose con un sorriso: <<Benissimo Gerry, accomodati…che splendide rose, non dovevi…>> le solite frasi di circostanza insomma. Frasi che Mary aveva ripetuto ormai dozzine di volte ad ogni incontro con gli occasionali compagni della sua vita. Tutti attirati dalla prorompente ed esplosiva bellezza del suo seno, dalla maestria e dalla stupefacente abilità delle sue mani e dal focoso temperamento di donna del sud che a letto, nonostante quel viso da bambina dodicenne, esplodeva nel sesso più sfrenato come la più navigata delle puttane di un bordello caraibico.
Si accomodarono a tavola e di nuovo le sue mani non le ubbidirono più, rovesciando gli spaghetti sui calzoni di Gerry, mentre Mary lo serviva. <<Mio Dio che disastro! Scusami, sono mortificata…non so come possa essere successo – mentì preoccupatissima – togliti i pantaloni, vedo cosa posso fare, dovrei avere del borotalco in bagno, per assorbire la macchia d’olio…scusami ancora>>
Sorridendo tra l’imbarazzato e l’accondiscendente Gerry annuì, si tolse i pantaloni e li consegnò a Mary, rimanendo in mutande. Nonostante la taglia decisamente “large” dei boxer, una notevole protuberanza rivelava il regalo che madre natura gli aveva fatto. Cercando di distogliere lo sguardo, ma aveva visto benissimo, con il cuore in tumulto per tutto ciò che stava accadendo, Mary prese in consegna i pantaloni e si recò in bagno. Si fermò davanti allo specchio e, respirando profondamente guardandosi nel contempo le mani pensò: ”Mio Dio, che mi sta succedendo"? “Sarà sicuramente lo stress di questa ultima settimana…questo lavoro mi sta uccidendo…” si rassettò e in quel momento il suo pensiero corse all’immagine di Gerry in mutande e di quello che la protuberanza prometteva…Il suo temperamento e il desiderio di non restare sola in quella sera così strana e preoccupante scacciarono tutte le preoccupazioni. Tornò in cucina e prese le portate della caprese gridando con voce allegra: <<Gerry, adesso rimedio al disastro, ti piace la mozzarella di bufala?>> Si avviò verso il soggiorno, non prima di avere slacciato maliziosamente un altro bottoncino della camicetta.
Ora un capezzolo occhieggiava dalla scollatura della seta e il continuo frusciare lo aveva eccitato platealmente, tanto che attirò immediatamente l’attenzione di Gerry che non mangiò quasi nulla della caprese e non distolse lo sguardo dal seno di Mary durante tutto il resto della cena. Mary lo invitò ad accomodarsi sul divano per sorseggiare un caffè e fu allora che davanti al metro e novanta di Gerry ormai completamente eccitato le mani di Mary ruppero gli indugi e afferrando con violenza il membro dell’uomo lo trascinarono decisamente verso la camera da letto.
Gli sguardi dei due si incrociarono. Mary atterrita ed imbarazzata da quel gesto assolutamente non voluto delle sue mani, Gerry stupito ma sorridente nonostante l’inaspettato movimento.
Fecero l’amore per ore. Ogni volta che l’uomo si ritraeva stanco e spossato le mani di Mary lo riportavano sapientemente e crudelmente di nuovo all’azione. Stanco infine e alquanto alterato, Gerry si alzò di scatto dal letto: <<piccola puttana! – apostrofò – senza ritegno, non ti basta mai, eh? e pensare che con quella faccia da bambina..ridammi i pantaloni che me ne vado, non mi frega niente se sono macchiati, muoviti! >>
La voce di Gerry si era fatta improvvisamente dura, un tono che non ammetteva contraddizioni, metteva quasi paura. Stancamente, quasi si aspettasse questo epilogo, Mary andò in bagno, raccolse i pantaloni di Gerry e glieli consegnò. L’uomo finì di vestirsi, aprì la porta e se ne andò, sbattendola, senza profferire parola. Mary si accese l’ennesima sigaretta e fumando pensierosa si sedette sul bordo del letto guardandosi distrutta le mani.
Quelle piccole mani da bambina che tutti ammiravano per le loro capacità, che avevano costruito la sua piccola fortuna nel lavoro, ora non le obbedivano più, le stavano distruggendo la vita. Gerry era forse l’ultima chance, l’ultima speranza di dare un senso alla sua triste e vuota vita da single e queste maledette mani stasera la avevano definitivamente allontanata. Si sdraiò sul letto e la mente corse a quando era piccola, là nella piazza del paese mentre ancora bambina giocava con i coetanei ma aveva presente il peso degli sguardi dei vecchi bavosi sul seno che rigoglioso stava spuntando. Come in un film rivide allora tutta la sua vita, la fuga l’arrivo a Milano, il lavoro, le congratulazioni e l’ammirazione per l’abilità e la professionalità delle sue mani.
Già, le mani. Anche la sua vita da single, costellata da molte presenze maschili, tutte meteore attirate dal suo aspetto di donna/bambina e tutte fuggite nell’arco di una notte di amore furioso e annichilente.
Già, le mani. Maledettissime mani, quando ormai sembrava che la corsa affannosa verso una dimensione di vita fosse giunta al traguardo, improvvisamente non avevano più risposto ai suoi comandi, avevano deciso di agire, di pensare a modo loro.incredibile. Mary era sopraffatta da questa scoperta. Le mani erano gelose!! Atterrita e sconvolta si tolse la collanina d’oro che portava al collo dal giorno della prima comunione. <<Signorina Mary!...Signorina Mary! >> La voce stridula della portinaia rimbombava nel silenzio del caseggiato, mentre con il comandante dei Vigili del Fuoco bussava alla porta di Mary.
Non avendola vista uscire alla solita ora, la zelante portiera si era preoccupata e, dopo aver aspettato un bel pezzo era salita sino all’appartamento. Non avendo ricevuto risposta alle reiterate scampanellate, si era decisa a chiamare i pompieri. << Signorina..signorina…>> << Deve essere successo qualcosa - disse rivolgendosi al vigile accanto - non ha mai fatto così.>>
<< Si sposti signora - rispose il pompiere - forziamo la porta, non c’è altra soluzione >> Entrarono alla fine. Non c’era bisogno di fare molti passi, l’appartamento era molto piccolo e in un attimo, evitando la confusione ed il disordine, arrivarono in camera da letto. Fu lì che a Giuseppe, comandante di zona dei vigili del fuoco e ormai con esperienza più che ventennale, si presentò una scena che difficilmente avrebbe dimenticata negli anni a venire.
Una bambina dal viso apparentemente poco più che dodicenne giaceva supina sul letto. Due piccole mani livide per lo sforzo stringevano selvaggiamente il suo collo. Solo il seno discinto e rigoglioso pareva non rendersi conto dell’accaduto.
© Franco Pucci 08/2009
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