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Madrid...

Madrid piangeva lacrime di fango quella sera, le imbrattava d’asfalto lasciandole cadere pesanti sulle cicatrici di quella dissestata strada di periferia.
 
Lei aveva ancora gli occhi pieni di passione, neri, come il cielo che brontolava verso Ovest.
I suoi capelli si lisciavano allo scorrere della pioggia spargendosi sulle minute spalle da sud-americana. Il suo sguardo, sfumava il taglio andino e le mani, minute, lo cingevano stretto, come se fosse l’unica cosa per cui valeva la pena respirare.
 
Lui, camminava lento, aveva il piglio e il passo da Europeo. Con una mano le spingeva il viso, verso i sussulti del suo petto. Giungevano lenti, verso un treno che avrebbe percorso binari differenti.
 
Le mani intrecciavano gli sguardi e le labbra, si scontravano, sminuzzavano parole incomprensibili, abboccamenti superflui.
 
Lui, scrisse su un foglietto parole strette … in una lingua straniera, le decorò con una siepe di segni fioriti.
 
Lei, gli consegnò il suo cuore di vetro, porpora, come la verità del suo amore.
Lui, lo riempì con l’inchiostro nero delle sue rose.
 
Lui, cavalcò il treno che, come una cerniera, ricuciva le campagne nel suo scorrere sinuoso, chiudeva dietro sé uno squarcio stretto di pensieri contrastanti. Forse l'avrebbe rivista, o forse sarebbe stata solo il pensiero di quella notte.
 
Lei, uscì dalla stazione, rilesse quel foglietto bagnandolo della sua essenza, lo sguardo si ossidò di vento boreale. Percorse le scale ripide del metrò ed infilò sottoterra i suoi pensieri. Stringeva la carta tra le mani, percepiva ancora il suo profumo, sfilato, dall’aroma di caffè di quell’ultimo bar.
 
Il numero dieci sarebbe arrivato in un istante, i sedili illuminati di un cielo immaginario sarebbero comparsi all’improvviso, aldilà di quella linea gialla.
Lei la scavalcò; prese al volo quel destriero sonante e lasciò vibrante, quella bianca carta, condensata di rinunce, scritta con un sangue … rappreso d’illusione.
 

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